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Il conflitto di Gaza: bombardamenti israeliani e una politica che non risponde

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Foto: La Stampa

La violenza sistematica perpetrata da Israele, nei confronti della popolazione palestinese, ha suscitato l’indignazione di studenti, più in generale manifestanti, e alcuni intellettuali anche di origine ebraica. Tuttavia, per quanto concerne il mondo politico, e in parte giornalistico, non vi è una netta presa di posizione

L’ATTACCO DI ISRAELE ALLA BASE UNIFIL

Il 10 ottobre 2024 Israele ha bombardato in maniera intenzionale tre basi della missione Unifil in Libano, di cui due affiliate all’Italia, e una alle Nazioni Unite. Secondo fonti della sicurezza, l’attacco è stato eseguito affinchè si inducesse Unifil al ritiro, in maniera tale da avere campo libero per le operazioni in Libano, senza testimoni scomodi agli occhi di Israele. In questa vicenda,  un intervento rilevante è stato quello del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il quale ha dichiarato che “gli attacchi israeliani alle basi unifil violano il diritto internazionale umanitario.” Nonostante la gravità dell’episodio, la reazione dei principali attori politici è stata tiepida, limitandosi spesso a dichiarazioni di circostanza.

L’UCCISIONE DEL LEADER DI HAMAS

Il 16 ottobre è stato ucciso Yahya Sinwar, leader di Hamas, nonchè uno degli autori dell’attentato terroristico in Israele il 7 ottobre. A confermare l’accaduto è stato,  prima il ministro degli esteri Israel Katz,  e successivamente le forze di difesa israeliane, le quali hanno asserito l’uccisione del leader del gruppo palestinese attraverso un comunicato ufficiale.

LE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO KATZ 

Secondo il ministro degli esteri israeliano, l’uccisione di Sinwar “crea la possibilità di far uscire immediatamente gli ostaggi” e di creare “Una Gaza libera dal controllo di Hamas e dell’Iran”. Questo evento ha sollevato ulteriori tensioni, sia sul campo che nel dibattito internazionale, ma anche in questo caso, le reazioni ufficiali sono state più concentrate sulla condanna della violenza che sull’apertura di un vero dialogo per una soluzione duratura.

LA SITUAZIONE A GAZA

Mentre gli scontri continuano, la situazione a Gaza si aggrava giorno dopo giorno. Le violenze persistenti mettono in ginocchio una popolazione già stremata da condizioni di vita precarie. I civili palestinesi sono intrappolati in una realtà fatta di continui bombardamenti, carenza di risorse essenziali e servizi sanitari inadeguati.

LE PAROLE DELLA FILOSOFA JUDITH BUTLER

Intellettuali come Judith Butler, filosofa e femminista americana di origini ebraiche, hanno sollevato profonde riflessioni sulle dinamiche psicologiche di questo conflitto, affrontando temi legati alla disuguaglianza sociale e alla violenza. Nel suo ultimo libro, Regimi di guerra, Butler denuncia come la dignità umana venga negata a interi popoli, tra cui i palestinesi, privati persino del diritto al lutto.

Foto: The Arab American News

“La guerra non è mai un fenomeno semplice, e non tutti i conflitti seguono la stessa logica,” afferma Butler. “Oggi, ai vinti non viene riconosciuta nemmeno la dignità di piangere i propri morti, come se non fossero esseri umani.”

L’autrice ha dunque raccontato le tematiche della guerra, e quindi della distruzione, nello specifico quella a Gaza, facendolo con profonda umanità e con una visione intellettualmente lucida.

 

UNA REAZIONE POLITICA CHE LATITA

Nonostante l’indignazione espressa da molti settori della società civile, i governi e le principali forze politiche sembrano esitanti nel prendere una posizione netta. Se da un lato i bombardamenti israeliani e la repressione nella Striscia di Gaza continuano a suscitare proteste in tutto il mondo, dall’altro, le reazioni ufficiali dei governi sono state per lo più caute, limitandosi a invocare generiche chiamate alla calma.

Anche i media, in parte, sembrano rispecchiare questa neutralità, focalizzandosi sugli eventi immediati ma evitando approfondimenti sulle cause profonde del conflitto e sulle possibili soluzioni diplomatiche.

In questo contesto, la popolazione civile di Gaza continua a pagare il prezzo più alto di una guerra che, al momento, non vede né vincitori né una vera soluzione politica all’orizzonte.

