Calcio
L’Olanda reagisce nel secondo tempo e vola in semifinale. Decisivo l’autogol di Muldur

Si chiude il quadro delle semifinali di Euro2024. All’Olympiastadion di Berlino l’Olanda batte in rimonta la Turchia e raggiunge il penultimo atto dell’europeo, decisivo l’autogol di Muldur, dopo il pareggio momentaneo di De Vrij al gol di Akaydin. Si ferma ai quarti di finale il sogno della Turchia di Vincenzo Montella. In semifinale l’Olanda affronterà l’Inghilterra.
In avvio il possesso è controllato stabilmente dall’Olanda, con gli Oranje che si dimostrano intraprendenti al cospetto di una Turchia compatta e rannicchiata nella propria metà campo. Le occasioni di Depay terminano alte sopra la traversa e con il passare dei minuti la manovra della squadra di Koeman diventa sempre più lenta e meno fluida e la Turchia comincia a conquistare campo grazie alle giocate di Arda Guler, fulcro del gioco e del possesso turco. Intorno alla mezz’ora la Turchia comincia a collezionare occasioni, prima con Ozcan e poi con Bardacki, e al 35′ trova il gol del vantaggio: sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Guler riceve palla e con il destro mette in mezzo sul secondo palo, dove arriva lo stacco di Samet Akaydin che approfitta di un errore in uscita di Verbruggen e porta in vantaggio la Turchia, rimediando allo sciagurato autogol nella seconda giornata contro il Portogallo.
Nella ripresa Koeman prova a riaccendere i suoi con l’ingresso di Weghorst al posto di un evanescente Bergwijn. La presenza del centravanti del Burnley permette agli olandesi di avere un punto di riferimento in area di rigore, e le prime occasioni della ripresa sono tutte di marca olandese, con traversoni insidiosi nella zona di Weghorst, ammortizzati dalla difesa turca con più di qualche difficoltà. Al 69′ Weghorst sfiora il pareggio con una conclusione strozzata sul primo palo, chiusa da Gunok in calcio d’angolo. Sugli sviluppi del corner gli Oranje trovano la rete con lo stacco imperioso di De Vrij, lasciato completamente solo dalla difesa turca, su cross di Depay. Il pareggio del difensore nerazzurro accende in maniera furente l’Olanda, che riesce a ribaltare tutto al 75′ con Dumfries che mette in mezzo un pallone rasoterra verso il secondo palo, con Muldur che nel tentativo di anticipare Gakpo colpisce il pallone che entra lentamente in rete e sigla il decimo autogol di questo europeo. Montella decide di sbilanciare la propria squadra e all’85’ la Turchia sibila con il pareggio con una conclusione a botta sicura di Celik salvata in maniera eroica da Van De Ven. L’Olanda prova a chiudere la gara in contropiede e all’88’ Gakpo sfiora il 3-1 con un mancino al volo respinto con i piedi da Gunok. Nel primo dei cinque minuti di recupero Verbruggen compie un vero e proprio miracolo con un riflesso incredibile sulla conclusione ravvicinata di Kilicsoy.
Si conclude il sogno della Turchia, al termine di una partita equilibrata e molto tirata. l’Olanda reagisce nel secondo tempo, grazie anche ai cambi di Koeman, e raggiunge l’Inghilterra in semifinale. Mercoledì sera a Dortmund la semifinale, per una nazionale che continua a sognare in grande.
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Champions League, semifinali di ritorno: Romanzo Nerazzurro, estasi a Parigi

E alla fine rimasero solo in due… In attesa dell’ultimo atto, in programma il 31 maggio a Monaco di Baviera, le due gare di ritorno hanno lasciato un ricordo indelebile negli annali di questa competizione. Da una parte un successo leggendario, quello dell’Inter sul Barcellona, dall’altro il capolavoro parigino della squadra di Luis Enrique, ai danni dell’Arsenal. Sarà Inter-PSG la finale di Champions League 2024/2025.
Inter-Barcellona
Non credo esista un fenomeno fisico capace di spiegare le modalità con cui una partita possa cambiare completamente inerzia, e Inter-Barcellona rappresenta al meglio questa mia teoria, perché vi assicuro che è stato uno spettacolo unico.
Se avete visto la partita, siamo sicuri che non dimenticherete mai i 122 minuti di San Siro, ma se non l’avete vista…non sapete cosa vi siete persi!
4-3 nei 120 minuti, 7-6 il totale. Numeri da ATP Finals, uno di quei match che tiene qualsiasi appassionato incollato al seggiolino, o al divano che sia. Inter-Barcellona ha seguito lo stesso copione, e ci ha regalato senza dubbio una delle semifinali più memorabili che si ricordino, e non solo per il risultato finale ma per le modalità con cui si è consumato questo romanzo calcistico.
Scrissi della gara d’andata come “la partita più bella di questa Champions”. Bene, non sono passati nemmeno sette giorni dalla gara di Montjuic, che sono stato costretto a rielaborare subito il mio pensiero. Raccontare la gara di San Siro in poche parole è uno degli esercizi di scrittura più complessi che si possano assegnare, ma nelle righe precedenti ho parlato di romanzo, e pertanto è necessario dividere questa partita in capitoli:
Capitolo 1 || Capitano, mio capitano! ||
Gianni Mura scriveva che “i veri capitani possono morire o anche scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile.” Sette giorni fa Lautaro Martinez veniva sostituito al minuto 45 a causa di un infortunio muscolare. La diagnosi non fu lapidaria, una elongazione ai flessori della coscia sinistra, ma il velo di mistero sulla sua presenza è stato argomento di dibattito per tutta la settimana. All’annuncio delle formazioni però il capitano c’è, in coppia con Marcus Thuram al centro dell’attacco nerazzurro. I quarantacinque minuti dell’Inter sono una sinfonia assoluta, e la bacchetta principale è quella del maestro Martinez, perché il capitano nerazzurro gioca a un ritmo forsennato. Scatti infiniti in avanti, ripiegamenti continui per fornire supporto alla difesa, e nel momento del bisogno i sigilli che indirizzano la partita: al 21′ appoggia facilmente in rete il pallone del vantaggio, servito da Dumfries; a cinque dall’intervallo si procura il rigore, trasformato da Calhanoglu, che vale il doppio vantaggio all’intervallo. Nel secondo tempo cerca di inseguire qualsiasi essere umano con una divisa verde, ma termina presto la benzina e Inzaghi lo sostituisce al minuto 71. Tutto il Meazza si alza in piedi e applaude l’argentino, che nei giorni dopo Barcellona non riusciva nemmeno ad alzare la gamba, e cinque giorni dopo ha messo in difficoltà una delle squadre più forti al mondo. D’altronde, certi capitani, non si possono dimenticare!
