Calcio
L’Inter vince ma non basta. Il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta

L’apertura dell’ultimo weekend di campionato coincide con la chiusura del discorso scudetto, perché il Napoli supera l’ostacolo Cagliari e si laurea campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia. Non basta la vittoria dell’Inter in casa del Como, perché i partenopei riescono a blindare il successo grazie alle reti di McTominay e Lukaku.
Il racconto di un finale di stagione al cardiopalma, come non si viveva da quasi quindici anni.
Un finale dai tanti significati e dalle mille sfaccettature, due cornici che definire splendide è riduttivo. Da una parte un palcoscenico unico, in quel ramo del lago di Como; dall’altra il Diego Armando Maradona di Napoli, il catino nel quartiere di Fuorigrotta che ribolle di passione ed energia per una delle serate più attese e intense degli ultimi anni.
Napoli-Cagliari
Novanta minuti per coronare un sogno, una città intera riversata per le strade e nei seggiolini del Maradona. Tutta Napoli è in campo e fuori dal campo per l’ultimo atto, il più atteso. Conte, squalificato (come Inzaghi a Como) e sostituito dal vice Stellini, non ha particolari dubbi per gli undici che scendono in campo: con Buongiorno e Lobotka ancora una volta acciaccati, la scelta ricade nuovamente su Olivera e Gilmour. Quarto gettone al centro della difesa per Mati Olivera, sempre più in confidenza con il ruolo, mentre lo scozzese fa reparto insieme al connazionale McTominay e Anguissa. In avanti Raspadori e Lukaku ormai fanno coppia fissa, mentre Neres parte dalla panchina ma sicuramente troverà spazio a gara in corso. Il Cagliari schiera gli uomini migliori, anche se i sardi arrivano al Maradona con un paio di assenze importanti (Luvumbo, Pavoletti, Caprile e Gaetano su tutti).
NAPOLI: Meret, Di Lorenzo, Rrahmani, Olivera, Spinazzola, Gilmour, Anguissa, McTominay, Politano, Raspadori, Lukaku
CAGLIARI: Sherri, Zappa, Mina, Luperto, Zortea, Adopo, Makoumbou, Deiola, Augello, Viola, Piccoli
Tra le note splendide di Live is Life il Maradona cerca di vivere una di quelle sere che viveva regolarmente ai tempi di Diego, una magia che non si basa sul prestigio del mago ma sul cinismo dei duellanti. Non è cambiata la passione e l’energia di uno stadio che trasuda calcio, tutto colorato di quell’azzurro “Ca rassumiglia ‘o cielo e ‘o mare ‘e sta città”.

Foto: X Lega Serie A
|| PRIMO TEMPO ||
Al fischio iniziale di La Penna tutta la letteratura si concentra sul rettangolo verde. Napoli subito in pressione altissima sui portatori di palla, il Cagliari accoppia Mina a Lukaku, e quei due si daranno battaglia fino all’ultimo secondo. Due pilastri, i due riferimenti e i due leader tecnici ed emotivi. Fin dai primi minuti McTominay è praticamente l’attaccante aggiunto, ma ormai non è più una sorpresa, e i cross sono la soluzione preferita dei partenopei. Si gioca fin da subito in una sola metà campo, e Raspadori spaventa la porta di Sherri con un diagonale mancino che sibila con il palo sinistro. In avvio tutti i palloni indirizzati verso il centro dell’area trovano un gigante colombiano a svettare, Yerry Mina domina in avvio e il Napoli trova l’occasione principale in ripartenza, quando il difensore rossoblù è nell’area azzurra e i partenopei ripartono con la velocità di Spinazzola e l’inserimento di Gilmour, provvidenziale l’uscita di Sherri. I maggiori corridoi il Napoli li trova a destra, con Politano e Raspadori in costante proiezione offensiva. Gli azzurri sono costantemente in forcing offensivo, e al 13′ Sherri sbarra la strada al destro -a botta sicura- di Rrahmani. L’Inter va in vantaggio al Sinigaglia, ma il copione della gara del Napoli non sembra subire variazioni, il ritmo si mantiene altissimo e al riaggressione dei giocatori di Conte è