Lifestyle
L’influenza della luna sulla nostra vita quotidiana

Da secoli è protagonista di miti, rituali e credenze che la collegano direttamente al nostro benessere fisico, mentale e persino emotivo.
Ma quanto c’è di vero? La Luna influenza davvero la nostra vita quotidiana?
La teoria più diffusa è quella che associa la Luna ai cicli naturali: le maree, per esempio, sono influenzate dalla sua gravità. E dato che il nostro corpo è composto in gran parte da acqua (circa il 60%), c’è chi sostiene che la Luna possa influire anche su di noi, in particolare sul nostro umore e sui nostri ritmi biologici.
Alcune persone dichiarano di dormire peggio durante la Luna piena, altre si sentono più energiche o, al contrario, emotivamente instabili. Studi scientifici in merito non sono del tutto concordi, ma alcuni ricercatori hanno effettivamente osservato variazioni nei cicli del sonno in corrispondenza delle fasi lunari.
Crescita dei capelli, piante e decisioni importanti
Secondo la tradizione popolare, ci sarebbero momenti migliori per tagliare i capelli, seminare o persino iniziare nuovi progetti, a seconda delle fasi lunari. Ad esempio, la Luna crescente sarebbe perfetta per favorire la crescita e il rinnovamento, mentre la Luna calante per eliminare ciò che è vecchio o tossico (inclusi i pensieri negativi!).
Molti agricoltori ancora oggi seguono il calendario lunare per piantare e raccogliere i loro prodotti, basandosi su esperienze tramandate da generazioni.
La luna nel mondo spirituale e astrologico
Per chi crede nell’astrologia, ogni fase lunare ha un significato energetico. La Luna nuova è un momento di introspezione e nuovi inizi, mentre la Luna piena rappresenta la realizzazione, ma anche la necessità di “lasciare andare”. Non a caso, tanti rituali di rilascio si fanno proprio durante la Luna piena — come scrivere ciò che vogliamo eliminare e poi bruciare il foglio (in sicurezza, ovviamente).
Forse allora, non è solo questione di fisica, ma di connessione con qualcosa di più grande e antico.
Lifestyle
Nuovo trend all’aperto: cucina outdoor e barbecue per rivivere gli esterni

Al Brixia Forum di Brescia, nel BBQ Expo, sono protagoniste l’arte del barbecue e della cucina outdoor. Si tratta dell’unica fiera presente in Italia dedicata al fenomeno che sta ridisegnando il modo di vivere negli spazi esterni: un nuovo lifestyle che va ben oltre la semplice cottura su brace.
Si spiazza dalle tecnologie di cottura più sofisticate al design contemporaneo presente nelle cucine en plein air, non dimenticando che il barbecue tradizionale è una cucina che da valore al prodotto nella suo complesso, riuscendo anche a ridurre gli sprechi.
L’ARTE DELLA COTTURA
Il direttore di Area Fiera, Mauro Grandi, commenta l’evento dicendo: “L’obiettivo è democratizzare quest’arte della cottura, dimostrando che la passione per il barbecue non conosce barriere di spazio o di esperienza“. Come esempi di “tester” del nuovo fenomeno, vi sono al centro dell’attenzione le carni selezionate dai migliori produttori italiani, affiancate dai tagli più pregiati provenienti da tutto il mondo e le birre di qualità grazie alla presenza di produttori, birrifici artigianali e distillerie.
L’ESPANSIONE DELLA CUCINA OUTDOOR
Il nuovo fenomeno della cucina outdoor si sta espandendo sempre di più anche nei mercati, conquistando il cuore di molti italiani. Il tutto è confermato dai numeri che accertano l’interesse di un pubblico sempre più vasto. Lo si nota nei numeri registrati durante l’edizione 2024 del BBQ Expo: 24.000 visitatori in totale, mentre nel 2025 l’80% degli spazi espositivi è già stato prenotato. L’evento vedrà raddoppiare gli spazi espositivi con 300 marchi rappresentati tra cui 60 espositori internazionali.
MASTER’S CHALLANGE: LA SFIDA TRA I MIGLIORI GRIGLIATORI
Uno dei momenti più intensi della fiera è il BBQ Expo Master’s Challenge, una competizione che vedrà sfidarsi 30 team in un entusiasmante battaglia all’ultima griglia. Le categorie in gara saranno:
- Chicken (pollo)
- Pork Ribs (costine di maiale)
- Pork-Boston Butt (collo e spalla di maiale)
- Brisket (punta di petto di manzo)
Lifestyle
Dalla malinconia all’arte: come poeti e artisti traformavano la tristezza in arte

Hai mai ascoltato una canzone triste che ti ha fatto sentire meno solo? O guardato un dipinto che sembrava raccontare esattamente ciò che non riuscivi a dire?
Quella sensazione, quella fitta dolceamara, è la malinconia. Non necessariamente una sensazione da combattere o reprimere, ma magari una compagna silenziosa che può evolversi in effettiva fonte d’ispirazione.