Capitolo 2 || Attacco totale ||
2-0 sotto all’intervallo, pareggio riacciuffato in meno di dieci minuti. Non sappiamo cosa abbia detto Hansi Flick ai suoi giocatori, ma di sicuro è riuscito a riaccendere la miccia. L’uno-due dei catalani è freddo, glaciale, e manda l’Inter alle corde: al 54’ Eric Garcia infila Sommer con un destro al volo sotto l’incrocio, mentre sei minuti dopo Dani Olmo pareggia quasi allo stesso modo, approfittando di un errore in marcatura di Carlos Augusto. Gli assist arrivano da Gerard Martin, meglio in fase di rifinitore che da difensore. Nel mezzo, un gran parata di Sommer su Garcia (che però centra il portiere svizzero a porta spalancata). È un Barça diverso, più vivo, che guadagna angoli con continuità e pressa un’Inter sempre più stanca, ma mai al tappeto. Al 70’ il Var toglie un rigore a Yamal (il fallo di Mkhitaryan è un paio di centimetri fuori area), poi la giovane stella del Barça s’inventa un sinistro dal limite costringendo Sommer a un gran parata, e non sarà l’ultima… La superiorità del Barcellona, nel secondo tempo, è evidente. L’Inter non riesce ad avere quella lucidità e pulizia che nel primo tempo aveva indirizzato la partita a suo favore, e al minuto 86 subisce la rete del 2-3, siglata da Raphinha. Poi nei minuti di recupero l’Inter attacca con le ultime energie rimaste, e il Barcellona si barrica nella propria metà campo. O almeno così avrebbe dovuto fare…
Capitolo 3 || La vecchia scuola ||
Negli ultimi anni abbiamo osservato le remuntade del Real Madrid. I Blancos sono stati capaci di mostrarci quanto il calcio possa prendere strade alternative all’ultimo istante, in quegli scorci di partita in cui nessuno vede altro se non buio. Il grido comune dei tifosi madrileni era “90 MINUTI EN EL BERNABÉU SON MOLTO LONGO”. Anche a San Siro il tempo ha deciso di fermarsi per qualche attimo, regalando una serie di eventi che meritano dei racconti a parte. Sei minuti di recupero, ormai sembra tutto finito. Al secondo minuto Yamal colpisce il palo alla sinistra di Sommer, trenta secondi dopo l’Inter si ritrova dall’altra parte del campo: è il momento sliding door della stagione, perché Cubarsi vince il contrasto aereo con Thuram, ma lascia la palla nei pressi del centrocampo. Il Barcellona continua la sua lotta contro l’ideologia base della difesa del calcio e quando Thuram cerca Dumfries in profondità i difensori catalani sono in inferiorità numerica contro l’attacco nerazzurro (4 vs 3).

Foto: skysport
L’olandese vince il contrasto con Martin e crossa verso il primo palo, Acerbi (37 anni, difensore centrale, al minuto 93) arriva per primo, anticipa Araujo e fa esplodere San Siro. Primo gol in Champions per il centrale nerazzurro, di una pesantezza e un’importanza indescrivibili. Yamal cerca di aggiungere un capitolo alla sua già gloriosa storia, ma Sommer blocca la conclusione dello spagnolo. Ai supplementari l’Inter ne ha di più, San Siro è una bolgia, ormai tutto il pubblico di fede nerazzurra è parte attiva di questa ode al romanticismo calcistico, che raggiunge il suo apice in due momenti: il primo è al minuto 99, quando Frattesi deposita in rete il pallone del 4-3. Il secondo arriva al 114′, Yamal riceve palla in profondità, sistema la palla sul suo sinistro magico e apre il piatto verso il palo lontano. Sommer (36 anni) si tuffa in allungamento, distende il braccio e riesce a mandare in calcio d’angolo. In quel momento l’Inter capisce che la dea bendata questa sera ha i capelli lunghi, un accento francese e un paio di guanti gialli. Nel recupero non succede niente, e Monaco di Baviera adesso è realtà!

Grafica: Julya Marsala
Un capolavoro a tinte nerazzurre. Una cavalcata che adesso attende l’ultimo passo, il più importante di tutti. I numeri dell’Inter in questa Champions sono incredibili, basti pensare che in tutta la competizione la squadra di Inzaghi è stata in svantaggio 16 minuti. Un numero impressionante, se poi si aggiungono gli avversari affrontati (Barcellona, Bayern Monaco, Arsenal, Manchester City, Leverkusen e Lipsia su tutte), viene fuori una solidità difensiva e una compattezza di squadra ai limiti dell’incredibile. Il destino ha voluto ancora una volta l’Inter in finale, anche se questa volta il fato c’entra ben poco.
Il destino potrà essere scritto prima, ma la grafia è sempre quella del destinatario, e la penna di questo capolavoro calcistico è indubbiamente quella di Simone Inzaghi, autore di un percorso clamoroso alla guida del club nerazzurro, fin troppo mascherato dalla banale visione del palmares (che comunque rimane importante). Negli ultimi anni ho visto poche squadre migliorare costantemente come l’Inter, un ecosistema in continua evoluzione, capace di raggiungere due finali di Champions League in tre anni. Il romanzo nerazzurro necessita di un atto conclusivo degno di nota, e se queste sono state le pagine principali siamo sicuri che la finale non deluderà le aspettative.
Paris Saint Germain-Arsenal
Donnarumma dopo 10’ ha già fatto due parate impossibili, con l’Arsenal che attacca “senza paura” come promesso da Declan Rice (sua la prima occasione) ma che al 17’ viene graziato dal palo su una magia di Kvaratskhelia. Il gol arriva al 27’, con un meraviglioso tiro dal limite di Fabian Ruiz su cui Raya non può fare veramente nulla. Rice salva su Barcola qualche minuto dopo, e nella ripresa Donnarumma deve fare un altro miracolo al 64’, stavolta su uno splendido tiro a giro di Saka, e sul capovolgimento di fronte Hakimi in contropiede arriva al tiro, intercettato da Raya dopo una deviazione di Lewis-Skelly: si gioca per un paio di minuti prima che l’arbitro venga richiamato al monitor per punire con un rigore il mani del talentino inglese. Dal dischetto Vitinha si fa ipnotizzare da Raya, ma al 72’ il Psg fa 2-0 con un gran tiro a girare di Hakimi. Sembra chiusa, ma al 76’ l’Arsenal trova con Saka il gol che ha inseguito per tutta la partita. Non basta per riaprirla: il PSG vola in finale.
Un sogno parigino
I francesi l’hanno fatta sembrare semplice, ma a questi livelli di semplice non c’è proprio nulla. C’è voluta la versione migliore del talento offensivo a disposizione di Luis Enrique, c’è voluto il primo gol in Champions di Fabian Ruiz, c’è voluto un Kvara semplicemente imprendibile per i difensori inglesi. C’è voluto anche un Gigio Donnarumma tornato in questi mesi al livello di un top mondiale nel suo ruolo dopo un autunno complicato. Anche oggi l’estremo difensore azzurro ha messo i suoi guanti sulla partita, con tre interventi uno più bello -e decisivo- dell’altro. Il PSG ha saputo incassare quando ce n’era bisogno, con l’Arsenal che ha sprecato occasione dopo occasione, segnando solo con Saka quando di fatto era tutto già finito, e ha anche sprecato un rigore calciato con incredibile leggerezza da Vitinha.
L’ariete
L’Arsenal di Arteta sembra invece essere arrivato a questo impegno scarico, forte sì del secondo posto onorevole dietro al Liverpool in campionato, ma anche privo del DNA della grande squadra, quello che ti fa trovare soluzioni quando non se ne vedono. Saka ha giocato una partita eccezionale, ma non così i suoi compagni di reparto, su tutti Merino che ha passato la partita a perdere i duelli chiave contro i difensori del PSG. La mancanza di un centravanti d’area di rigore è uno dei temi principali che veleggiano attorno all’ambiente Arsenal, e nel prossimo mercato la sensazione è che qualche nome grosso arriverà nel nord di Londra. Alla squadra di Arteta serve un finalizzatore, un rapace d’area capace di concludere al meglio tutte le offensive create da Saka, Odgaard, Martinelli ecc. E nonostante tutto questo i “gunners” hanno chiuso con 3 gol attesi (XG). Ci sarà di certo modo per rifarsi, magari già la prossima stagione, ma intanto questa è un’occasione persa enorme.

