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Champions League, semifinali d’andata: PSG corsaro a Londra, spettacolo tra Barça e Inter

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Agli atti i primi due gettoni delle semifinali di questa Champions League. Dopo i primi novanta minuti la strada verso la finale di Monaco di Baviera non conosce ancora i propri protagonisti, anche se nel tragitto non stanno mancando i consueti fuochi d’artificio degni delle migliori serate di calcio internazionale. Sette gol nelle due partite, due risultati tanto diversi quanto equilibrati in vista dei due match della prossima settimana.

Barcellona-Inter

Si chiude in assoluta parità la gara più bella di questa Champions League. Per peso specifico della partita, per i continui ribaltamenti di fronte, Barcellona e Inter hanno regalato ai posteri una delle semifinali più belle e accese che si ricordino in tempi recenti. Risparmiamo la cronaca, perché per riepilogare tutte le occasioni basterebbe un libro intero, ma protagonisti e situazioni meritano approfondimenti precisi e dettagliati.

La forza del Biscione

Il simbolo dell’Inter è il Biscione. E così la squadra di Inzaghi si muove: silenziosa ma terribilmente letale. L’Inter non ha il favorito al Pallone d’Oro (Raphinha), non ha i giovani più talentuosi del mondo (Yamal e Cubarsì) ma ha tutto il resto. Dopo dieci giorni da incubo, l’Inter cercava di dare un segnale prima a sé stessa e poi alle avversarie. Nei novanta minuti giocati dai nerazzurri tante risposte e una serie di spunti interessanti:

  • La squadra di Inzaghi è la formazione più riconoscibile e tatticamente unica tra le quattro semifinaliste: solidissima in difesa e creativa in attacco.
  • Nelle ultime settimane tutte le argomentazioni sui nerazzurri riguardavano la tenuta fisica. L’Inter ha corso tanto, ha corso bene, e soprattutto è riuscita a giocare in maniera astuta e intelligente nel momento in cui il Barcellona è crollato fisicamente. L’aggressività voluta da Inzaghi nella ripresa ha evitato un secondo tempo in costante apnea, con addirittura il rimpianto per il gol annullato a Mkhitaryan (per la punta del piede, un nulla)
  • L’infortunio di Lautaro Martinez è una mazzata per il roster nerazzurro, ma ritrovare Thuram può rilanciare l’attacco dell’Inter. E con un Dumfries così, i numeri offensivi rimangono stabili su buoni numeri.

Un Barcellona da Superlega

Un Barça da paura, in due facce ben distinte. Se da una parte l’attacco viaggia a medie spaventosamente alti, la difesa fa acqua da tutte le parti. Questa continua difesa altissima, voluta da Flick, regala spettacolo oltre ogni minima immaginazione, ma a questo punto della stagione la scelta di giocare in maniera iperoffensiva può presentare sorprese dietro l’angolo. L’Inter ha sfiorato in più occasioni la rete del 3-4, e per una volta l’aveva anche trovata, ma i catalani sono stati graziati dalla tecnologia, che ha ravvisato la punta di Mkhitaryan in fuorigioco. Superfluo parlare dell’attacco blaugrana, per loro parlano i numeri e le medie gol. Basti pensare che il Barcellona è la seconda squadra con la media gol più alta degli ultimi dieci anni di Champions (3.1 gol per partita). La prima? Il Bayern Monaco 2019/2020, sempre allenato da Flick (3.2). Per tutti quelli che auspicano in una futura Superlega, basti guardare quest’anno i big match del Barcellona: gol a profusione e spettacolo assicurato in ogni momento della stagione. I primi novanta minuti di Montjuic sono stati di fuoco, quindi per il 6 maggio non prendere impegni, ci sarà da divertirsi!

Cento-Diciassette

Questo spazio è riservato al protagonista principale di queste due partite. Scrivo di calcio da un paio di anni, seguo il pallone da praticamente tutta la mia giovane vita, e mi sento di dire che Lamine Yamal è uno dei giocatori più belli che si siano visti su un campo da calcio da anni. Nel giorno della sua centesima presenza, a 17 anni, lo spagnolo ha seminato il panico tra i difensori nerazzurri. Sempre nel vivo del gioco, cercato costantemente da tutti i compagni, e davanti al muro difensivo dell’Inter è stato l’unico capace di trovare spazi che nessuno aveva nemmeno osato varcare. Dopo venti minuti horror del suo Barcellona, si inventa dal nulla il gol che riapre la partita, con uno slalom e un mancino a giro meravigliosi. Poi una serie infinita di giocate, dribbling e occasioni. Talmente incontenibile che Inzaghi è costretto a sostituire Dimarco dopo 55′ per inserire forze fresche per contenerlo. Non lo si vede mai in affanno, non si nasconde di fronte alle difficoltà ma le affronta a viso aperto, con quel mancino che può inventare qualsiasi cosa da un momento all’altro. Ah, e alla soglia dei diciott’anni ha già numeri da predestinato, per non farci mancare nulla. Giocatore generazionale!

Foto: X Champions League

L’altra sfida

Il primo atto della prima semifinale di Champions League 2024/25 se lo aggiudica con merito il Paris Saint Germain di Luis Enrique. A mettere la firma è Ousmane Dembelé in avvio, su assist di Kvaratskhelia, poi due parate clamorose di Gigio Donnarumma blindano la porta dei parigini. Nella ripresa il VAR annulla il pareggio di Merino per un fuorigioco dello spagnolo. Nel finale il Paris avrebbe ben due occasioni per implementare il risultato, ma Barcola mette a lato di un soffio e Gonzalo Ramos scheggia la traversa con un tiro di punta. Tra una settimana ci sarà il ritorno a Parigi, è ancora tutto aperto, ma chi ben comincia è a metà dell’opera.

Sponda Gunners, le tante assenze di giocatori cardine (Calafiori, Havertz, Thomas e Gabriel su tutti) hanno sicuramente influito nella prestazione della squadra di Arteta. In partite di questo calibro l’episodio iniziale indirizza l’inerzia della gara, e l’Arsenal non è riuscita a invertire l’equilibrio della partita per merito di un Donnarumma in versione supereroe. Le offensive dei londinesi sono fumose e confusionarie, mentre i parigini ostentano una sicurezza e una lucidità ai limiti dell’incredibile. La squadra di Luis Enrique è una perfetta sintesi di palleggio (Vitinha, Fabian Ruiz e Joao Neves) di verticalità e bollicine (a proposito, Douè è un sicuro diamante che il tempo sgrezzerà) ma anche di muscoli e solidità (Marquinhos). Luis Enrique, a prescindere da come finirà, sta facendo un lavoro encomiabile. Meno figurine, più idee, e adesso la finale è a soli novanta minuti…

Muro azzurro

Nell’ecosistema parigino emergono frecce e diamanti di un certo calibro, ma da Liverpool a Londra, passando per Birmingham, la firma principale è quella di Gigio Donnarumma. Va bene, nelle uscite alte non sarà eccelso, ma tra i pali al momento non ha rivali. Bravissimo su Martinelli (in posizione dubbia), superlativo su Trossard. Poche parate, ma decisamente pesanti, come è richiesto ai grandi portieri. Tra Liverpool, Aston Villa e stasera sta facendo un cammino europeo da sogno in quanto a prestazioni individuali.

Classe 2005. Studente in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Palermo. Amante del calcio fin da bambino, vivo ogni partita con la stessa passione del primo giorno. Aspirante giornalista con una passione per lo storytelling e gli editoriali.

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Calcio

Rimonte e contro-rimonte nella partita più bella di questa Champions. La finalista si decide a San Siro

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Il primo atto della semifinale di Champions è uno spettacolo unico. Barcellona e Inter danno vita a un pareggio che rimarrà impresso nella mente di tutti gli appassionati. Spettacolo favorito da giocate e gol meravigliosi, da Dumfries a Thuram prima dei sigilli dei soliti fenomeni blaugrana, Yamal e Raphinha. Si decide tutto al ritorno.