furibonda, si viaggia su binari altissimi. Lukaku cerca di riconsegnare il primato momentaneo ma Sherri e Mina si oppongono, il belga trova lo spazio per calciare ma il suo mancino è stoppato dalla scivolata del colombiano. I toni agonistici sono alti sopra ogni limite, a tal punto che La Penna sceglie il pugno di ferro: dopo un primo accenno di rissa, ammoniti sia Makoumbou che Politano. Le proteste del Napoli sono per una manata del centrocampista rossoblù su Raspadori. Ci sono problemi di comunicazione tra l’arbitro e il VAR, e per riprendere il gioco ci vogliono quasi cinque minuti, ma la decisione rimane quella di campo. Il Cagliari nel primo tempo alza il muro per grandi meriti di Sherri, impreciso in uscita ma prezioso nelle respinte con le mani, come quella su Spinazzola a cinque dagli spogliatoi. Lo sbarramento rossoblù crolla al minuto 41, quando McTominay si inventa il gol dell’anno: cross morbido a girare di Politano, McTominay decide di regalare un’immagine da “album Panini” e in semi-rovesciata batte Sherri. Un gol meraviglioso di un giocatore maestoso, l’uomo in più in questa stagione azzurra. Dal Maradona non si alza solo un urlo liberatorio, ma una nebbia sempre più fitta causata dai fumogeni del tifo partenopeo. All’intervallo si va sull’1-0 e adesso è tutto in discesa.
|| SECONDO TEMPO ||
Nessuna sostituzione da parte dei due allenatori, anche se dagli spogliatoi il Cagliari prova a uscire con maggiore coraggio e intraprendenza. I rossoblù cercano un fraseggio più ragionato e pulito, complice un blocco basso e una pressione meno intensa da parte del Napoli. Nelle uscite gli azzurri trovano più difficoltà, e la giocata codificata verso Lukaku è spesso schermata, ma quando il belga trova spazio è devastante. Al 50′ lancio lungo verso Lukaku, il numero 11 vince il contrasto con Mina e con una potenza inaudita arriva davanti a Sherri e lo buca in diagonale. Quattordicesimo centro per Lukaku, sicuramente il più importante perché con due gol di vantaggio adesso lo scudetto è tanto, tantissimo, vicino. Nicola ne cambia tre per mantenere alta la concentrazione: vanno fuori Zortea, Makoumbou e Viola, entrano Mutandwa, Palomino e Marin. La scelta di Conte invece è David Neres, scelto al posto di uno stremato Politano. Applausi scroscianti del Maradona per uno dei pretoriani fedelissimi di Conte, sempre prezioso in fase di non possesso oltre che in attacco. Il brasiliano ha subito l’occasione per mettere la firma finale, ma Sherri gli sbarra la strada al momento della conclusione. La difesa del Cagliari non riesce più a contenere Lukaku, e tutte le azioni partenopee passano dal “nuraghe” belga. La gestione del risultato diventa quasi semplice, a tal punto che il Napoli cerca di sfondare ogni volta che può, perché il Cagliari non riesce a impensierire la porta di Meret, che oggi si può considerare uno spettatore non pagante. Il Cagliari è in balia del possesso e della spinta emotiva che il Maradona fornisce agli Azzurri. Conte cerca di giocare anche con l’emotività dello stadio, e richiama fuori Lukaku per una standing ovation che riflette la stagione da leader del belga; al suo posto dentro Simeone, ex di giornata. Nel frattempo, tra le file sarde, Obert ha rilevato Augello. La girandola di sostituzioni smorza il ritmo della partita, e nel finale Nicola regala l’esordio in A per il terzo portiere Ciocci, al posto di un ottimo Sherri, prezioso con le sue parate nel primo tempo per ritardare la gioia del Maradona. Mancano solo dieci minuti e ormai tutto lo stadio si comincia a sciogliere perché la pratica è ufficiosamente chiusa. Anguissa termina la benzina e Conte ne approfitta per chiudere i cambi con Billing, Mazzocchi (per Spinazzola) e Ngonge (per Raspadori), ma ormai rimane solo l’ultimo squarcio di partita prima della festa generale.