Foto: X Arsenal
31 maggio
Sarà quindi una finale molto italiana, visto che molti in questo PSG sono passati dal nostro campionato, allenatore ovviamente incluso. Si gioca il 31 di questo mese, quindi entrambe le squadre avranno il tempo di riposare, di studiarsi, di cercare di tirare fuori dal cilindro la mossa che non ti aspetti. Non resta che aspettare e segnare la data sul calendario:
Ci sarà da divertirsi!
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Una notte che vale la storia. L’Inter è in finale di Champions League

Sono serviti 120 minuti, 210 nel totale, per decretare la prima finalista della Champions League 2024/25. La partita dell’anno si conclude con un meraviglioso 4-3, che vale la finale di Champions per l’Inter di Simone Inzaghi. Gara ai limiti del fantasy che i nerazzurri portano meritatamente a casa. E adesso la finale di Monaco di Baviera non è un sogno. Appuntamento al 31 maggio
Un incasso da record, il più alto di sempre, per la partita più importante degli ultimi anni nerazzurri. Ligabue cantava che certe notti non si può restare soli, e siamo sicuri che nessun tifoso dell’Inter questa sera rimarrà da solo, chiunque ricorderà gli amici o i momenti che precedono e seguono questa semifinale.
Novanta minuti separano Inter o Barcellona dal pass per l’Allianz Arena di Monaco di Baviera, dove l’Inter ha già trionfato quest’anno. Le scelte dei due allenatori sono le migliori possibili: Inzaghi trova Lautaro Martinez dal primo minuto e conferma interamente il blocco visto a Montjuic. Il capitano nerazzurro recupera dall’infortunio muscolare della scorsa settimana e fa coppia con Thuram. Il Barcellona recupera Lewandowski, ma soltanto per la panchina, Flick sceglie ancora Gerard Martin sulla sinistra e Eric Garcia a destra, al posto dell’infortunato Koundé.
San Siro è una bolgia, come detto prima l’incasso è da record (15 milioni di euro), e il tifo nerazzurro risponde come sempre alla grande. In avvio il possesso è dell’Inter, ma al primo contrasto Yamal imbuca subito per Ferran Torres, in posizione di fuorigioco. Dopo meno di trenta secondi la difesa dell’Inter si espone al primo rischio, e questo mostra la pericolosità dei catalani, in qualsiasi momento della partita. Pressione alta dei nerazzurri fin dai primi minuti, un approccio diverso rispetto all’andata dove era il Barcellona a gestire attivamente la fase di pressing. Lo sviluppo dell’Inter è invece fotocopia a quanto fatto in Catalogna: fraseggio corto e rapido sulla sinistra, e lancio lungo a liberare la corsia destra di Dumfries. Nel Barcellona la manovra va sempre verso Yamal, che comincia a divertirsi a modo suo saltando sistematicamente due o tre avversari. All’ottavo minuto Dumfries sovrasta fisicamente Gerard Martin, arriva fino al fondo ma non riesce a calciare verso la porta di Szczesny. L’olandese è il valore aggiunto della manovra dell’Inter e si conferma fondamentale anche oggi. Con la solita, altissima, linea difensiva del Barcellona, l’Inter cerca di sfondare per vie centrali, e già dal quarto d’ora i nerazzurri hanno vistose praterie per attaccare. È un’Inter molto coraggiosa, pulita e lucida con il pallone tra i piedi e molto attenta nel ripiegare una volta persa palla. Al 21′ l’Inter va meritatamente in vantaggio: Dimarco ruba palla a Dani Olmo, troppo passivo nel controllo, e va subito in verticale da Dumfries, l’olandese è da solo davanti a Szczesny e apparecchia in mezzo per Lautaro. Il capitano nerazzurro non deve fare altro che spingere in porta il pallone del vantaggio, la bandierina non si alza e l’Inter mette in discesa la partita con ampio merito, per la mole di gioco proposta e per il coraggio delle idee. Dopo l’ennesimo schiaffo subito, il Barcellona si mette sotto e fa l’unica cosa che riesce a fare bene: attaccare a testa bassa. L’Inter trova sempre tanto spazio in ripartenza, ma comincia a scoprirsi agli attacchi dei blaugrana (oggi in maglia verde), sempre prevedibili e poco pericolosi nella prima mezz’ora. Al 42′ Lautaro va verso la porta, Cubarsi è in ritardo e cerca l‘intervento disperato in scivolata. Inizialmente Marciniak non fischia nulla, ma il VAR richiama il fischietto polacco e dalle immagini non ci sono dubbi: Cubarsi non tocca il pallone ma colpisce in pieno il capitano nerazzurro, calcio di rigore. Dal dischetto Calhanoglu è glaciale, pallone da una parte e portiere dall’altra. C’è una sola squadra in campo a San Siro, e non è il Barcellona. All’intervallo la squadra di Inzaghi va a riposo con due gol, a quarantacinque minuti dalla finale di Monaco, che si avvicina sempre di più.
Nessun cambio all’intervallo. Flick non rischia subito Lewandowski e questo fa intendere la tenuta atletica del polacco, al rientro dall’infortunio ma evidentemente non ancora pronto. Nonostante un maggior possesso, il Barcellona non riesce a sfondare, e continua a mostrare uno squilibrio quasi imbarazzante nel momento in cui l’Inter riparte in campo aperto. Al 51′ Acerbi di testa fa 3-0, ma è in netta posizione di fuorigioco. Due minuti dopo il Barcellona accorcia le distanze: azione confusa condotta da Pedri, che dopo una prima chiusura trova Gerard Martin, cross sul secondo palo verso Eric Garcia, piattone al volo e pallone sotto l’incrocio. Il Barcellona sembra rigenerato, e dopo soli due minuti ha l’occasione per il pareggio: contropiede avviato da Yamal e Pedri, l’Inter è sbilacciatissima e si ritrova due contro tre al limite dell’area. Pedri allarga per Gerard Martin che saggiamente apparecchia all’indietro per Eric Garcia, lo spagnolo ha la porta spalancata ma calcia centrale, Sommer si distende e salva il risultato. Il pareggio è solo rimandato perché la pressione del Barcellona è completamente diversa, più intensa e ragionata. Inzaghi sostituisce Dimarco con Carlos Augusto, ma l’Inter dalla rete del 2-1 non riesce a giocare con ordine e lucidità. La paura presenta il conto all’ora di gioco, quando Gerard Martin (completamente rigenerato in questo secondo tempo) disegna un gran cross sul secondo palo, nessuno segue l’inserimento di Dani Olmo che in tuffo pareggia la partita. L’inerzia della gara sembra completamente ribaltata. L’Inter sembra di colpo uscita dalla partita, il Barcellona piazza le tende nella metà campo e solo il VAR grazia i nerazzurri al 69′, quando Mkhitaryan stende Yamal a ridosso dell’area di rigore e Marciniak assegna la punizione dopo una prima segnalazione di penalty. . Inzaghi cerca forza fresche dalla panchina, e sostituisce Bisseck e Lautaro Martinez con Darmian e Taremi. Prestazione assoluta del capitano dell’Inter, nonostante l’infortunio l’argentino è stato il faro nella notte, prezioso con il gol e il rigore procurato. La prima mossa di Flick non è Lewandowski, ma Araujo al posto di Inigo Martinez. Al 76′ Yamal si accende all’improvviso, trova lo spiraglio per mettere la palla all’incrocio dei pali, ma Sommer è fenomenale in tuffo. Inzaghi rinforza la mediana con Zielinski e Frattesi per Calhanoglu e Mkhitaryan. Prestazione molto dispendiosa per i due centrocampisti, che negli ultimi minuti stavano tirando il fiato correndo dietro Pedri e raddoppiando su Yamal (nel caso dell’armeno). Il ritmo della partita si abbassa verso l’ottantesimo, con uno sguardo attento sui supplementari, anche se le due squadre non sembrano risparmiarsi. Flick risponde ai due cambi di Inzaghi con Fermin Lopez per Olmo, una mossa mirata a cercare più qualità e palleggio in mezzo al campo. All’87’ il Barcellona completa la rimonta: Pedri recupera palla, smista velocemente verso Raphinha, la prima conclusione del brasiliano è potente, ma Sommer respinge con i pugni, nella ribattuta il capocannoniere della Champions ci va con il destro e completa la rimonta del Barcellona. San Siro sente morire qualcosa, lo si evince dal silenzio tombale che si percepisce al momento del sorpasso catalano. Al novantesimo scatta l’ora di Lewandowski, al posto di Ferran Torres. Nel recupero, al secondo dei cinque, Yamal colpisce il palo interno con il sinistro. Sembra la parola “fine” alla partita, ma questa Inter lotta fino all’ultimo secondo. Su uno degli ultimi palloni, Dumfries vince il contrasto con Gerard Martin e mette in mezzo il pallone della speranza, trasformato in rete da Acerbi. Rete di un peso inaudito, ma di una qualità sopraffina, perché il centrale nerazzurro anticipa Araujo con il piatto del piede destro e scaglia la palla sotto l’incrocio. C’è ancora partita, anche al ritorno il risultato è fisso sul 3-3, anche se prima del triplice fischio Sommer blocca un ultimo tiro di punta di Yamal.