Una sera che vale un’intera stagione, una cornice di pubblico meravigliosa in attesa dell’inaugurazione del nuovo Camp Nou. Con il triplete fallito nel derby di Coppa Italia, Inzaghi sceglie tutti i migliori per la gara più importante della stagione nerazzurra. Pochi dubbi, sciolti dalle scelte del tecnico italiano: tornano titolari Dumfries e Marcus Thuram. L’esterno olandese torna dal primo minuto dopo aver riassaporato il campo nella sconfitta in campionato contro la Roma; Thuram torna titolare dopo i problemi fisici che lo hanno escluso dalle ultime gare. Tra i catalani non ci sono dubbi sulla. formazione: confermato il blocco che ha battuto il Real Madrid nella finale di Copa del Rey. La vera notizia arriva dal riscaldamento, perché Yamal accusa qualche fastidio muscolare, subito rientrato al momento dell’ingresso in campo. Il Golden Boy è regolarmente in campo, per la centesima volta in carriera, a diciassette anni.

Non passa nemmeno un minuto, nemmeno un giro completo di orologio, e l’Inter mette subito la partita dalla sua parte: come da pronostico lo sviluppo dei nerazzurri è rapido e preciso. Spizzata di Lautaro verso Thuram, appoggio per Barella e palla nello spazio verso Dumfries. Dopo un primo intervento difensivo di Koundé, la palla torna tra i piedi dell’olandese che cerca subito Thuram in mezzo, il francese colpisce di tacco e batte Szczesny dopo nemmeno trenta secondi. Il gol più veloce di sempre in una semifinale di Champions League è una vera perla. Con la partita subito in salita, il Barcellona comincia a piazzare le tende sulla metà campo nerazzurra. Tutti i limiti difensivi della squadra di Flick vengono a galla quando l’Inter trova lo spazio per sviluppare con i due attaccanti, anche se la chiave tattica della squadra di Inzaghi nella fase iniziale di gara è il “lavoro sporco” delle due mezze ali. Il Barcellona gioca praticamente sempre sulla destra, Yamal tocca un’infinità di palloni ma si trova sempre Dimarco e Mktharyan addosso. La prima occasione dei catalani è all’11’, quando Yamal trova centralmente Ferran Torres, l’attaccante spagnolo non controlla benissimo il pallone, anche se la conclusione parte bene (forte e rasoterra), Sommer è in traiettoria ma la palla termina di poco a lato. Il risultato cambia ancora al ventesimo: calcio d’angolo per l’Inter, pallone sul secondo palo verso Acerbi, il Barcellona concede qualcosa in termini di centimetri e i nerazzurri ne approfittano eccome. Acerbi prende il tempo a Gerard Martin, sponda verso l’area piccola e rovesciata meravigliosa di Dumfries. Sembra il colpo del ko per un Barcellona che non sembra entrato in campo, ma questa notte dispensa talento e qualità da tutte le parti. Al minuto 23 arriva il momento del fuoriclasse: Lamine Yamal riceve palla da destra, slalom tra i difensori nerazzurri e mancino a giro, bacio al palo e pallone in rete. Lo spagnolo è un’iradiddio, nonché l’unico a creare sempre qualcosa una volta in possesso di palla: al 25′ lo spagnolo sguscia sulla fascia, salta due volte Dimarco e calcia verso la porta, Sommer sfiora con le dita ma il suo intervento è provvidenziale per alzare il pallone sulla traversa. L’Inter alla distanza non riesce ad uscire perché il Barcellona pressa con un ritmo forsennato, ma questo era già un fattore conosciuto bene. Al 35′ Yamal sporca un passaggio di Acerbi, l’azione prosegue fino al tiro di Olmo, bravo Sommer a distendersi e mandare in calcio d’angolo. Il pareggio è solo una questione di minuti, perché passano due minuti e i catalani pareggiano: cross di Pedri verso Raphinha, per la prima volta libero di scegliere la giocata, sponda di testa del brasiliano e tap-in vincente di Ferran Torres. Dopo un primo tempo giocato a ritmi spaventosamente alti, le due squadre devono rinunciare a due tasselli fondamentali: prima Koundé (sostituito da Eric Garcia) e poi Lautaro Martinez abbandonano il campo per due problemi muscolari. Una perdita pesantissima per l’Inter, che già deve monitorare la tenuta fisica di Thuram. Anche se il francese ha mostrato un’ottima condizione atletica, bisogna sempre tenere in considerazione il fatto che l’attaccante rientra oggi dall’infortunio.

Cambi all’intervallo da una parte e dall’altra: Flick sceglie Araujo per Gerard Martin; Inzaghi sostituisce Lautaro Martinez con Taremi. Con quattro centrali di ruolo, il Barcellona adatta Inigo Martinez e Eric Garcia nella fascia, mentre Araujo e Cubarsi occupano la parte centrale. Nell’Inter il cambio è ruolo su ruolo, e adesso bisogna monitorare la tenuta fisica della squadra di Inzaghi. Rispetto a un primo tempo compassato, l’Inter comincia a trovare buone trame di gioco e spingersi più volte in avanti. Al 48′ Bisseck si getta in profondità e cerca in mezzo Taremi, la palla viene sporcata dai difensori blaugrana e arriva sul secondo di Dimarco, destro potente ma impreciso dell’esterno nerazzurro. A dieci dalla ripresa Dimarco termina la benzina, sostituito da Carlos Augusto che nelle ultime settimane è parso uno dei più brillanti della squadra di Inzaghi. Difendere su Yamal è dispendioso a livelli estremi, e la velocità di Carlos Augusto può rilanciare la fascia sinistra nerazzurra. Quando la partita sembrava in una fase di completa stasi, l’Inter trova un altro gol. Minuto 63′, calcio d’angolo di Calhanoglu sul secondo palo, il Barcellona continua a non marcare bene e Dumfries prende il tempo su Olmo e riporta avanti la squadra di Inzaghi. È un match spettacolare a Montjuic, e il Barcellona pareggia dopo nemmeno un minuto, ancora una volta con una perla. Corner su angolo, velo di Yamal e palla a Raphinha, il brasiliano calcia fortissimo e la palla prima sbatte sulla traversa e poi entra in rete per una deviazione sfortunata di Sommer. Nuovo pareggio per i catalani, in una semifinale che non vuole smettere di regalare emozioni. Flick cambia Olmo con Fermin Lopez, mentre Inzaghi sorprende con il cambio Calhanoglu-Frattesi. Curiosa la scelta di Inzaghi, che rinuncia al turco, ammonito, per una mezzala come Frattesi, con probabile arretramento in mediana di Barella. Intorno al settantesimo il Barcellona comincia a mostrare i primi segni di stanchezza. L’Inter trova tanti spazi per attaccare, Thuram spesso si invola verso la porta ma anche per lui la stanchezza presenta i primi conti. Mktharyan trova il gol del clamoroso 3-4, annullato per un fuorigioco millimetrico, ma allo scoccare dell’ultimo quarto l’Inter sembra avere una marcia in più rispetto ai catalani. Inzaghi chiude i cambi con Zielinski e Darmian, al posto dei due uomini copertina (Thuram e Dumfries), esausti dopo una partita maestosa. Flick invece inserisce Christensen e Gavi per Cubarsì e Pedri. All’87’ Yamal cerca un’altra magia in una serata, pallonetto a giro in corsa che si stampa sulla traversa. Il Barcellona torna in avanti per il rush finale e Sommer deve smanacciare su un bolide da fuori area di Raphinha. È l’ultima occasione di una delle semifinali più belle e intense degli ultimi anni.