Da secoli, artisti e poeti hanno fatto infatti della tristezza un vero e proprio linguaggio universale, e sorprendentemente, da quel “buio” sono nate alcune delle opere più famose della storia.
COSA NE PENSAVA LEOPARDI?
Leopardi, in questo caso scriveva non per distrarsi dal suo malessere, ma per potergli dare una forma.
Scrivere era un modo per affrontare quello che provava e capirlo meglio. E forse anche per comunicarlo a chi, come lui, si sentiva spaesato di fronte alla vita.
La figura di Silvia, in questo caso rappresenta una giovinezza idealizzata, piena di speranze che la realtà spegne prima del tempo, ed è così, che il dolore si ricollega al ricordo e alla perdita delle illusioni.
Questa consapevolezza non lo paralizzava. Al contrario, diventava il motore del suo scrivere.
L’infinito racchiude perfettamente le fasi del cosiddetto pessimismo leopardiano, che, con il suo “naufragar dolce in questo mare” ci mostra che anche il dolore può avere una propria dolcezza, dove la sofferenza provata una volta arrivati alla consapevolezza dei propri limiti, invece di schiacciare l’individuo, lo conduce a un’estasi contemplativa.
Quella di Leopardi è quindi di un tipo di malinconia che non deve in alcun modo rappresentare un ostacolo, ma un punto di partenza (un po’ come la siepe, che pur limitando il campo visivo, suscita ulteriori orizzonti con la mente).
LE SILENZIOSE PENNELLATE DI HOPPER E VAN GOGH
Possiamo dire che Edward Hopper abbia dipinto solitudini moderne: è noto per i suoi quadri che catturano l’alienazione della vita moderna, ed in generale, la sua arte si distingue per il modo in cui esplora l’isolamento urbano e la tristezza silenziosa degli individui in ambienti anonimi e spersonalizzati.
Ha vissuto a New York per gran parte della sua vita, ha osservato la città come un luogo in cui le persone, pur vivendo a stretto contatto, sono spesso profondamente sole.
La famosa Nighthawks (1942), con il suo bar notturno vuoto, è l’esempio perfetto di come usi la solitudine come strumento artistico. I personaggi del dipinto sono isolati nonostante siano fisicamente vicini l’uno all’altro, e l’illuminazione artificiale che invade il locale sembra accentuare il senso di vuoto e silenzio che li circonda. La tristezza qui è invisibile ma palpabile, nascosta sotto l’apparente normalità di una scena notturna.
L’intento di questi dipinti, è quello di suggerire che, nonostante l’incredibile sviluppo della vita urbana e l’apparente connessione sociale, l’individuo rimane spesso intrappolato nella propria solitudine, incapace di trovare un vero senso di comunità o di connessione autentica.
La tristezza qui diventa una riflessione sull’alienazione della modernità.
Vincent Van Gogh, non ha mai nascosto il legame tra la sofferenza e la propria arte. Le sue lettere, (ed in particolare quelle più personali, inviate al fratello Theo) sono piene di riflessioni sul suo stato d’animo, ed è da qui che possiamo notare come il dolore e la depressione, anziché indebolirlo, alimentassero la sua ricerca artistica.
In una di queste lettere, in particolare scrisse, “sono un’anima tormentata in cerca di pace, e sono contento tu sia sempre al mio fianco nel momento del bisogno. Nonostante le critiche e le difficoltà, io continuo a dipingere con tutto il mio cuore e la mia anima”
Ed è così, che il pittore olandese donava soggettività alle forme della realtà a lui circostante, personalizzandole in base al proprio stato d’animo (caratteristica tipica dell’impressionismo); la Notte stellata ad esempio dipinta poco prima dell’estremo gesto, rivela una fusione tra l’intensità del dolore e il desiderio di trovare un ordine estetico nel caos della sua mente.
Tuttavia era il colore il suo punto forte.
In un’altra lettera, (scritta ad Arles intorno al 1888), rivela “Invece di cercare di riprodurre esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario, per esprimere me stesso con maggiore forza.”
E così, la pace interiore si traduceva con l’azzurro, mentre, se si sentiva agitato o preso da impulsi intensi, ricorreva al rosso, (spesso contrastato da verdi acidi o blu profondi). Addirittura, in alcuni autoritratti, si dipinge con sfumature rossastre nella pelle, quasi a voler includere i tratti dell’ energia nervosa provata.
Il giallo, invece nei suoi quadri diventava il colore del sole e della vita, associato pertanto alla felicità e rinascita (non a caso ricollegato poi al fiore della luce e allegria per eccellenza).
Il suo uso quasi accecante, ne rifletteva un’energia frenetica e a tratti ossessiva, come se cercasse disperatamente una luce che gli sfuggiva.
La malinconia, in questo caso è per per Van Gogh una caratteristica della vita, ed espressa poi attraverso il colore, la forma e la luce.
MALINCONIA CONTEMPORANEA: DAI QUADRI A SPOTIFY
La malinconia non è rimasta nei musei o nelle pagine ingiallite. La troviamo anche oggi nelle canzoni di Lana Del Rey e persino nei post nostalgici condivisi all’alba su Instagram.