Per Marciniak lo spettacolo deve continuare, questa semifinale non vuole saperne di smettere. Si va ai tempi supplementari!
All’inizio dei supplementari, ancora una volta, il canovaccio tattico si ribalta nuovamente. Se per tutto il secondo tempo il Barcellona sembrava andare a una velocità superiore, all’inizio dei supplementari l’Inter sembra trovare energie nascoste. Al 99′ il risultato cambia ancora una volta: Thuram sfrutta le sue ultime energie per saltare tutta la parte sinistra della difesa catalana, palla in mezzo verso Taremi che è bravissimo nell’appoggiarsi a Frattesi, il centrocampista nerazzurro è lucido nel ritardare la conclusione e piazzare il mancino sul palo opposto, dove Szczesny non può nemmeno arrivare. Il Barcellona va alla ricerca di Lewandowski, una soluzione che è mancata completamente nelle due gare, ma Acerbi lo marca a vista, e tutti i cross arrivano tra le mani di Sommer senza particolari problemi.
Gli ultimi due cambi di Flick sono Gavi e Pau Victor per Pedri e Cubarsì. Attacco totale dei blaugrana per gli ultimi quindici minuti. Non c’è bisogno di mettere su una qualsiasi formazione, perché per questo secondo tempo supplementare il Barcellona va completamente all’attacco, rimane solo Araujo indietro. Inzaghi sceglie De Vrij al posto uno stanchissimo, e applauditissimo, Dumfries. Al 108′ Thuram prova a replicare l’assist di Monaco di Baviera, ma la difesa respinge sui piedi di Frattesi, mancino sul primo palo ma lì Szczesny compie un miracolo. Al 114′ Yamal viene imbucato da Raphinha, calcia a giro sul secondo palo ma Sommer questa sera, nonostante i tre gol subiti, è insuperabile. Colpo di reni maestoso dell’estremo difensore nerazzurri, una partita pazzesca nonostante i tre gol subiti. Nel finale l’Inter resiste a qualsiasi attacco, De Vrij chiude qualsiasi cosa e dopo due minuti di recupero Marciniak fischia tre volte.
“Ci vediamo da Mario, prima o poi”. Non sappiamo se Mario sia un tifoso dell’Inter (probabilmente sì), non sappiamo la sua provenienza, ma sappiamo che anche lui, insieme a Ligabue e tutto il pubblico nerazzurro, faranno le valigie e segneranno il 31 di maggio con il pennarello rosso. L’Inter raggiunge con merito la finale di Champions e lo fa al termine della partita più bella dell’anno (e sarà difficile spodestarla). Dopo un primo tempo meraviglioso, il Barcellona aveva trovato i tre gol per accedere alla finale, ma nel finale l’Inter ci ha messo cuore, ci ha messo grinta e carattere. Prima Acerbi, come un vero centravanti, e poi Frattesi, hanno ribaltato nuovamente il risultato e adesso la finale attende solo la seconda pretendente. Arsenal o PSG ormai non fa differenza, perché l’Inter adesso non ha più paura, ma intimorisce chiunque. A novanta minuti dal sogno, Inzaghi si gode una delle notte più gloriose della storia recente dell’Inter. Termina ogni speranza Triplete del Barcellona. La squadra di Flick esce meritatamente dalla competizione, e adesso tutti gli occhi si concentrano sul campionato, dove i catalani hanno adesso l’obbligo di tenere a distanza il Real Madrid.
Appuntamento al 31 maggio. In attesa di PSG-Arsenal, l’Inter prenota il suo biglietto per Monaco di Baviera.
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Il Supercommento della 35ª giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top 11 alla fine, della trentacinquesima giornata di Serie A
Torino-Venezia (A cura di Tommaso Patti)
Altra grande chance sciupata dal Venezia. Al gol di Kike Perez risponde quello di Vlasic
Con una salvezza archiviata, il Torino sfida un Venezia ancora alla ricerca di punti per non retrocedere, che deve approfittare delle ultime prestazioni positive per uscire dall’Olimpo o grande Torino con un risultato favorevole.
La sfida tra il presente e il passato di Vanoli parte subito in salita: al quarto minuto di gara, dopo una grandissima giocata ai danni di Biraghi, la conclusione di Yeboah si stampa sul palo, carambolando sulla schiena di Milinkovic-Savic e poi nuovamente sul legno, per poi finire in porta grazie al passaggio di Gytkjaer per Zerbin, a cui viene subito tolta la gioia del gol per un fuorigioco millimetrico di Gytkjaer. Il pericolo scampato ridà fiducia al Toro, che si affaccia nell’area avversaria per la prima volta con Casadei, bravo nell’anticipare Idzes e Cande ma impreciso nel centrare la porta. Un’altra grande giocata di Yeboah innesca la seconda conclusione di Zerbin, terminata stavolta con la provvidenziale parata del portiere granata. Al 36’, lo scatto in mezzo ai due avversari di Kike Perez, regala allo spagnolo l’angolo giusto per colpire e far male al Torino, portando il Venezia in vantaggio e trovando la sua prima rete in Serie A. Con il primo tempo ormai giocato, il Torino è obbligato a rimboccarsi le maniche e provare a rimettere il risultato in discussione, andandoci vicino con Che Adams, bravo nel posizionarsi perfettamente a centro area ma altrettanto bravo Radu nell’esecuzione di un super intervento che salva il Venezia. Con poco più di quindici minuti di gioco rimanenti, il Torino assedia l’area di rigore avversaria, trovando un calcio di rigore provocato dal fallo di mano di Idzes nel tentativo di deviare un cross di Elmas. Dopo lo spavento per l’inaspettato malore subito da Vanoli, il match prosegue, dal dischetto si presenta il capitano dei padroni di casa che, angola il suo destro, e trova la rete che ristabilisce la parità. Nei restanti minuti di gara, il Venezia sembra accontentarsi del pareggio, mentre al Torino manca la qualità per riuscire a fare nuovamente male alla difesa avversaria. L’unica grande occasione arriva dai piedi di Che Adams al quinto dei sette minuti di recupero, quando l’attaccante scozzese raccoglie palla da Gineitis, ma spedisce alta un’occasione che poteva valere i tre punti. Se per il Torino non risulta fatale il pareggio, la mancata vittoria del Venezia conferma ciò che si è visto nelle ultime uscite degli arancioneroverdi: tanto bel gioco ma troppi pochi punti portati a casa. Con un campionato giunto ormai quasi al termine, la squadra Di Francesco è chiamata a fare punti nelle prossime tre gare, dove affronterà rispettivamente Fiorentina, Lecce e Juventus.