Si aspettava una risposta dopo la settimana da incubo, e l’Inter risponde in maniera quasi impeccabile. Al cospetto del solito Barcellona iperoffensivo, i nerazzurri giocano una partita eccezionale dal punto di vista tattico. I due gol realizzati in venti minuti hanno mostrato le fragilità della squadra di Flick, e una serie di riflessioni che saranno decisive in vista del ritorno di martedì. La supremazia fisica dell’Inter nelle palle inattive è stata schiacciante, e i catalani non hanno trovato le misure giuste per bloccare un Dumfries che sembra tornato a pieno regime. L’olandese, premiato come MVP, ha giocato una gara incredibile per corsa, intelligenza e cinismo. Da valutare il problema fisico di Lautaro e la gestione di Thuram, anche lui tra i migliori in campo.

Il Barcellona spera di recuperare Lewandowski per la gara di San Siro, anche se la sensazione è che tutto penda dai piedi di Lamine Yamal. Il talento spagnolo è stato determinante dal primo all’ultimo minuto. Tutte le azioni offensive blaugrana sono partite dai suoi piedi, e in un momento di completa difficoltà il suo mancino a giro ha ribaltato l’inerzia della partita. Da sottolineare ancora una volta i tanti spazi concessi all’Inter dalla difesa del Barcellona.

Appuntamento a martedì prossimo per il secondo atto, e dopo i primi 90′ a Montjuic la sensazione è che anche a Milano ci sarà da divertirsi!

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Calcio

Il Supercommento della 34ª giornata di Serie A

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Il commento completo di tutte le partite, con la Top 11 alla fine, della trentaquattresima giornata di Serie A

Como – Genoa (A cura di Dennis Rusignuolo)

Il mancino di Strefezza chiude il discorso salvezza. Il Como batte il Genoa ed è matematicamente salvo

Dal Via del Mare il Como si regala il match point per la salvezza, ma perde una delle pedine fondamentali nel girone di ritorno. L’infortunio di Assane Diao (intervento al piede, stagione finita) costringe Fabregas a rivedere tutto il versante offensivo del suo Como, e la scelta ricade su Patrick Cutrone e Strefezza oltre agli ormai soliti Nico Paz e Ikoné. Fronte rossoblù Vieira stravolge la sua formazione: giocano dal 1′ Ahanor, Ekhator e Kassa e risposa -un po’ a sorpresa- Andrea Pinamonti, oltre Vitinha e lo squalificato Otoa. La prima grande occasione è per gli ospiti al terzo minuto, dopo una discesa di Norton-Cuffy sulla destra, palla in mezzo pasticciata da Valle e consegnata sui piedi di Kassa, l’israeliano da due passi spara alto. Nonostante la solita parata di vip nelle tribune del Sinigaglia (quest’oggi presenti Pierre Gasly e l’ex Real Madrid Lassane Diarra), i ritmi non molto elevati, il Como ci mette un quarto d’ora per scaldare il motore e comincia ad affacciarsi dalle parti di Leali. Il primo squillo lariano è di Ikoné, che da destra col mancino prova il tiro a giro sul secondo palo, solo sfiorato per una deviazione. Sugli sviluppi dell’angolo Nico Paz calcia dal limite e la sua conclusione non va molto lontana dalla porta. Con il passare dei minuti il Como entra sempre di più dentro il match: in mediana Caqueret e Da Cunha con facilità creano la superiorità numerica per lo scarico sulla trequarti. Come al 16’, con Strefezza innescato sulla sinistra, incursione fermata in corner, su cui Goldaniga di testa manda non di molto a lato. Il Genoa, in modalità d’attesa, va a sprazzi come al 28’: malinteso tra Butez e Vojvoda, la palla arriva nei piedi di Ahanor che si trova con la porta vuota, ma defilato colpisce il palo. Dopo un gol annullato a Thorsby per fuorigioco, il primo tempo si chiude con il Como in costante pressione ma ancora con il piede che non affonda sull’acceleratore. Nella ripresa Wilson (vice di Vieira, squalificato) inserisce subito Messias al posto di Kassa. Dopo un avvio a ritmi piuttosto blandi, stesso copione del primo tempo, il Como trova la fiammata che apre la gara. Minuto 59, l’azione del Como parte dal solito Nico Paz, apertura sulla sinistra per Cutrone, filtrante per la sovrapposizione di Strefezza e sinistro vincente a battere Leali. Dopo il vantaggio lariano, entrano subito Pinamonti e Vitinha, fuori Ahanor e Ekhator. Il Grifone cerca di prendere campo sfruttando i guizzi di Messias, ma la coppia di centrali di Fabregas, Goldaniga-Kempf, non molla un centimetro e non concede particolari spazi all’attacco rossoblù. La girandola di cambi del Como rallenta il ritmo della partita, Fabregas concede minuti preziosi a Gabrielloni, una sostituzione che maschera tutta la narrativa e la letteratura del caso, e i lariani gestiscono il risultato fino al triplice fischio di Arena, il cui triplo sospiro aggiunge un capitolo memorabile alla storia del Como. Per la prima volta dagli anni 50′ i lariani conquistano quattro successi di fila, ma la vera festa del Sinigaglia è data dall’aritmetica salvezza raggiunta dalla squadra di Fabregas. Ci sarà tempo per parlare a quattrocchi della stagione del Como, dalla squadra alla dirigenza, passando per l’allenatore, ma ciò che conta in questo momento è una salvezza raggiunta seguendo un’idea e un principio ben conosciuto e ben definito. Con quattro gare al termine del campionato, la squadra di Fabregas cercherà di continuare a gettare le basi per il futuro, che passa indubbiamente dalla salvezza raggiunta oggi. Sponda Genoa invece continua il momento poco positivo per la squadra di Vieira. Il Grifone sembra aver staccato un po’ la spina, anche se la salvezza è ormai consolidata, anche dalle parti di Genova si cercano basi solide per costruire un progetto che si spinga ben oltre il semplice mantenimento della categoria.

Venezia – Milan (A cura di Tommaso Patti)

Vittoria e sofferenza. Il Milan passa anche al Penzo

Un Milan carico per la vittoria nel derby di Coppa Italia, va a sfidare un Venezia ancora in mezzo alla lotta per non retrocedere. La gara si dimostra molto equilibrata e carica di intensità sin dai istanti. Dopo appena quattro minuti, un errore in fase di impostazione dei padroni di casa, innesca la ripartenza del Milan che porterà al gol di Pulisic, autore dal suo 10º goal in Serie A, arrivato grazie al recupero palla di Jimenez e al filtrante Fofana. La disattenzione del Venezia paga subito dazio contro un Milan che prova a salvare il salvabile in una stagione in cui gli errori sono stati pagati cari. Gli uomini di Di Francesco non si scompongono e, dopo pochi minuti, trovano già la forza di reagire e creare alcuni problemi alla difesa rossonera. La conclusione di Nicolussi Caviglia prima, e l’errore da pochi passi di Yeboah poi, scaldano ancora di più una gara ricca di occasioni. Su un calcio di punizione da una zona molto invitante, è nuovamente Nicolussi Caviglia ad accendere l’entusiasmo, come una conclusione indirizzata nel lato opposto alla barriera, terminata di un soffio a lato la porta di difesa da Maignan. La carica del Penzo accompagna gli arancioneroverdi fino al momentaneo gol del pareggio, arrivato da un cross teso di Haps e finalizzato dalla conclusione di prima di Yeboah, revocato immediatamente dal direttore di gara per un fuorigioco del numero sei statunitense. Nonostante le tante azioni subite, il Milan riesce sempre ad essere lucido e difendere il vantaggio. Nella ripresa, il Venezia scende in campo ancora più carico dei primi quarantacinque minuti, creando un enorme palla gol dopo soli. Dopo una fase di stallo prolungata, il Venezia torna ad attaccare con convinzione l’area di rigore avversaria, affidandosi alle giocate di Oristanio, autore e protagonista di un assist che stava per portare al gol di Zerbin. Esattamente cinque secondi dopo i cinque minuti di recupero concessi dal direttore di gara, il Milan trova la rete che chiude la gara grazie al lancio di Reijnders, che pesca il taglio di Gimenez, abile nel superare Radu con un pallonetto e riscattarsi dopo un periodo buio.
Nonostante una gara giocata ad altissimo livello da parte dei padroni di casa, la sconfitta per due a zero contro il Milan condanna il Venezia ad affrontare le ultime quattro partite con l’obbligo di vincere e sperare in un passo falso delle dirette avversarie. L’enorme iniezione di fiducia arrivata nella vittoria per tre a zero contro l’Inter di mercoledì, trascina il Milan ad una vittoria utile per mantenere le speranze nella qualificazione in una competizione europea per la prossima. La trasferta del Penzo, lascia tante buone notizie a Conceição: la decima rete in campionato di Pulisic e l’ennesima ottima presentazione di Reijnders, sono due ottimi tasselli per far respirare il Milan dopo una stagione con più bassi che alti.

