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La proposta del governo Meloni di inserire i Pro-Life nei consultori mina la libertà delle donne

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Foto: la Repubblica

Il partito guidato dalla Presidente Meloni ha proposto una modifica al dl Pnrr, che mira principalmente a introdurre nei centri di consulenza i movimenti contrari all’aborto (spesso definiti “pro-vita” dai media).

Se approvato, questo emendamento potrebbe significare un aumento della pressione psicologica per chi intende interrompere una gravidanza e possibili ostacoli pratici nel compiere questa scelta.

In Italia, esiste la cosiddetta “Legge 194”, approvata il 22 maggio 1978, che regola l’aborto nel nostro Paese. Questa legge, in apparenza, garantisce e offre libertà alla donna nel decidere sull’interruzione della gravidanza. Tuttavia, è importante ricordare il contesto storico in cui è stata introdotta questa legge: all’epoca, l’influenza della Chiesa era molto più significativa. Per venire incontro a coloro che si definivano (e si definiscono) “obiettori di coscienza”, la legge stabilisce che un medico può rifiutarsi di praticare l’aborto per motivi di coscienza e religiosi.

La nostra Presidente, Giorgia Meloni, durante un’intervista, ha affermato di non voler né toccare né abolire la Legge 194; e questo anche se per molti è apparsa una vittoria, in realtà non lo è, poiché ad oggi in Italia vi sono innumerevoli obiettori di coscienza all’interno della sanità e molto spesso coloro che vorrebbero interrompere la gravidanza non riescono a farlo, e se riescono, in molti casi devono necessariamente spostarsi dalla propria regione o città per effettuare la pratica.

Dunque, al giorno d’oggi, sarebbe importante garantire questi importante diritto alla donna e, soprattutto, rivedere questa Legge 194.

QUANTI OBBIETORI DI COSCIENZA CI SONO IN ITALIA?

Nel nostro Paese, secondo i dati del Ministero della Salute del 2021, il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32% del personale non medico sono obiettori di coscienza. In 22 ospedali e quattro consultori in Italia, la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%. Solo Lazio, Toscana ed Emilia Romagna offrono un servizio omogeneo per l’interruzione della gravidanza.

Nei dati del 2022 della Lombardia, su 50 strutture, 12 non garantiscono l’accesso alla pillola Ru486. Nel 2022 sono state registrate 11.003 interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), con il 40% dei casi che ha optato per la pillola. In Lombardia, su 62 strutture pubbliche, 5 non offrivano Ivg a causa di obiezione di coscienza al 100%. Nel Piemonte, quasi la metà dei medici sono obiettori, e la giunta regionale di centrodestra ha proibito ai consultori di somministrare l’aborto farmacologico nel 2020. In Veneto, oltre il 71% dei sanitari è obiettore.

Al Centro-Sud, la situazione è definita “pessima” dalla ginecologa umbra Marina Toschi. I dati ministeriali confermano che le difficoltà sono evidenti: regioni come la Puglia, l’Abruzzo e la Sicilia presentano un tasso di obiezione tra i ginecologi superiore all’80%.

Nel Lazio, Molise e Campania, solo una percentuale limitata delle strutture offre servizi di interruzione di gravidanza, rispettivamente il 45,5%, il 33,3% e il 26,2%. La situazione è simile altrove, con tassi che variano dal 69,2% in Abruzzo al 50% in Sicilia e al 65,6% in Puglia.

QUANTO CI VUOLE PER ACCEDERE ALL’IVG?

In Calabria, nel 12,4% dei casi si attende oltre 28 giorni per l’interruzione di gravidanza, mentre in Sicilia, nell’8,6% dei casi si aspetta da 22 a 28 giorni e nel 21,6% dei casi da 15 a 22 giorni. In Basilicata, l’aborto oltre le 21 settimane avviene nel 2,8% dei casi, mentre in Puglia e Sicilia rispettivamente nell’1,9% e nell’1,8% dei casi.

SPOSTARSI PER ABORTIRE

Quasi un’interruzione di gravidanza su 3 effettuata da residenti della Basilicata avviene al di fuori della regione, mentre nel caso del Molise è una su quattro. Queste cifre sono molto superiori alla media nazionale, che è dell’8%. Nove province italiane registrano oltre la metà delle interruzioni di gravidanza effettuate al di fuori della provincia di residenza. Queste province includono Oristano e il sud della Sardegna, Chieti, Frosinone, Salerno, Vibo Valentia, Enna, Caltanissetta e Fermo nelle Marche.

“In Calabria non trovi un posto dove fare un aborto nemmeno per errore – aggiunge Toschi – in Sardegna si praticano troppi raschiamenti, in Basilicata la situazione è difficile, in Sicilia non c’è possibilità di aborto farmacologico. È una lotta continua, ci si affida al buon cuore dei pochi che ancora lavorano in un clima che è sempre più ostile”.

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