Cagliari-Udinese (A cura di Dennis Rusignuolo)
La pancia di Kristensen e Zarraga guidano il colpo friulano a Cagliari. Salvezza rimandata per i sardi
Dopo una buona partenza, il Cagliari cerca lo sviluppo verticale su Luvumbo e Piccoli, subito marcati a vista dai rocciosi difensori friulani. Poche occasioni nella fase iniziale della gara, a causa di un manto erboso particolarmente asciutto e di un ritmo non elevatissimo delle due squadre. L’Udinese sblocca il risultato alla mezz’ora. Dopo un errore abbastanza grossolano di Piccoli, tutto solo davanti a Okoye, la legge del calcio trova concretezza ancora una volta, perché dopo l’occasione capitata all’attaccante rossoblù, i bianconeri passano in vantaggio con Oier Zarraga. Perfetto l’inserimento in area dello spagnolo, che sfrutta un erroraccio di Luperto e un puntuale assist di Modesto dalla destra per segnare con freddezza lo 0-1 al minuto 27. Il vantaggio della squadra di Runjaic dura però appena otto minuti perché al 35 Makoumbou imbecca Zortea in profondità, l’esterno si inserisce alle spalle della difesa, riceve il lancio di Makoumbou e dopo aver controllato in maniera impeccabile con il mancino, fredda Okoye con un rasoterra sul primo palo. Sesto gol in questo campionato per l’ex laterale dell’Atalanta, autore dell’1-1. Al 40′ rischia molto Solet con un retropassaggio di testa leggermente corto: Luvumbo si avventa sul pallone e si invola verso la porta, ma Okoye stavolta esce provvidenzialmente evitando guai peggiori. Nella ripresa, nonostante i tre punti servano molto di più al Cagliari che all’Udinese, è la formazione di Runjaic a prendere in mano il pallino del gioco fin dai primi minuti: l’Udinese si mostra più reattiva, cinica e meglio organizzata. I rossoblù appaiono invece molli, rilassati e a tratti colpevolmente distratti. Sull’attenzione difensiva il Cagliari viene punito in calcio d’angolo. Battuta tesa di Kamara, la difesa sarda non marca bene e Kristensen insacca con la pancia. La reazione del Cagliari arriva a sprazzi, e tutti i guizzi vengono portati da Mattia Felici. Il numero 91 cerca di dare quella scossa in più dal momento del suo ingresso in campo, ed è su quella fascia destra che l’Udinese comincia a rinforzare la linea, perché l’esterno italiano riesce sempre ad arrivare in area con la sua velocità. Nicola non opta per un’altra punta pura, ma solo per Coman in un 4-4-2 che trova lo sbarramento friulano. L’unico tiro è di Piccoli che forza e calcia alto. Gaetano quasi zoppica, i problemi al ginocchio sono evidente. Difficile capire perché sia entrato, viste le tante smorfie accennate dal giocatore rossoblù fin dai primi contrasti. La festa salvezza del Cagliari è rimandata perché l’Udinese rilancia il suo rush finale. Dopo due mesi di completa astinenza, i friulani tornano dalla Sardegna con tre punti preziosi per la rincorsa al decimo posto. Doveva essere una partita da pareggio, un risultato che sembrava dovesse andar bene a entrambi, perché quel punto al Cagliari bastava, ma l’Udinese ha avuto quella qualità in più, un palleggio notevole e un’organizzazione diversa. Il Cagliari non ha ripetuto la prova di Verona, anche a livello di intensità e cuore, ma soprattutto ha prodotto poco davanti andando a sbattere sulla solidità e la fisicità dei giocatori di Runjaic. Al Cagliari manca un piccolo passo per la salvezza, ma quel tassello ancora deve essere aggiunto.
Parma-Como (A cura di Dennis Rusignuolo)
Strefezza lancia il Como sempre più in alto. Il Parma spreca e si dispera
Con la salvezza blindata, il Como cerca di mantenere alto il livello per il finale di stagione. Al cospetto di un Parma guerrigliero, alla ricerca degli ultimi tasselli per completare l’impresa, Fabregas non rinuncia a tutti i titolari. Chivu conferma Ondrejka insieme a Bonny dietro Pellegrino, ormai riferimento assoluto dell’attacco crociato. Approccio molto intenso della gara, da una parte e dall’altra. Il Como cerca subito l’attacco diretto verso la porta di Suzuki, e cerca di sfruttare l’attacco costante della profondità portata da Cutrone. Il capitano lariano scatta sul filo del fuorigioco e impegna il portiere giapponese, con il sinistro, dopo nemmeno un minuto di gioco. In buon ritmo già dai primi minuti, la squadra di Fabregas cerca subito di imporsi in mezzo al campo, e sfruttare il continuo movimento degli attaccanti per sfondare centralmente. I tre difensori del Parma riescono a contenere abbastanza agevolmente i lariani, ma soffrono terribilmente gli inserimenti dalle retrovie di Caqueret e Da Cunha. La squadra di Chivu trova terreno fertile nelle ripartenze. Pellegrino pulisce un’infinità di palloni e fa partire la batteria di velocisti (Ondrejka, Valeri, Bonny e Sohm). Non spiccano le occasioni perché le due squadre si schermano bene, merito soprattutto di un Parma sempre più connesso e quadrato. L’occasione più grande del primo tempo del Como arriva su palla inattiva. Sebbene i lariani siano una delle squadre che segna meno su palla inattiva, sul corner di Da Cunha svetta la testa di Kempf, bravissimo nel colpire con forza e precisione, ma è altrettanto bravo Suzuki a distendersi in tuffo. Il Parma risponde a ridosso dell’intervallo con una delle solite ripartenze: Pellegrino apre il campo per lo scatto di Ondrejka, dopo un primo intervento della difesa del Como, Bonny riceve il pallone, arriva sul fondo e apparecchia in mezzo per Pellegrino, l’argentino arriva con il passo lungo e da buonissima posizione calcia incredibilmente alto. Nella ripresa il Parma alza subito i giri del motore, cercando di rimodellare i numeri del possesso palla (che hanno visto i crociati in difficoltà nel primo tempo, 70% per il Como). A impensierire la porta di Butez ci pensa sempre il solito Marco Pellegrino. Al minuto 54 calcio d’angolo per il Parma, Pellegrino si sfila sul secondo palo e di testa inchioda il pallone sulla traversa, poi Delprato non riesce a convertire in rete. Fabregas sceglie Douvikas per la ripresa, al posto di Cutrone che alla lunga non è riuscito a trovare spazio. Al 70′ finalmente si accende Nico Paz, l’argentino si libera di una marcatura a centrocampo e calcia subito verso la porta, Suzuki non si fa sorprendere e con le dita allunga in corner. Il Como ritrova spazio e coraggio, e ha un’occasionissima al 72′: Ikone riceve in verticale, salta bene Suzuki ma con il destro calcia malissimo, palla ampiamente fuori dallo specchio della porta. Al 75′ cambi per entrambe: Strefezza sostituisce Da Cunha, acciaccato dopo uno scontro subito nel primo tempo; Chivu sostituisce Pellegrino e Hainaut con Benedyczak e Camara. Il Parma ha un’occasione in contropiede, guidata da Ondrejka ma gestita male da Valeri, che cerca nuovamente lo svedese al posto di calciare in porta. Agli errori del Parma, il Como risponde con spietata freddezza e cinismo, perché al 79′ i lariani sbloccano la gara: lancio morbido verso Douvikas, sponda intelligente per Strefezza e mancino stropicciato, ma vincente, del giocatore brasiliano. Secondo gol consecutivo per Strefezza, ancora una volta decisivo nel secondo tempo. Il Parma in quel momento si getta a capofitto in avanti, e a guidare le offensive lo zampino è sempre quello di Ondrejka. Nel recupero il neo-entrato Man impegna Butez, e pochi secondi dopo spreca un’occasione gigantesca, palla messa in mezzo da Valeri e zampata sbagliata del giocatore romeno, in un momento che definire difficile è poco. Nei minuti finali la partita è Man contro Butez, con il giocatore romeno che nel totale calcia quattro volte verso la porta. Il portiere francese chiude lo specchio in uscita e blinda un’altra grande vittoria per il Como. Un successo che indirizza sempre più in alto la squadra di Fabregas, che ormai non ha nulla da chiedere al campionato se non qualche posizione più soleggiata. Per il Parma una sconfitta che sa di beffa per le tante occasioni sprecate, anche se la squadra di Chivu mantiene ancora un distacco significativo dal treno retrocessione. Continua il momento no di Dennis Man, sfortunato ma anche impreciso nelle occasioni multiple avute nei minuti di recupero.