“Napule è mille culure”, una delle frasi più famose di una voce pura e limpida come il mare partenopeo. La voce di Pino Daniele presenta una varietà immensa di colori, ma questa sera Napoli si tinge di azzurro, oltre al tricolore che viene sollevato al cielo di Fuorigrotta per la quarta volta nella storia del club partenopeo. Una stagione di altissimo livello, terminata nel migliore dei modi grazie alle firme dei due working class hero voluti da Conte. La straripante forza di Lukaku, la polivalenza e il dominio del gioco di Scott McTominay sono state le chiavi principali per un successo che rimarrà nella storia azzurra. E poi c’è il comandante, la guida spirituale di questa cavalcata. Antonio Conte lo ha fatto ancora, per l’ennesima volta è sul tetto d’Italia. Una vittoria che porta la sua firma nelle modalità e nell’identità. Il tecnico leccese è riuscito a “friggere il pesce con l’acqua“, è andato contro i suoi principi basilari di gioco ed è riuscito a rendere questo Napoli un ingranaggio non sempre perfetto, ma terribilmente funzionale per raggiungere la vetta più alta della Serie A, per la quarta volta.
Meno dominante, con più pathos e meno protagonisti, ma ancora una volta Napoli è sul tetto d’Italia.
Como-Inter
Con la consapevolezza di non avere concretamente il destino nelle proprie mani, e con una finale di Champions League sullo sfondo, l’Inter cerca di chiudere con una vittoria al Sinigaglia di Como, ma la gestione è tutta finalizzata verso la gara di Monaco di Baviera. Ritornano in squadra gli acciaccati Frattesi e Lautaro Martinez, ma Inzaghi -squalificato contro la Lazio, sostituito dal vice Farris- sceglie una strategia conservativa: a riposo quasi tutti i “big”, eccezion fatta per Sommer, Calhanoglu e Dimarco, e conferme di alcuni volti che hanno ben vinto nell’ultima trasferta contro il Torino. Ancora una volta Zalewski agisce in mezzo al campo, insieme a Calhanoglu e Asllani, altra chance in cabina di regia per l’albanese. L’attacco è sorretto da Taremi e Correa, chiamati a dare un segnale per il presente, ma soprattutto per il futuro all’interno del club nerazzurro. Fabregas risponde con le sue solite scelte mirate e coraggiose, con la presenza tra i pali di Pepe Reina, all’ultima gara in carriera a 43 anni, mentre la difesa è inedita.
COMO: Reina, Van Der Brempt, Dossena, Kempf, Valle, Perrone, Da Cunha, Caqueret, Nico Paz, Strefezza, Douvikas
INTER: Sommer, Bisseck, De Vrij, Carlos Augusto, Darmian, Calhanoglu, Asllani, Zalewski, Dimarco, Correa, Taremi
Un decimo posto conquistato con un’ideale e uno spirito unico. Il Como chiude il campionato con una maglia speciale e con più risposte che domande. L’Inter invece cerca di dare un senso a questo finale di stagione, alla ricerca di una notizia sorprendente da Napoli.