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Attualità

Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America

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Con un’affluenza cospicua di elettori, le attesissime elezioni del 2024 vengono vinte da Donald Trump. Capiamo insieme come si è votato, cosa succederà adesso e cosa sarebbe successo se avesse vinto Kamala Harris.

COME FUNZIONANO LE ELEZIONI STATUNITENSI?

Le votazioni negli Stati Uniti d’America si sono concluse ieri, 5 novembre 2024, dopo un periodo in cui alcuni stati (47 per la precisione) hanno potuto esprimere il voto anticipato, per corrispondenza o di persona, in modo da ridurre le persone in coda per l’election day.

Sì prevedevano 244 milioni di votanti, tra questi 76 milioni avevano votato anticipatamente.

Il presidente degli Stati Uniti non viene eletto direttamente dai cittadini ma, come previsto dall’articolo 2 della Costituzione, dai grandi elettori. Questo sistema dà quindi più importanza agli stati.

Chi sono i grandi elettori?

Per un totale di 538; i grandi elettori, suddivisi in maniera più o meno proporzionale per tutti e 50 gli stati (es. in California ci sono 38,97 milioni di abitanti e 54 grandi elettori), esprimono la volontà dei cittadini.

Essi sono la somma dei membri del Congresso: 435 rappresentanti, 100 senatori e 3 delegati del distretto di Columbia.

Chi vince?

Per aggiudicarsi le elezioni serve l’appoggio di almeno 270 grandi elettori, quindi 270 voti, i quali seguono la maggioranza dei voti dei cittadini. Quindi se i cittadini scelgono, anche con lo scarto di un solo voto, un candidato in quello stato il candidato si aggiudica i voti di TUTTI i grandi elettori (metodo: WINNER-TAKES-ALL).

Es. Nel 2020 Biden, in un dato stato, superò di appena 10.000 voti Trump e con una percentuale di 49,4% si aggiudicò tutti e 11 i grandi elettori di quello stato.

Queste erano le previsioni. Ricordiamo che i democratici sono di sinistra- colore blu nella cartina- e la candidata era Kamala Harris mentre i repubblicani sono di destra- colore rosso nella cartina- e il loro candidato è Donald Trump. In arancione gli stati in bilico.

Possiamo quindi immaginare ogni grande elettore come una bandierina da conquistare. Uno stato si colora di blu o di rosso, aggiudicandosi tutti i grandi elettori di quello stato, in base a chi ha più voti. Ciò che conta, in questo caso, non è tanto quanti voti si prendono ma dove si prendono. Perché se ad esempio in uno stato con pochi grandi elettori vince Harris questa si aggiudicherà un numero di elettori più piccolo nonostante abbia preso più voti in senso numerico. 

GLI STATI INDECISI: “SWING STATES”

Erano 7 gli stati indecisi che avrebbero decretato il destino di queste elezioni.

Ecco come hanno votato fino ad ora:

  • Arizona in vantaggio Trump
  • Georgia per Trump
  • Michigan in vantaggio Trump
  • Nevada in vantaggio Trump
  • North Caroline per Trump
  • Pennsylvania per Trump 
  • Wisconsin per Trump

 

COSA SAREBBE SUCCESSO SE AVESSE VINTO KAMALA HARRIS

Capovolgimento della sentenza che revocava il diritto all’aborto come diritto federale. Quindi se la Harris avesse vinto ogni stato avrebbe dovuto reinserire l’aborto come diritto fondamentale (ritornando un diritto federale) mentre adesso la decisione è lasciata ad ogni singolo stato (più di metà stati vieta l’aborto). La guerra in Ucraina sarebbe stata sempre favorita con l’invio di armi contro la Russia. I migranti sarebbero stati incoraggiati a rimanere nel loro paese tramite dei fondi ma a protezione dei confini sarebbe stato costruito un muro. La situazione a Gaza invece sarebbe rimasta per lo più invariata: invio di armi, diplomazia e la soluzione dei due stati. Avrebbe continuato a sostenere la NATO.