Lecce-Napoli (A cura di Simone Scafidi)
Conte gioca il Jack, Scudetto sempre più vicino
In un commosso Via del Mare, che si scioglie in un commovente applauso per Graziano Fiorita, il Napoli di Conte arriva con la consapevolezza di non poter sbagliare, per tenere l’Inter a debita distanza. Dopo l’omaggio dello stadio e delle squadre al magazziniere del Lecce da poco scomparso, il pallone inizia a rotolare nel surreale ambiente salentino. La prima sgasata dei partenopei è vincente, con la discesa di Politano e la conclusione di quest’ultimo, che trova la deviazione di Lukaku e il pallone che si insacca in rete per il gol dell’1-0, successivamente annullato per la posizione irregolare dell’attaccante belga. Al 20’ il Lecce prova ad avanzare con un’azione che termina tra i piedi di Krstovic, che conclude molto sopra la traversa. Appena tre minuti più tardi, su punizione, Raspadori sblocca il match con un gran tiro sul secondo palo che beffa barriera, portiere e difesa salentina, per il vantaggio azzurro. In pochi minuti il Lecce si spinge in avanti con la voglia e la grinta di reagire, e su situazione di corner Gaspar colpisce di testa trovando la traversa, con il pallone che si infrange sul leggere tocco involontario, con un braccio di Spinazzola, non così irregolare da scaturire il tiro dagli undici metri, tra le proteste della squadra di Giampaolo che reclama il penalty. Il secondo tempo ricomincia con il possesso giallorosso e con la fascia di Tete Morente infiammata dalle galoppate di quest’ultimo, che arrivando al passaggio per Helgason gli consente di calciare, trovando il grande intervento di Meret, messo ulteriormente in difficoltà da una fortuita deviazione di Lobotka. In pochi minuti il quattordici del Lecce arriva nuovamente al tiro, stavolta su punizione dalla lunga distanza, spiazzando tutti e sfiorando addirittura il clamoroso gol sul palo di Meret, sorpreso dalla traiettoria a scendere del pallone. L’entrata di Berisha fornisce grande dinamicità al gioco dei padroni di casa, che nonostante un secondo tempo giocato in maniera praticamente impeccabile, non riescono a trovare la via del gol e si devono arrendere al risultato amaro (e forse anche immeritato) di 1-0 in favore della squadra di Conte, che riesce a mantenere i tre punti di distanza dall’Inter, che vince di misura contro l’Hellas Verona. Con tre partite rimanenti, e la possibilità per i partenopei di concedersi il lusso di pareggiare una partita, il campionato sembra veramente ad un passo.
Inter-Verona (A cura di Tommaso Patti)
Ci pensa Asllani dagli undici metri. L’Inter delle riserve batte il Verona
Dopo la vittoria per uno a zero del Napoli in casa del Lecce, l’Inter è chiamata alla vittoria per rincorrere ancora gli azzurri in cima al campionato. Il successo dei partenopei e il pareggio che poteva trasformarsi in vittoria a Barcellona, crea ai nerazzurri un mix di emozioni che possono creano benefici ma anche tante difficoltà nell’insidiosa sfida contro il Verona. Con la squalifica di Çalhanoğlu e Inzaghi per la discussa “inchiesta ultras”, il tecnico nerazzurro decide di dare priorità alla semifinale di ritorno, cambiando dieci uomini rispetto all’ultima sfida contro il Barcellona e schierare una formazione “b” per fronteggiare l’Hellas. Dopo sei minuti in cui il Verona riesce a bloccare i passaggi in orizzontale avversari, una giocata di Carlos Augusto regala la possibilità all’Inter di sbloccare subito la partita grazie al rigore conquistato dal fallo di mano di Valentini. Dopo un’iniziale indecisione, il direttore di gara assegna il calcio di rigore, calciato e trasformato in seguito da Asllani, che ritorna a segnare in Serie A dopo più di un anno. La fiducia ottenuta dai nerazzurri dopo il gol del centrocampista albanese cresce anche nei minuti successivi, costringendo la squadra di Zanetti a coprirsi di più. La freschezza e l’innovazione dell’insolita coppia Arnautovic-Correa, crea pochi pericoli alla difesa veneta, che prova a sua volta a reagire affidandosi alle giocate di Sarr. Nonostante le seconde linee, il gioco dei padroni di casa rimane efficace e in grado di tenere a bada le poche ma pungenti avance avversarie. Dopo dieci minuti ricchi di azioni e di giocate, la sfida cala dal punto di vista del ritmo e dell’intensità, riaccendendosi sul finale di primo tempo con il tiro da fuori di Asllani e con l’imprecisa conclusione di testa di Arnautovic. A partire meglio nella ripresa è la squadra di casa, pericolosa dopo appena due minuti con un azione prolungata portata avanti da Carlos Augusto e Asllani, terminata però senza alcuna conclusione. Dopo un primo tempo timido, il Verona prova a organizzare qualche iniziativa offensiva con Duda, invitato al tiro da fuori dalla difesa dell’inter che non aggredisce ma lascia giocare il Verona nella propria metà campo. Subito dopo la grande occasione del Verona con il tiro potente ma impreciso di Suslov, entrambi gli allenatori decidono di cambiare qualche pedina per riuscire a incidere in un match che fino al 70′ non ha regalato troppe azioni pericolose. Se da una parte Zanetti butta nella mischia Mosquera e Bernede nel tentativo di pareggiare la gara, Farris inserisce Mkhitaryan e Dimarco per cercare di chiudere la gara. Con due cambi per parte e con un fiato maggiore, le due squadre si riattivano e creano di più, ma in campo continua a regnare l’imprecisione. Nei minuti finali di gara, Zanetti butta nella mischia tre attaccanti per cercare di agguantare un punto prezioso nella lotta salvezza, ma un lento e proficuo giro palla della difesa nerazzurra, spegne tutte le idee offensive dei gialloblù, facendo terminare con il possesso palla i quattro minuti di recupero concessi da Manganiello. Il successo di misura sul Verona, riporta l’Inter a meno tre lunghezze dal Napoli, mantenendo ancora vive le speranze scudetto. Dopo quattro sconfitte di fila e sei gare senza vittorie, esce ancora sconfitto dal rettangolo verde un Verona totalmente in crisi, mantenuto momentaneamente -seppur di poco- sopra la zona retrocessione dai continui passi falsi di Venezia, Lecce, Parma ed Empoli. Sono quattro le gare consecutive in cui il Verona non trova la gioia del gol, fattore che fa mettere sotto la lente della dirigenza veneta il tecnico gialloblù, costretto ad un cambio di marcia nelle ultime tre gare per riuscire a scampare alla retrocessione.