Fiorentina-Empoli (A cura di Dennis Rusignuolo)

Senza Kean, ci pensano Adli e Mandragora. Per la Viola il sogno Champions continua

Dopo la sconfitta in semifinale di Coppa Italia, per mano del Bologna , D’Aversa ritrova Ismaijli al centro della difesa. Il ritorno del centrale albanese è fondamentale per lo scacchiere dell’Empoli, così come il ritorno a pieno regime di Anjorin e Fazzini, subito protagonisti nel match salvezza contro il Venezia. Dall’altra parte Palladino sceglie Adli al posto di Fagioli, mentre Beltran sostituisce un’altra volta Moise Kean, assente per motivi familiari già dalla gara di mercoledì a Cagliari. L’Empoli parte forte e sfiora il vantaggio al quarto minuto, cross forte di Pezzella su cui De Gea smanaccia, come a Cagliari il portiere respinge sui difensori, che questa volta evitano l’autogol. Pochi minuti dopo la Viola va in vantaggio grazie a una serie di movimenti codificati che mandano fuori gioco la difesa dell’Empoli: appoggio verso Beltran, scarico su Gudmundsson e inserimento in profondità di Adli, il francese arriva davanti Vasquez e con freddezza lo supera. Grandissima azione della Fiorentina, che stappa un derby molto teso e spigoloso, e lo fanno grazie a uno dei capisaldi del gioco di Palladino, possesso palla rapido e mobilitato. La rete del centrocampista francese scioglie definitivamente la Fiorentina, abile nel gestire il ritmo e mantenere a distanza la squadra di D’Aversa. Al 24′ i padroni di casa trovano un altro sigillo meraviglioso: Folorunsho allarga su Adli, cross del francese verso Mandragora, bravissimo e rapido nel controllare e coordinarsi in sforbiciata, palo e poi gol. Terzo gol in campionato per il centrocampista italiano, che si aggiungono ai cinque realizzati in Conference, uno dei trascinatori di questa squadra. Appena prima del recupero l’Empoli trova il modo di riaprire la gara, con Fazzini che di testa riesce a battere De Gea, rete prontamente annullata perché prima del cross di Solbakken, la palla aveva superato la linea di fondo. All’intervallo D’Aversa medita due mosse, e sostituisce Anjorin e Solbakken con Henderson e Colombo; Palladino mantiene il suo undici titolare e chiede concentrazione e attenzione. La tenacia e la volontà di non arrendersi dell’Empoli viene finalmente premiata al 57’, con la bella girata al volo di Fazzini, sul cross di Goglichidze, che accorcia le distanze e accende il secondo tempo del derby. Accusato il gol che dimezza il vantaggio, la Fiorentina ritrova coraggio nella spinta e va vicina al terzo gol in almeno un paio di occasioni. La più pericolosa è quella di metà ripresa, capitata a Gudmundsson, ma sulla girata volante dell’islandese Vasquez mette le ali e salva. Col passare del tempo e il risultato sempre in bilico, sale anche la tensione ed episodi sopra le righe vedono coinvolte entrambe le panchine. L’Empoli prende coraggio dopo il mancato colpo del ko e costringe la Fiorentina a un finale di passione e pressione. Nei sei minuti di recupero concessi dall’arbitro Rapuano, gli ospiti sfiorano il pareggio con Kovalenko, l’ucraino vede arrivare la palla al limite dell’area, calcia fortissimo ma trova i pugni di De Gea. Conclusione troppo centrale per impensierire il portierone Viola, che riesce a mettere la sua firma in un successo che pesa parecchio. La Fiorentina continua a fare il suo. Anche se le dirette concorrenti, vedi Roma, corrono eccome se corrono. La squadra di Raffaele Palladino batte la sua bestia nera della stagione l’Empoli (pareggio a Empoli che poi ha eliminato i viola in coppa Italia) con due gol nel primo tempo del rilanciato Adli (tornato titolare) e del solito infaticabile Mandragora, all’ottavo centro stagionale e migliore in campo ancora una volta. In attesa del ritorno di Kean, la Viola continua a macinare punti preziosi per mantenere più che vivo il sogno della Champions, con gli occhi puntanti alla semifinale di Conference League contro il Real Betis. L’Empoli non riesce a reagire all’eliminazione contro il Bologna, anche se la reazione del secondo tempo può essere il giusto monito per affrontare le prossime gare con uno spirito diverso, alla ricerca di punti preziosi per uscire dalla zona retrocessione.

Inter – Roma (A cura di Tommaso Patti)

Altra caduta dell’Inter. Soulé inventa e regala i tre punti alla Roma

Dopo le pesanti sconfitte contro Bologna e Milan, i nerazzurri sono chiamato alla vittoria per non dare la possibilità al Napoli conquistare il primo posto. Lo straordinario periodo di forma della Roma, si nota subito nell’approccio degli undici titolari. La scelta di Ranieri nello schierare contemporanea sia Dovbyk che Shomurodov ripaga subito l’allenatore, poiché in fase di costruzione, l’Inter è spesso in difficoltà nei passaggi corti e opta per dei lanci lunghi, neutralizzati perfettamente dalla fisica retroguardia giallorossa. Al 22’, su un tiro di Pellegrini, la sfera carambola prima sul piede di Darmian, e successivamente su quello di Carlos Augusto, che innesca involontariamente la conclusione vincente di Soulé, posizionato al posto giusto e nel momento giusto. L’infortunio alla caviglia di Pavard (costretto a uscire), il periodo negativo e la rete dello svantaggio, demoralizza ancora di più un’Inter spenta e spesso inerme alle manovre avversarie. Esattamente dalla stessa posizione in cui è arrivata la rete di Soulé, Pellegrini serve un cross teso recepito da Cristante, che sbaglia clamorosamente sotto porta e spedisce alto un tiro che poteva valere il raddoppio dopo solamente tre minuto dal gol dell’ex Juventus e Frosinone. Il gioco della Roma, seppur poco reattivo sotto porta, cresce e continua a creare enormi problemi ai nerazzurri, salvati incredibile da un intervento prodigioso di Carlos Augusto, posizionato anche lui al posto giusto e pronto a deviare in corner la conclusione a botta sicura di Shomurodov. Lentamente ed esattamente come accaduto contro Bologna e Milan, l’Inter si spegne ed esce piano piano dalla gara. Se nelle scorse giornate i nerazzurri potessero contare su alcuni innesti a partita in corso in grado di cambiare il risultato, in vista della super. Sfida contro il Barcellona, Inzaghi è ancora più costretto ad affidarsi alla coppia Lautaro-Arnautovic dato l’infortunio di Thuram e il bassissimo rendimento di Taremi. Nella ripresa, il gioco lo tengono principalmente i padroni di casa, creando però poche occasioni pericolose nei primi minuti di ripresa. Con meno di mezz’ora a disposizione, il tecnico nerazzurro cambia gli esterni, inserendo Dumfries (di ritorno dall’infortunio), e Zalewski. La conclusione di testa di Bisseck e il tiro ad incrociare di Barella, sono la fotocopia del pomeriggio vissuto dai nerazzurri, condito da tante idee di gioco offensivo ma con pochissimi risultati. Anche Ranieri nella ripresa si affida alla freschezza di alcuni uomini per chiudere la gara, andandoci vicino al 72’ con Pisilli, pescato perfettamente dal cross di Soulé ma impreciso al momento del tiro. Gli ultimi minuti sono caratterizzati da molte azioni pericolose ma con molte imprecisioni, come nel caso del tiro di Dovbyk, terminato alto a pochi passi dall’area piccola, e la conclusione di Çalhanoğlu, spedita alta dal centrocampista turco. L’ultimo episodio chiave della gara arriva a ridosso del novantesimo, quando su una marcatura stretta di Ndicka su Bisseck, il centrale tedesco reclama a gran voce un calcio di rigore, ma viene totalmente ignorato dal direttore di gara che lascia correre. Con il tiro potente ma centrale di Angelino, termina una sfida accesa e ricca di occasioni da entrambe le squadre ma vinta con merito dai giallorossi, che continuano spediti la proprio volata Champions. Per i nerazzurri invece, gli ultimi ko rischiano di essere fatali per la fine di campionato, che si appresta ad essere sempre più turbolenta in tutte le competizioni.