Trasformare la malinconia in arte è un gesto rivoluzionario: significa accettare la propria vulnerabilità e condividerla.
E allora, la prossima volta che avrai l’impressione di provare una sensazione simile, non respingerla immediatamente.
Potrebbe essere il primo passo verso qualcosa di bello.
Lifestyle
Adolescence: l’importanza sul tema del disagio giovanile

La nota miniserie britannica targata Netflix, in pochi giorni è diventata la miniserie più vista in così poco tempo. Girata ad un’unica ripresa, Adolescence tratta temi delicati indirizzati non solo ai giovani, ma anche ai genitori, se non soprattutto.
L’enorme impatto positivo ricevuto dalla serie, non è stato reso solo alla tecnica innovativa che ha tenuto incollati gli spettatori fino all’ultimo, ma dalla realizzazione delle scene con un tratto crudamente reale e che colpisce subito a primo impatto.
PARLA UNO PSICHIATRA
La serie inglese, ha inoltre provocato un enorme dibattito sul tema degli adolescenti di oggi. A riguardo, si è espresso in un’intervista all’ANSA, lo psichiatra supervisore scientifico della serie Rai sui disturbi alimentari Fame d’amore, Leonardo Mendolicchio, dicendo: “Con la sua narrazione frammentata e affettivamente satura, è molto più che una serie su ‘giovani problematici‘ ” aggiungendo: “È rivelatrice di quanto poco il mondo adulto sappia — o voglia — comprendere l’universo psichico delle nuove generazioni. Il linguaggio degli adolescenti di oggi è profondamente mutato, deformato e rifondato dall’ambiente digitale in cui sono immersi fin dalla nascita. La loro grammatica affettiva non passa più (solo) per la parola detta, ma si manifesta in un codice visivo, performativo, accelerato: stories, meme, silenzi prolungati, corpi esposti, emoji che condensano un intero vissuto.”
DISAGI INVISIBILI AI GENITORI
Non a caso, c’è un collegamento tra la miniserie Adolescence e i vari casi di cronaca accaduti in Italia nell’ultimo anno: ad esempio, il suicidio del giovane studente universitario Andrea Prospero a Perugia, l’omicidio familiare di avvenuto a Paderno Dugnano nel 2023 ad agosto, in cui un ragazzo di 18 anni ha ucciso sia entrambi i genitori che il fratellino di soli 10 anni. Due casi estremi legati da un elemento in comune: l’invisibilità del disagio adolescenziale agli occhi degli adulti.
Il giovane di Perugia, Andrea Prospero, si è tolto la vita a causa di un istigazione da un presunto ‘amico‘ di chat, che gli dettava le istruzioni uccidersi. Un atto estremo e apparentemente senza preavviso, che con molta probabilità parlava da tempo, solo tramite canali che nessuno è riuscito a decifrare in tempo.
UN NUOVO LINGUAGGIO
In diversi luoghi, dalla scuola, alla famiglia, ai servizi educativi, la lingua che si continua ad usare è quella di un mondo lineare e principale, basato sulla razionalità dell’adulto. Ma i ragazzi oggi, parlano una lingua diversa, spesso muta, fatta da gesti criptici, comportamenti eccentrici e di presenze e assenze sui social che valgono più di mille parole.
Lo stesso vale per il caso di Paderno Gugnano, in cui un ragazzo compie un massacro familiare. Tale gesto non può essere compreso solo tramite categorie penali o psicopatologiche. Il ragazzo non ha solo ucciso, ha agito furiosamente in silenzio, un’esplosione il cui contesto simbolico in cui era immerso debba essere analizzato. La mancanza di parola e di simbolizzazione, sono fattori che sorgono in un contesto in cui l’adulto non c’è o è incapace di “intercettare” perché rimane saldo al proprio linguaggio, non approfondendo l’ascolto autentico.
MOLTO PIU’ DI UNA SERIE
Adolescence, come in questi due casi sopra citati, manifesta l‘immagine di una generazione sola in mezzo al resto della folla, connessa ma al contempo non capita, esposta ma non riconosciuta. Il dolore dei ragazzi di oggi non viene mostrato tramite le vie del passato: non viene detto, viene postato; non si dichiara: si manifesta attraverso il corpo, il silenzio e il l’acting-out.
Ciò non significa che non c’è più bisogno di cura o ascolto, ma che serve reinventare la modalità dell’incontro. Non bastano le parole, servono nuovi alfabeti. Allora, prosegue Mendolicchio, la vera domanda è: siamo disposti, come adulti, a disimparare il nostro modo di capire, per imparare a leggere quello altrui? Oppure continueremo a interpretare ogni gesto giovanile con le nostre categorie esauste, finché l’urlo non diventa tragedia?
Nell’epoca della comunicazione totale, siamo più che mai incapaci di ascoltare davvero. Adolescence ci mette davanti a questa contraddizione e ci obbliga a fare un passo indietro: per tornare, forse, a guardare negli occhi chi, nel loro silenzio più acuto, ci sta chiedendo aiuto.
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