Empoli-Lazio (A cura di Simone Scafidi)
Vittoria flash per Baroni, Empoli nei guai
Teatro della clamorosa salvezza dello scorso anno per i Toscani, il Castellani si rivela sempre essere un fortino difficile da espugnare, e la Lazio ne ha avuto la prova. I biancocelesti partono a razzo e trovano il gol dopo nemmeno un minuto, con la rete di Dia che riceve palla e, in seguito ad un controllo magistrale, insacca la sfera alle spalle di Vasquez, portando avanti i suoi. L’Empoli però non si fa intimorire e con Marianucci, al 14’, cerca la conclusione da lontano, che, centrale, termina tra le mani sicure di Mandas. I guai dell’Empoli, però, non terminano qui, e al 38’ Colombo viene espulso per somma di ammonizioni in seguito ad un fallo commesso su Gigot, nel tentativo di scavalcarlo per arrivare su un pallone che arrivava dalla difesa. D’ora in poi il match risulta totalmente in salita per i toscani, che a fine primo tempo vengono salvati da un grande intervento di Vasquez su un tiro-cross di Guendouzi. Al 51’ la Lazio risulta anche essere fortunata; l’Empoli trova il gol del pareggio con Viti, che viene però annullato per la posizione irregolare dell’esterno italiano, che si era avventato sul pallone in seguito al tocco di Solbakken. Al 72’ Pedro, con un tiro da fuori area, va vicino al raddoppio, Vasquez era spiazzato ma il pallone termine fuori. Quando manca un quarto d’ora finisce negli spogliatoi anche Hysaj, che prende il secondo giallo e regala all’Empoli la speranza e la forza di provarci per gli ultimi quindici minuti. I toscani non sfruttano però questa chance e risultano essere praticamente inoffensivi, con la Lazio che, dalla sua, non si fa scavalcare e riesce a portare in porto la partita con il risultato di 1-0, insieme ai tre punti e alla delusione del Castellani. La squadra di Baroni si tiene incollata alla zona Europa, mentre i toscani dovranno fare un grande sprint finale per trovare una salvezza all’ultimo esattamente come lo scorso anno.
Monza-Atalanta (A cura di Simone Scafidi)
L’Atalanta esagera, Monza nel baratro
U-Power Stadium sempre più casa degli orrori per il Monza, che sembra ormai rassegnato al destino della retrocessione, scendendo in campo con l’atteggiamento di chi il proprio destino già lo sa, e non vuole nemmeno provare a cambiarlo. La squadra di Gasperini non lascia spazio per respirare ai ragazzi di Nesta e sin dal primo minuto porta in campo un gioco veloce e apparentemente inarrestabile. Al 12’ arrivo il gol del vantaggio con il cross di Retegui ricevuto, al limite dell’area, da De Ketelaere, che passa in mezzo alla difesa Brianzola e a tu per tu con Turati non sbaglia, portando avanti i suoi. Cinque minuti dopo Lookman si ritrova a concludere con il destro in seguito ad un bel tacco di Retegui, con il pallone che sfiora il palo e finisce sui cartelloni pubblicitari, con il raddoppio bergamasco che arriva davvero al 22’, ancora una volta grazie a De Ketelaere che insacca la sfera con la punta del piede, anticipando tutti all’interno dell’area di rigore. A fine primo tempo il Monza riesce a trovare la rete che potrebbe riaprire la partita: Castrovilli in tuffo anticipa tutti e sigla il gol del 2-1, annullato però per la posizione irregolare del giocatore del Monza. Ad inizio secondo tempo l’Atalanta chiude definitivamente i giochi con Lookman, che, incontenibile, sfugge alla difesa dei padroni di casa ritrovandosi a tu per tu con Turati, impotente sul tiro preciso e sul primo palo dell’attaccante nigeriano. Nonostante il Monza provi timidamente a farsi vedere, Carnesecchi erige un muro e, dopo l’ottima parata a fine primo tempo su un tiro di Akpa-Akpro, compie un altro miracolo sul colpo di testa di Keita Balde, che si vede negata la gioia del gol con un intervento prodigioso. A tre minuti dal termine, e dopo un’azione abbastanza confusa, arriva anche il quarto e ultimo gol dell’Atalanta, con il neo-entrato Brescianini che da due passi non sbaglia e si concede la gioia del gol. Con questi tre punti, l’Atalanta è sempre più vicina ad un posto in Champions, mentre il Monza sta per porre fine all’agonia di un campionato tutt’altro che da protagonista.