Juventus-Monza (A cura di Dennis Rusignuolo)

Nico e Kolo, poi l’ingenuità di Yildiz. La Juve batte il Monza e non molla il treno Champions

Con l’infortunio di Vlahovic, Tudor ripropone Kolo Muani dal 1′, stavolta come unico riferimento dell’attacco bianconero. Torna titolare Yildiz, dopo i problemi fisici del pre-Parma, mentre gli altri uomini sono tutti gli stessi. Il Monza cerca di salvare l’onore e posticipare il verdetto della retrocessione, e con la lunga lista di infortuni Nesta si affida al tandem leggero Caprari-Dany Mota. In avvio il Monza cerca subito di approcciare bene la gara. I brianzoli provano a farsi valere nelle seconde palle, e la reattività della squadra di Nesta costringe i bianconeri a un fraseggio molto confusionario e poco pulito. Con l’assenza di Vlahovic, la Juve gioca prevalentemente sull’esterno, dove Yildiz cerca subito di mettersi in moto. Al quarto minuto Kolo Muani scalda i guanti di Turati in rovesciata, il francese raccoglie la rimessa lunga di McKennie ma la sua acrobazia è più estetica che precisa. Il Monza trova grandi spazi in ripartenza, e i giocatori di Nesta sembrano avere la gamba giusta per poter mettere in difficoltà la retroguardia juventina. Birindelli al settimo minuto si fa quasi tutto il campo in allungo, nessun giocatore della Juve lo attacca, e l’esterno arriva alla conclusione dal limite dell’area, mancino flebile che Di Gregorio non ha problemi a intercettare. La Juve cerca di sviluppare con pazienza, e trova il guizzo del vantaggio al 12′: Nico Gonzalez riceve palla, si porta palla verso il centro del campo e scaglia un mancino potente a fil di palo, Turati arriva un istante dopo e non può fare altro che raccogliere il pallone da dentro la porta. Da Monza a Monza riparte lo score bianconero di Nico Gonzalez, il cui gol mancava da dicembre, dal match d’andata contro i brianzoli. Il canovaccio tattico della gara non sembra cambiare, nonostante il vantaggio bianconero, e il Monza lamenta una trattenuta irregolare di Kelly in area su Dany Mota; Perenzoni non assegna il penalty, ma la giocata in verticale alle spalle della difesa continua a essere un fattore per la manovra del Monza. Al 22′ Kolo Muani si divora il 2-0, il francese riceve una palla di Locatelli ma calcia malissimo davanti a Turati, destro piazzato che termina ampiamente fuori. Nonostante la pressione feroce sui portatori di palla, è quel fattore sorpresa che la Juve riesce a trovare nelle giocate che manda fuori giri la difesa del Monza. In più occasioni i bianconeri riescono a concludere dentro l’area, ma sia Kelly che Kolo Muani non riescono a essere precisi per battere Turati. Alla mezz’ora raddoppio della Juve: solita progressione devastante di Thuram, il cui scatto porta con sé due giocatori del Monza che non riescono a fermarlo, filtrante per Kolo Muani che questa volta piazza bene il destro e fa 2-0. Con due gol di vantaggio, la Juve si abbassa e cerca di chiudere il Monza per vie centrali. Prima dell’intervallo la partita della Juve rischia di mettersi in salita, perché nell’ultimo sussulto del primo tempo Yildiz rifila una gomitata a Bianco. Perenzoni inizialmente non concede nemmeno il fallo, poi viene richiamato dal VAR ed espelle il turco per condotta violenta. Sciocchezza di Yildiz, un peccato di gioventù, che mette in salita il secondo tempo della squadra di Tudor, e si esclude da solo dallo scontro Champions in casa del Bologna (in programma domenica prossima), con il rischio di una squalifica ben più lunga di una semplice gara. Nessun cambio all’intervallo, anche se Tudor ovviamente ridisegna in maniera diversa il suo scacchiere per sopperire all’inferiorità numerica. Il Monza cerca di approfittare subito della situazione, e già nei primi minuti il piglio dei brianzoli è diverso. Pressione forsennata, linea molto alta e una serie di occasioni, tutte lette bene dalla difesa o da Di Gregorio. Le prime mosse di Tudor preservano i due diffidati in vista del Bologna: fuori Thuram e Cambiaso, dentro Weah e Savona. Nesta infoltisce l’attacco con Forson e Petagna, ma il ritmo della gara rimane stabile, senza eccedere e senza regalare particolari sussulti al Monza, alla ricerca di un appiglio per poter rialzare la testa e accendere la gara. La gestione dei cambi di Tudor cerca di minimizzare al massimo qualsiasi altro rischio, e si evince dall’ingresso di Alberto Costa a quindici dalla fine, al posto di Nico Gonzalez, visibilmente nervoso nel corso dei minuti antecedenti al cambio per una serie di falli non fischiati da Perenzoni. Nei minuti finali il Monza attacca a testa bassa, approfittando di un blocco molto basso della Juve che di fatto non esce più. All’82’ Caprari colpisce indisturbato di testa, conclusione centrale che non impensierisce Di Gregorio. Tanto nervosismo nel finale, favorito da una gestione non proprio eccellente dell’arbitro Perenzoni, ma il risultato rimane invariato fino al triplice fischio. La brutta sconfitta di Parma lascia qualche strascico anche nel match contro il Monza, ma la vittoria ottenuta dalla squadra di Tudor è fondamentale per rimanere attaccata a quel gruppone che presenta sempre nuove insidie e pretendenti. L’ingenuità di Yildiz rimuove un protagonista d’élite per lo scontro Champions di Bologna (e forse non solo quello), ma nel frattempo Tudor può ripartire dalla buona gestione dell’inferiorità numerica nel secondo tempo, anche se dall’altra parte il Monza sembra ormai non avere altro da dare al campionato. La squadra di Nesta si appresta a retrocedere in Serie B, in attesa del verdetto definitivo, e adesso bisogna capire in che modo la società brianzola si muoverà in vista di un finale di campionato in cui il Monza deve comunque difendere l’onore.