COSA SUCCEDERÀ ADESSO CON LA VITTORIA DI DONALD TRUMP

Trump per molti rappresenta una fonte di preoccupazione sia per diritti civili, situazione economica e rapporti esteri. Durante la campagna Trump aveva promesso ai suoi elettori di “cacciare” dallo stato numerosi migranti clandestini con una vera e propria deportazione (oltre alla chiusura del confine con il Messico)- questo aumenterà un clima di odio- , mantenere l’aborto come diritto facoltativo da fare scegliere ad ogni stato (favorendo quindi il suo divieto), aveva dichiarato di voler chiedere un “cessate il fuoco” nella guerra tra Ucraina e Russia ed infine, vista l’amicizia con Netanyahu, innumerevoli persone sostengono che permetterà ad Israele di continuare la sua aggressione ed occupazione della Palestina e di qualsiasi altro stato che vorrà fare illecitamente proprio. Inoltre, favorendo il principio di “America First” vorrà far svincolare gli Stati Uniti da alcuni conflitti in varie parti del mondo e da critico della NATO forse qualcosa potrebbe cambiare anche in questo campo.

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Entrano in vigore le “Safe Access Zones” per rendere più tranquillo l’aborto

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Foto: CDI

Da oggi, in Inghilterra e Galles, le donne che scelgono di accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza potranno farlo in un clima più sereno, lontano da pressioni esterne e proteste.

Il governo laburista di Sir Keir Starmer ha introdotto le “Safe Access Zones“, aree di accesso sicuro che mirano a garantire la privacy e la sicurezza delle donne attorno a consultori e cliniche per l’aborto.

L’idea di fondo è semplice: all’interno di queste zone, nessuna forma di protesta contro l’aborto sarà consentita. Sono vietati i volantini, le proteste attive o silenziose, le preghiere, le veglie religiose e ogni tentativo di interazione con le donne dirette ai consultori. L’obiettivo della legge è chiaro: difendere il diritto di accesso ai servizi di salute riproduttiva senza che le pazienti siano esposte a pressioni o giudizi.

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La normativa prevede che chiunque violi il divieto possa essere denunciato penalmente dalle autorità, con pene che variano a seconda della gravità della violazione. Gli attivisti che non rispetteranno le Safe Access Zones rischiano così conseguenze legali rilevanti.

Le “Safe Access Zones” hanno una chiara finalità di contrasto nei confronti delle campagne anti-aborto condotte da attivisti e gruppi religiosi radicali, in particolare quelli cristiani “pro-life” che in passato hanno tenuto dimostrazioni, anche simboliche, nelle vicinanze delle strutture per l’aborto. Da tempo, infatti, questi gruppi esercitano pressioni fuori dai consultori, cercando di scoraggiare le donne a entrare e offrendo spesso materiale informativo contro l’aborto.

La legge è già vista come una vittoria significativa per i movimenti che sostengono il diritto all’aborto e l’autodeterminazione delle donne, nonché come un ulteriore passo per normalizzare l’accesso ai servizi di interruzione di gravidanza, ancora spesso stigmatizzati.

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Aggiornamento Spagna, quasi 220 vittime: gli spagnoli lanciano del fango alla famiglia reale

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La situazione in Spagna è davvero critica, con i morti che sono saliti a 217 a causa delle devastanti alluvioni. Durante una visita nelle aree colpite, il re Felipe e la regina Letizia si sono trovati faccia a faccia con la rabbia della gente.

IL FANGO LANCIATO AI REALI E L’AGGRESSIONE A SÁNCHEZ

A Paiporta, nella Comunità Valenciana, la folla ha lanciato fango contro il re e la regina urlando “assassini”. Al premier Pedro Sánchez non è andata meglio; mentre era lì, un membro del pubblico lo ha colpito alle spalle con un bastone. “Sono vicino a chi soffre, ma condanno le violenze”, ha dichiarato Sánchez.

L’AGENZIA METEOROLOGICA SPAGNOLA

Nel frattempo, l’Agenzia Meteorologica Spagnola (Aemet) ha alzato il livello di allerta rossa per tutta la provincia di Almeria e lungo la Costa meridionale di Valencia. I militari stanno cercando persone disperse anche in un supermercato a Benetusser.

Non perderti anche Alluvione in Spagna, Valencia è devastata: il numero delle vittime è in continua crescita –Video

LE PAROLE DI RE FELIPE

“Bisogna comprendere la rabbia e la frustrazione” dei cittadini colpiti da queste terribili inondazioni — così afferma il re Felipe in un video postato sui social media dopo essere stato costretto a interrompere la sua visita. Nel filmato ha anche detto che dobbiamo “dare loro speranza e garantire loro che lo Stato in tutta la sua pienezza è presente”

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