Roma – Fiorentina (A cura di Marco Rizzuto)
All’Olimpico la Roma vola con una vittoria di squadra, la testata di Dovbyk e le parate di Svilar piegano la Fiorentina
Tra determinazione e commozione, Roma-Fiorentina non è una partita come le altre, ma una vera resa dei conti per la corsa Champions, addolcita dal ritorno a casa di Edoardo Bove, applaudito a cuore aperto da tutto lo stadio. Scendendo in campo, Ranieri ripropone il tandem offensivo Shomurodov-Dovbyk, scelta rivelatasi azzeccata nell’importantissima vittoria giallorossa contro l’Inter. Tra le fila viola, diversi i cambi rispetto alla giornata precedente (anche in vista dell’imminente semifinale di ritorno contro il Real Betis): mister Palladino sostituisce lo squalificato Ranieri con Comuzzo, sposta Mandragora nella mediana del centrocampo affiancandogli Ndour e Richardsson, adatta Parisi sulla fascia destra e si affida alla coppia Zaniolo-Kean in avanti. Come giusto che sia, la partita zampilla di tattica: entrambi gli allenatori si sono studiati a fondo, data l’importanza dell’incontro, cercando di limitare quanto più possibile i terminali offensivi. A rompere il ghiaccio ci prova Kean al 26′: l’ex Juve aggira Celik e si invola verso la porta, calciando in area ma trovando la pronta opposizione di Svilar, reattivo in uscita; il duello si ripete poco dopo, ma con lo stesso esito. Superata la mezz’ora, la Roma risponde con Celik: il turco raccoglie in corsa il filtrante di Soulé e impegna De Gea con un tiro potente ma centrale. Il finale di primo tempo regala brividi da entrambe le parti: Kean prosegue il suo duello personale con Svilar calciando dal limite, ancora senza fortuna, mentre poco dopo Shomurodov approfitta di un disimpegno non perfetto di Gosens e calcia di controbalzo, costringendo De Gea a rifugiarsi in angolo con una parata acrobatica. Il corner concesso allo scadere porta al vantaggio della Roma: Pellegrini dalla bandierina crossa in mezzo, ma la palla sfila fino ad Angelino al limite dell’area, che rispedisce in mezzo di prima trovando la torre perfetta di Shomurodov; l’uzbeko serve di testa l’assist per l’*incornata vincente di Dovbyk, che spezza l’imbattibilità di De Gea. L’Olimpico esplode, raggiungendo decibel assordanti, e tra queste urla si chiude un primo tempo denso di tattica e spettacolo. Alla ripresa, entrambi gli allenatori mischiano le carte: nei giallorossi Pisilli subentra a Pellegrini, per i viola Fagioli prende il posto di Gosens. Poco dopo il fischio della ripresa, la Roma sfiora il raddoppio con una conclusione dalla distanza di Manu Koné, ma l’estremo difensore viola si distende e blocca in tuffo. La squadra di Ranieri comincia a dare priorità alla difesa del risultato piuttosto che alla ricerca del raddoppio, cercando di addormentare la partita, senza però riuscirci. Superata l’ora di gioco, la Fiorentina si riversa in attacco, aggredendo l’area di rigore avversaria a pieno organico: Pongracic perfora la difesa avversaria palla al piede, lascia scorrere la sfera per Kean che la mette in mezzo cercando un compagno, ma N’Dicka allontana servendo involontariamente un assist per Mandragora, che calcia di collo pieno costringendo Svilar a un’altra parata di altissimo coefficiente di difficoltà. Dopo diversi cambi da una parte e dall’altra, la Fiorentina spinge per un disperato pareggio, ma si deve arrendere all’ennesimo intervento di un super Svilar, che non ne vuole sapere di subire gol: all’82′ Gudmundsson verticalizza per Mandragora, che intelligentemente prolunga per l’imbucata di Kean alle spalle della difesa; Kean calcia angolato, ma Svilar sventa con la mano, anticipando il rivale anche sulla ribattuta. La gara termina con il trionfo di ‘corto muso’ della Roma, che aggancia Lazio e Juve nella corsa Champions, mandando in estasi i tifosi giallorossi, che mai si sarebbero aspettati di vedere la propria squadra in questa zona della classifica dopo un inizio di stagione disastroso. Gli uomini di Palladino escono sconfitti per colpa di un Svilar monumentale, ma consapevoli di aver disputato un’ottima gara: abbandonano di fatto la corsa Champions, ma proseguono quella per l’Europa. In questo girone di ritorno nessuna squadra ha fatto meglio della Roma, e il merito va tutto a Claudio Ranieri, che ha ridato identità e fame a un gruppo che sembrava smarrito. La domanda, allora, sorge spontanea: e se fosse arrivato prima? Forse oggi non parleremmo solo di Champions, ma addirittura di corsa al titolo. Con quattro solamente tre gare al termine del campionato, questo si appresta a diventare uno dei più grandi WHAT IF di questa stagione.
Bologna-Juventus (A cura di Dennis Rusignuolo)
Scintille e ritmi alti, ma il pari non favorisce nessuno. Bologna e Juve non vanno oltre l’1-1
Un gol e un punto a testa al Dall’Ara: nessuna delle due scappa, sorridono tutte le altre. Bologna e Juventus non si fanno del male, e chiudono sul risultato di 1-1: i bianconeri passano in vantaggio nel primo tempo grazie alla rete di Khephren Thuram, i rossoblù trovano il pori con Remo Freuler nella ripresa
Genoa – Milan (A cura di Marco Rizzuto)
D’orgoglio la spunta il Milan: due minuti di fuoco bastano per ribaltare il Genoa
Per chiudere al meglio la stagione e rialzare la testa dopo le sconfitte con Lazio e Como, Viera schiera un 4-2-3-1 con Messias che torna titolare sulla trequarti. Zona Milan, Conceicao ripropone nuovamente la difesa a tre, con Theo Hernandez e Jimenez sulle fasce. A sorpresa Leao parte dalla panchina, con Pulisic che duetterà in avanti con Loftus-Cheek a supporto di Jovic, unica punta. Il primo squillo della gara è a tinte rossoblù con la bellissima giocata individuale di Norton-Cuffy: il giovane laterale inglese spezza il raddoppio di Theo e Reijnders concludendo violentemente verso la porta, Maignan è attento e devia con la mano. I primi minuti vedono una sola squadra in campo, e il Genoa cerca di approfittarne al 20′, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, con Pulisic che rischia l’autorete nel tentativo di allontanare la sfera; anche in questo caso, l’estremo difensore della nazionale francese si supera con un intervento prodigioso. Arrivati alla mezz’ora, Conceicao è costretto al primo cambio della serata: Fofana abbandona il campo per un problema fisico e il tecnico inserisce Leao, stravolgendo di fatto la formazione iniziale. Con la presenza del numero dieci portoghese iniziano a intravedersi le prime iniziative rossonere, seppur solo nel finale del primo tempo. Theo Hernandez spezza la linea del centrocampo genoano irrompendo palla al piede, e dal limite dell’area libera il suo sinistro, ma la conclusione è potente quanto prevedibile. Il Milan carbura piano piano, e il Genoa soffre il cambio di ritmo. A cinque dalla fine si assiste alla prima vera occasione della partita: Leao lavora benissimo il pallone al limite dell’area, innescando Pulisic con un filtrante che lo mette a tu per tu con Leali, ma l’estremo difensore del Genoa salva tutto guadagnandosi gli applausi del Ferraris. Nella ripresa, Viera effettua solo un cambio (Zanoli per Sabiri), mentre resta intatta la formazione rossonera. Nonostante il cambio di ritmo, il Grifone non rinuncia ad attaccare, sfiorando il gol con Frendrup dopo un bel fraseggio palla a terra all’interno dell’area. All’ora di gioco entra anche Vitinha, che in meno di un minuto buca Maignan e diventa protagonista per i tifosi liguri: altra costruzione palla a terra, Martin riceve e col mancino scodella perfettamente per l’attaccante appena entrato, che di prima intenzione insacca il suo primo gol stagionale. Con una rete da recuperare e appena venti minuti a disposizione, Conceicao corre ai ripari inserendo Gimenez e Joao Felix per Jimenez e Jovic, schierando un undici a trazione anteriore. I risultati non tardano ad arrivare: dopo neanche sei minuti Leao firma il pareggio sfruttando l’assist del numero sette appena entrato. Come da copione, il Milan cambia marcia nella seconda metà del secondo tempo, passando immediatamente in vantaggio un minuto dopo il pari: situazione simile al primo gol, ma stavolta è Leao che sfonda sulla corsia laterale e mette in mezzo un pallone pericoloso che Frendrup devia sfortunatamente nella propria porta. Sul Genoa si abbattono due minuti di pura sfortuna, ma gran parte del merito va al repentino cambio di ritmo dei rossoneri, specialisti in rimonte. Al tramonto del match, il Genoa tenta un assalto finale: Vitinha prende campo sull’out di destra ma viene steso da Leao, che viene ammonito e salterà per somma di cartellini il match contro il Bologna. Al Ferraris, il Milan trova tre punti che danno speranza, contro un Genoa che attende soltanto la fine del campionato dopo aver conquistato la matematica salvezza.
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