Atalanta – Lecce (A cura di Marco Rizzuto)

Karlsson e Retegui feriscono dagli undici metri ma a Bergamo nessun vincitore

La gara tra Atalanta e Lecce, rinviata di 48 ore, si carica di commozione e rispetto per la scomparsa prematura di Graziano Fiorita, terapista dei salentini. Al Gewiss Stadium, infatti, la squadra di Giampaolo scende in campo con una maglia diversa, volta a ricordare il loro caro. Passando alla situazione in campo, il primo vero squillo arriva al 5′ a favore dei padroni di casa: Zappacosta, dalla sinistra, rientra sul destro e crossa in mezzo per il colpo di testa di Pasalic. Falcone, però, è attento e blocca nonostante la posizione ravvicinata del croato. Nonostante il brivido iniziale, è il Lecce a creare più pericoli nella prima frazione di gioco, sfiorando il gol con Coulibaly dopo 23 minuti, quando Carnesecchi si rende protagonista con una super chiusura. Pochi minuti più tardi, i ragazzi di Giampaolo sfiorano nuovamente il vantaggio, ma l’estremo difensore bergamasco si impone ancora, dimostrando di essere uno dei portieri migliori del nostro campionato con due interventi decisivi: il primo su Rebic lanciato a rete, il secondo su Karlsson, che aveva provato a calciare in porta direttamente da centrocampo dopo una ribattuta. Alla mezz’ora, il Lecce trova il tanto atteso vantaggio: il direttore di gara La Penna viene richiamato al VAR e assegna un calcio di rigore in favore dei salentini, decisivo il tocco irregolare con la mano di Hien su un traversone dell’azione precedente. Dal dischetto, Karlsson — uno dei più ispirati tra le fila salentine — batte Carnesecchi, indirizzando così la gara. I bergamaschi accennano una reazione poco dopo, ma anche in questo caso Falcone risponde reattivamente alla conclusione dal limite di Pasalic. La prima frazione si chiude così con il vantaggio dei salentini, tra il mormorio del pubblico che si aspettava sicuramente un piglio diverso, soprattutto in zona offensiva, data la grande capacità realizzativa dell’attacco bergamasco. Gasperini comprende la necessità di mettere mano alla panchina e inserisce Cuadrado per dare più rapidità e imprevedibilità alla manovra. Il secondo tempo, però, riprende sulla scia offensiva del Lecce, che manca l’appuntamento col raddoppio per un soffio: Coulibaly, pescato sulla trequarti, serve la corsa di Pierotti, che manca clamorosamente la porta da posizione più che ghiotta. Arrivati all’ora di gioco, le manovre dell’Atalanta continuano a risultare prevedibili per la difesa salentina. Per questo motivo Gasperini opta per un doppio cambio molto offensivo: dentro De Ketelaere e Ruggeri per Pasalic e Kossounou. I risultati iniziano a farsi vedere: la Dea prende più coraggio e riesce a segregare il Lecce nella propria metà campo. Al 67′, sugli sviluppi di un traversone, Cuadrado subisce un calcione da Karlsson dentro l’area e l’arbitro concede il secondo penalty della gara. Dal dischetto, Retegui non sbaglia, pareggiando i conti e siglando il suo ventiquattresimo centro stagionale. Subito dopo il pari, Retegui sfiora la doppietta di testa su assist di Zappacosta, ma il legno vanifica tutto, mantenendo l’equilibrio. Il tramonto del match regala poche emozioni, affievolendo l’iniziale garra dei bergamaschi, alla ricerca della vittoria dopo il rigore trasformato da Retegui. Nonostante il pari, l’Atalanta rimane in solitaria al terzo posto a quota 65 punti, con Juventus e Bologna in agguato in caso di possibili passi falsi. Il Lecce, invece, racimola un buon punto per la sua lotta salvezza, distanziando il Venezia di soli due punti.

Napoli – Torino (A cura di Tommaso Patti)

Vittoria da primato. McTominay manda in estasi il Maradona.

La gara del Maradona, valida per il possibile sorpasso degli azzurri sull’Inter, offre al Napoli un’opportunità importante in virtù di un finale di stagione tutto da vivere. La sfida tra l’allievo Vanoli e il maestro Conte parte subito forte, con il Napoli proiettato in avanti alla ricerca del gol. La prima grande occasione per i padroni di casa arriva al secondo minuto, quando sugli sviluppi di un calcio d’angolo, il pallone non viene allontanato dalla difesa granata e offre al Napoli la possibilità di portarsi avanti. Nella precedente mischia, Olivera reclama un calcio di rigore per un contatto falloso di Coco nei confronti del terzino uruguaiano, intervento giudicato regolare dal direttore di gara. L’aggressività del gioco del Napoli ha subito i suoi frutti: dopo appena sette minuti, Anguissa serve un cross basso ma potente a centro area, spinto in porta da un grandissimo inserimento di Scott McTominay, regalando il vantaggio alla propria squadra e salendo a quota 11 gol in Serie A. Il passo falso dell’Inter nel primo pomeriggio contro la Roma, l’immediato gol del vantaggio e l’immancabile spinta del Maradona, carica maggiormente la squadra di Conte, sottolineandone ancora di più lo straordinario stato di forma. Nonostante lo svantaggio, il Torino riesce a non perdere il controllo della gara, riuscendo a rendersi pericoloso qualche minuto più tardi con Che Adams, impreciso nel concludere in porta il cross di Linetty. Dopo lo scampato pericolo, gli azzurri tornano a dominare il gioco, trascinati da un centrocampo formidabile e in grado di trainare un’intera squadra. Poco prima dell’intervallo, il Napoli trova il meritato gol del raddoppio grazie ad un duello vinto da Politano contro Biraghi, scontro che propizia il secondo gol di McTominay, arrivato da un anticipo del centrocampista scozzese ai danni di Casadei e Linetty. Dopo un generale equilibrio nei primi quindici minuti della ripresa, il Napoli torna a spingere e ad aggredire il Torino, andando vicino al terzo gol con Billing, bravo nell’inserirsi e a prendere posizione al centro dell’area piccola, per poi concludere di testa un tiro che termina sulla traversa. La fase finale di gara è carente di occasioni, con il Napoli che prova a mantenere i due gol di vantaggio, e con il Torino sempre alla ricerca del gol, sbattendo più volte contro l’ottima impostazione della difesa partenopea. Con il successo sul Torino, il Napoli supera l’Inter e si porta al primo posto in solitaria, distanziando i nerazzurri di tre punti. La seconda sconfitta nelle ultime tre gare del Torino, obbliga la squadra di Vanoli ad un cambio di marcia per riuscire a mantenere decimo posto in classifica.

Udinese – Bologna (A cura di Marco Rizzuto)

Udinese e Bologna sparano a salve: Davis e Orsolini fermati dai legni, al Bluenergy termina 0-0

Dopo i forfait arrivati nelle ventiquattr’ore prima di Ndoye e Pedrola, il Bologna approda a Udine per la corsa in Champions League dopo aver eliminato l’Empoli ed aver raggiunto la finale di Coppa Italia dopo ben 51 anni. Anche l’Udinese schiera in campo un undici titolare dall’attacco ‘leggero’, dati gli infortuni di Thauvin e Lucca. Runjaic da quindi fiducia a Davis come unico riferimento in avanti. Tra le fila dei rossoblù Dallinga viene nuovamente preferito a Castro, con Dominguez sulla fascia di sinistra. Dopo pochi attimi è proprio Davis a spaventare la difesa bolognese dopo l’errore di Lucumi, l’attaccante ex Aston Villa calcia dalla distanza colpendo in pieno la traversa. L’organico di mister Italiano che sembrava tanto stellare fino a qualche giorno fa, non riesce ad entrare in partita al Bluenergy Stadium sbagliando diversi palloni in fase di costruzione. Lucumi su tutti, appare sin da subito in difficoltà sbagliando al 13′ una verticale per Odgaard letta benissimo da Karlstrom, il quale avvia un ottimo contropiede non concretizzato dai compagni. Dobbiamo attendere la mezz’ora per vedere il Bologna attaccare pericolosamente l’area avversaria. In questo caso con la giocata individuale di Orsolini, che sfuggendo a Kamara perfora l’out di destra mettendo in mezzo un pallone insidioso ma neutralizzato dall’intervento di Okoye. Poco dopo ritorna pericolosa l’Udinese: cross forte e teso perfetto per l’incornata di Davis, Skorupski in tuffo alza la sfera in calcio d’angolo e Davis, purtroppo per i tifosi non è Lucca. Sul finale della prima frazione Davis fa prendere un ennesimo spavento ai ragazzi di Italiano, che tirano un sospiro di sollievo dopo che il pallone esce a fil di palo. Nei primi 45 minuti l’Udinese sfiora diverse volte il vantaggio ma per Davis non è la giornata fortunata, fermato da una traversa e da un miracolo di Skorupski. Sicuramente l’assenza di Thauvin e Lucca si fa sentire, nonostante l’ottima partita di sacrificio di Payero. Alla ripresa è sempre il numero cinque bianconero a sfiorare la rete del vantaggio su calcio piazzato, terminato di poco al lato. Il secondo tempo non regala particolari azioni palla a terra, ma al 66′ Orsolini pareggia il conto dei legni colpendo l’incrocio pieno su calcio di punizione. Al tramonto della gara, Italiano sostituisce Dallinga e Freuler per Castro e Moro, e proprio la giovane promessa argentina di testa serve un assist al bacio per Orsolini, che in tuffo non riesce ad indirizzare verso la porta. Termina quindi a reti bianche la sfida tra Udinese e Bologna. I ragazzi di Italiano non riescono a dare continuità all’importantissima vittoria contro l’Inter, fermandosi contro un’Udinese molto solida ma anche pericolosa in diversi frangenti. Nessuna delle due squadre avrà alla prossima partita una gara semplice. L’Udinese troverà un Cagliari voglioso di rimanere nelle acque sicure della 14^ posizione, mentre il Bologna si giocherà il piazzamento tra le prime quattro nello scontro diretto con la Juve.

Hellas Verona – Cagliari (A cura di Marco Rizzuto)

Il Cagliari sbanca il Bentegodi e vede la salvezza, Verona k.o.

Per provare a ipotecare la salvezza, il Verona si affida al consueto 3-1-4-2: Duda agisce da metronomo davanti alla difesa, favorendo il ritorno in campo di Suslov, assente nel match contro la Roma. In attacco è intoccabile il tandem Sarr-Mosquera.Tra le fila isolane, pesano le assenze di Mina e Piccoli: il primo è out per infortunio rimediato nella gara contro la Fiorentina, il secondo sconta una squalifica. Mister Nicola risponde rilanciando Palomino al centro della difesa e rispolverando Pavoletti, alla prima da titolare, al fianco di Zito. Nonostante le defezioni, il Cagliari domina gran parte del primo tempo, impegnando Montipò con le conclusioni pericolose di Zito e Marin. Al 28′ Suslov è costretto a uscire per un problema fisico: Zanetti effettua il primo cambio, inserendo Bernede. Al Bentegodi piove sul bagnato, e pochi minuti dopo il dominio rossoblù si concretizza grazie a un pasticcio difensivo del Verona. Zito sterza sul mancino e crossa un pallone apparentemente innocuo: Coppola liscia clamorosamente, mandando fuori tempo Ghilardi che non riesce a intervenire. Pavoletti, ben appostato, raccoglie e insacca da pochi passi, sbloccando la gara. L’unico sussulto gialloblù prima dell’intervallo è una punizione insidiosa di Duda, neutralizzata senza affanni da Caprile. Nella ripresa nessun cambio, ma i ritmi calano drasticamente. Il Cagliari è abile a spegnere il gioco, controllando il vantaggio nonostante i cambi operati da Zanetti. La noia prende piede al Bentegodi e il cronometro scorre inesorabile. All’81’ ci prova Sarr con un aggancio volante seguito da un tiro al volo, ma la palla sorvola la traversa. Nel finale, un guizzo di tensione: Ghilardi controlla male e, nel tentativo di rimediare, stende Gaetano con un intervento sconsiderato. L’arbitro non ha dubbi ed estrae il rosso diretto. Con l’uomo in più e un gol di vantaggio, i rossoblù si chiudono nella propria metà campo, aspettando il triplice fischio. Ma c’è tempo per il colpo del ko: un’altra disattenzione della difesa veronese spalanca la porta al contropiede. Mutandwa innesca la corsa di Gaetano, che entra in area, finta il tiro e serve l’accorrente Deiola, il quale deve solo appoggiare in rete il definitivo 0-2. Il triplice fischio dà il via a una pioggia di fischi per Zanetti e i suoi, mentre Nicola esulta: il Cagliari torna al successo in trasferta, cosa che non accadeva dal 5 gennaio contro il Monza, e vede la salvezza sempre più vicina.

Lazio – Parma (A cura di Marco Rizzuto)

Lazio e Parma si dividono la posta: Ondrejka illumina, Pedro la riprende

Una Lazio fatta di luci e ombre insegue il sogno Champions ospitando il Parma, ma i numeri sono impietosi: una sola vittoria nelle ultime nove partite casalinghe. I gialloblù, invece, approdano all’Olimpico con la forza del “punticino dopo punticino”, cercando di allontanarsi dalle zone più pericolose della classifica. Dopo appena due minuti, arriva il lampo ospite: Valeri sfonda a sinistra e serve un filtrante perfetto per Ondrejka, che piazza il pallone a fil di palo battendo Mandas. Stupore e silenzio tra i tifosi biancocelesti. I primi dieci minuti vedono una Lazio spenta, mentre il Parma prova a sfruttare l’inerzia della partenza fulminante. Superato il ventesimo, i padroni di casa iniziano a crescere, prendendo progressivamente il controllo del gioco. Al 37’ Castellanos trova il gol su splendida imbucata di Gila, ma l’esultanza viene strozzata dal fuorigioco segnalato dall’assistente: tutto da rifare. A inizio ripresa, il Parma colpisce ancora. Keita scappa via alla gabbia formata da Rovella e Guendouzi e serve nuovamente Ondrejka: il rimpallo lo favorisce e l’attaccante non sbaglia, firmando la doppietta dello 0-2. Poco dopo Gila e Guendouzi non si intendono e spalancano un’autostrada a Pellegrino, che però si fa ipnotizzare da Mandas, bravo a tenere a galla i suoi. Baroni cambia: fuori un impalpabile Dia, dentro Pedro. La mossa si rivela decisiva. È proprio lo spagnolo, al 78’, ad accorciare le distanze, approfittando di una dormita difensiva sul tiro di Tchaouna deviato da Suzuki. L’Olimpico si infiamma, la Lazio prende fiducia e continua a spingere. All’84’, Pedro completa la rimonta: sul cross di Pellegrini lo spagnolo impatta di testa da vero attaccante agguantando il pareggio diventando l’eroe della serata. Nel finale, i biancocelesti vogliono completare l’opera, ma rischiano grosso al 93’: Sohm lancia in profondità Man, che brucia Pellegrini nell’uno contro uno ma calcia male col sinistro. Brivido e sospiro di sollievo per tutto lo stadio. Con il triplice fischio di Sacchi, le due squadre si dividono la posta, ma resta l’amaro in bocca per entrambe. La Lazio viene sommersa dai fischi: serve una svolta se si vuole restare in corsa per la Champions. Il Parma, invece, si fa sfuggire tre punti fondamentali nella corsa salvezza: la squadra di Chivu dovrà lottare fino alla fine per restare fuori dalla zona rossa.

LA TOP11 DELLA 34ª GIORNATA

Grafica: Julya Marsala

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Calcio

Coppa Italia, semifinali di ritorno: il derby di coppa è rossonero, il Bologna non delude

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Inter – Milan (A cura di Tommaso Patti)

Estasi rossonera. La doppietta di Jovic e la rete di Reijnders eliminano l’Inter

La prima delle due sfide di ritorno della semifinale di Coppa Italia, vede sia l’Inter che il Milan affrontare la gara con la consapevolezza che dalla gara del Meazza, le due squadre si contendono una grandissima fetta di stagione. Le sconfitte ottenute nell’ultimo week end contro Bologna e Atalanta, hanno rallentato e dato parecchi problemi alle due milanesi.

Rispetto all’ultima gara, Inzaghi cambia sei uomini: oltre alla già risaputa titolarità di Josep Martinez in porta, sarà Bisseck a fiancheggiare la coppia De Vrij-Bastoni, mentre torna titolare sia Asslani in mediana, sia Taremi in attacco, in coppia con Lautaro. Nonostante il gol del momentaneo vantaggio nella sfida d’andata, Conceição decide di puntare su Jovic e non confermare Abraham al centro dell’attacco, con Leao e Pulisic alle spalle del serbo. La sconfitta contro l’Atalanta non fa cambiare idea a Conceição, che conferma il nuovo modulo con la difesa a tre, fattore che rende i rossoneri molto più offensivi e liberi di attaccare tramite le fasce.

Dopo l’iniziale commozione generale dovuta al minuto di silenzio in memoria di Papa Francesco, il 244° derby di Milano si accende immediatamente. Dopo i primi minuti in cui l’Inter è riuscita a palleggiare e a farsi notare nella metà campo avversaria, il Milan prova per la prima volta a uscire dalla propria “bolla” grazie al ritmo alto della propria fascia destra, occupata da Jimenez e Pulisic. I nerazzurri, dopo un paio di minuti di sofferenza, riescono a ripartire con Darmian, dimenticato dalla difesa del Milan e lasciato libero di calciare. Dopo venti minuti di equilibrio, sono due errori di posizione del Milan a lasciare spazio alle avance avversarie e a prendersi la scena è Dimarco: l’esterno nerazzurro dopo un inizio di gara sofferente date le avance rossonere, si rende protagonista con una doppia conclusione neutralizzata da Maignan e un tiro terminato sulla traversa da posizione defilata. Poco dopo la doppia azione di Dimarco, la sponda arretrata di testa di Taremi trova Lautaro Martinez solo e con una buona angolazione di tiro, sciupata però dal centravanti argentino che spedisce il pallone altamente sopra la traversa. I sessantasette mila spettatori spingono i nerazzurri, ma è il Milan a trovare il gol del vantaggio con il cross di Jimenez che pesca a centro area Jovic, libero di angolare il pallone e spedirlo in porta. Dopo svariati tentativi, esattamente come la trasferta di Bologna, l’Inter si spegne ed esce completamente dalla partita a inizio ripresa, palesando un enorme calo fisico e psicologico, fattore che porta al secondo gol di Jovic, prendendosi meritatamente la scena di un derby a cui non doveva nemmeno partecipare fino a poco tempo prima. L’unico tentativo di riaprire la gara da parte dell’Inter arriva con il colpo di testa di De Vrij, in una situazione simile a quella avuta nell’ultimo derby di campionato. I quattro cambi di Inzaghi non cambiano la gara, il Milan domina nella ripresa e chiude definitivamente la gara a cinque minuti dalla fine con l’ennesima rete di Reijnders, che chiude il derby e manda meritatamente il Milan in finale.

I MIGLIORI

La frase “Il calcio è fatto da episodi” si incarna perfettamente nella prestazione di Luka Jovic e di mister Conceição. Ai margini del progetto rossonero, l’attaccante serbo è riuscito a sfruttare perfettamente il poco spazio che gli è stato concesso, regalando un altro derby al Milan e
Con la finale del 14 maggio conquistata, la stagione altalenante del Milan può avere una svolta: le troppe cadute in campionato possono essere coperte da due possibili trofei (dopo la vittoria in Supercoppa italiana). L’esperienza di Conceição al Milan sembrava potesse terminare a fine stagione fino a pochi giorni fa, ma grazie ad una grandissima prestazione contro i cugini, i rossoneri possono sperare nella conquista di un altro trofeo che varrebbe l’accesso diretto alla prossima Europa League, visto il momentaneo nono posto in campionato, che non garantirebbe ai diavoli alcun piazzamento europeo.

TESTA ALLE PROSSIME

Definire delusione una stagione giocata ai massimi livelli in ogni competizione è un parolone, ma la stagione dell’Inter rischia di frantumarsi su tutti i fronti in pochissimi giorni. Zero gol fatti e quattro gol subiti in sole due partite, suonano come un campanello d’allarme per Simone Inzaghi, che ora deve rimboccarsi le maniche e rialzare il morale di una squadra che ha ancora il tempo di dire la sua sia in campionato che in Champions League, e all’orizzonte ci sono già le sfide contro Roma e Barcellona.

 

Bologna Empoli (A cura di Marco Rizzuto)

51 anni dopo è realtà: Bologna, bentornata in finale!

Con la rotonda vittoria per 3 a 0 nella semifinale d’andata giocata al Castellani, il momento di forma straordinario in campionato, che sta lanciando il Bologna verso un secondo piazzamento consecutivo in zona Champions, i ragazzi di Vincenzo Italiano non hanno di certo intenzione di fermarsi qui, e si giocano l’accesso alla finale di Coppa Italia tra i suoi tifosi, nel suo fortino, che ha dato da filo da torcere a tutte le big della Serie A.

Tra le fila bolognesi nessun cambio di modulo, Italiano però preferisce far rifiatare qualche pedina fondamentale visto il finale di campionato ancora incerto. Lykogiannis e Cambiaghi partono titolari sulla fascia sinistra, Fabbian ritrova il posto da titolare nella trequarti, con Moro che duetta con Freuler nella mediana, facendo rifiatare Ferguson.
Viceversa l’Empoli, rispetto al match d’andata, cambia schieramento cercando di contenere le avanzate degli avversari. D’Aversa schiera un 3421 preferendo maggiore densità in mezzo al campo, con Solbakken e Sambia che forniscono supporto a Konate unica punta. Nonostante i cambi, l’avvio sembra una proseguo del match d’andata, i rossoblù stappano la gara dopo appena sette minuti di gioco con la testata vincente di Fabbian: dopo la respinta del corner, Moro controlla la sfera e scodella al centro dell’area di rigore, dove sbuca la mezz’ala ex Inter che prende il tempo a tutti compreso Seghetti. Nonostante il palleggio continuo del Bologna, e la rete del momentaneo 4-0 totale, la squadra di D’Aversa non si arrende e cerca di graffiare saltuariamente la retroguardia casalinga con un buon pressing del reparto offensivo. Qualche minuto dopo la mezz’ora, i toscani riescono a siglare la rete che infonde speranza alla squadra: dopo un ottimo sombrero, Sambia serve la corsa di Solbakken che impegna Ravaglia in tuffo, sulla ribattuta Kovalenko spinge in rete indisturbato. La squadra di D’Aversa è difficile da inquadrare, una buona fase offensiva accompagnata però da una fase difensiva molto confusa e disattenta.

Ad Italiano non è piaciuta la fase difensiva intravista nel gol subìto, e provvede sostituendo alla ripresa Lucumi per Erlic, mentre Dominguez prende il posto di Orsolini. Si muove anche la panchina dell’Empoli, con Colombo che subentra a Solbakken. Quasi all’ora di gioco, Sambia commette un intervento sconsiderato ai danni di Lykogiannis, il direttore di gara attende qualche minuto per verificare se ci fossero gli estremi per il cartellino rosso, alla fine viene confermato il cartellino giallo tra lo stupore della panchina rossoblù e del pubblico. La ripresa segue un ritmo più lento e con meno occasioni, il Bologna non ha fretta di forzare l’azione preferendo una gestione intelligente del possesso. Nonostante i cambi per entrambe le fazioni, per gran parte del secondo tempo il copione non cambia. Sul finale Dallinga sigla la rete che mette in ginocchio l’Empoli: altro traversone millimetrico, stavolta di Lykogiannis e altra testata vincente che non lascia scampo a Seghetti, chiudendo il capitolo semifinale.

I MIGLIORI

Non esistono riserve, esistono risorse.
La prestazione messa in campo da Moro rappresenta perfettamente questa frase, e racconta il clima che si respira nello spogliatoio di Vincenzo Italiano.
Una partita giocata da vero leader, condita da un assist al bacio che vale quanto un gol. La gara che abbiamo vissuto ci insegna che, a volte, non servono campioni affermati per raggiungere la vetta. La finale del 14 maggio ne è la prova. Solo allora, con una coppa in palio, potremo assistere al racconto di uno scontro tra due squadre guidate da una mentalità, un progetto e un modus operandi molto diversi.
La scorsa stagione i tifosi del Bologna credevano di aver toccato il paradiso. Un anno dopo, forse, stanno per scoprire cosa c’è oltre.

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