|| PRIMO TEMPO ||
Si gioca subito a un ritmo altissimo, ma non era una sorpresa vista l’identità del Como e la ricerca del fraseggio da parte dell’Inter. I rischi principali per la porta di Sommer arrivano quando i lariani sono in pressione alta, e il primo brivido è un destro di Van Der Brempt su cui il portiere svizzero non ha problemi. In ripartenza l’Inter sfiora il vantaggio con la classica ricerca dei due esterni, Dimarco mette in mezzo un cioccolatino che Darmian scarta anche bene, ma non fa i conti con Perrone, provvidenziale nel salvare sulla linea. In mezzo al campo l’Inter trova le giocate per scardinare il blocco unito del Como, specialmente nella parte sinistra dove Zalewski non viene marcato bene da Nico Paz. Anche la squadra di Fabregas ha spazio tra le linee e in uno sviluppo Massa estrae il primo giallo: ammonito Calhanoglu per un intervento in netto ritardo su Perrone, il turco era diffidato e salterà la prima del prossimo campionato (o l’eventuale spareggio scudetto). Si gioca in fazzoletti di campo, e la differenza la fa la qualità dei singoli, soprattutto nella trequarti. Il Como rimane in pressione altissima, e la sensazione è quella confermata non solo alla vigilia, ma nelle ultime settimane lariane: coraggio e spregiudicatezza, contro qualsiasi avversario. L’Inter però si conferma micidiale sui piazzati, e al 20′ i nerazzurri passano in vantaggio: corner di Calhanoglu, traiettoria a uscire e incornata maestosa, ma solitaria, di Stefan De Vrij (oggi capitano). È la rete numero 26 da palla inattiva per la squadra di Inzaghi, un marchio di fabbrica a tinte nerazzurre. Il momentaneo primato non stravolge l’inerzia della partita, perché il Como non cala di intensità. Prova a riaccendersi il solito Nico Paz, sempre prezioso e intraprendente con le sue giocate da funambolo. L’Inter continua a soffrire il pallone spiovente sul secondo palo, e in questo fondamentale serve un altro intervento sicuro di Sommer per chiudere lo specchio a Van Der Brempt. In contropiede la squadra di Inzaghi ha delle praterie, ma Taremi pecca di freddezza e alla mezz’ora fallisce il raddoppio calciando addosso a Reina. Il calcio sa regalare intrecci e storie sempre più variegate, non sempre romantici come si desidera. A ridosso dell’intervallo Taremi viene steso da Reina in uscita, in prima battuta l’iraniano prosegue l’azione ma scivola subito dopo, ma il VAR richiama Massa e l’intervento del portiere spagnolo è falloso: cartellino rosso e punizione dal limite. L’immagine dell’uscita di Reina è unica, perché tutto lo stadio e gli avversari si concedono un momento di applausi e standing ovation per la carriera di un portiere, anzi un portierissimo. Al suo posto entra Butez, ed esce un anonimo Caqueret, che nel primo tempo si è visto pochissimo. La notizia del vantaggio del Napoli arriva a ridosso dell’intervallo, e la gestione emotiva della ripresa diventa l’argomento principale per l’Inter, chiamata a chiudere la partita sfruttando la superiorità numerica.
|| SECONDO TEMPO ||
Il Como cerca di far sentire la propria voce già dall’inizio, a tal punto che Da Cunha costringe De Vrij al fallo al limite dell’area. Cartellino giallo per l’olandese, che rischia di mettere in salita il suo secondo tempo. Il Como ha una marcia in più, ma l’Inter ci mette pochi minuti per raddoppiare, questa volta in ripartenza: Correa scatta sulla sinistra, splendida finta di tiro con il sinistro e destro piazzato che batte Butez. Il 2-0 indirizza la partita ma nello stesso momento il Napoli trova il raddoppio e mette in discesa il discorso scudetto. Fabregas cerca di riaccendere la miccia aumentando l’esperienza e il peso in avanti: fuori Douvikas e dentro capitan Cutrone. Bisseck accusa un problema al ginocchio e rimane a terra, Inzaghi non rischia nulla e muove la panchina con tre mosse: Barella, Acerbi e Dumfries al posto di Bisseck, Dimarco e Calhanoglu. Prime rotazioni tra le fila nerazzurre, e visto il risultato del Maradona la gestione mira alla finale di Monaco di Baviera. Il Como allenta il ritmo, anche se cerca di riaccendere la propria partita. Nico Paz cerca di mettersi in proprio in più occasioni, ma nell’ultimo passaggio lui e Cutrone peccano di lucidità e freddezza. L’Inter rallenta la partita, e con le sostituzioni cerca di smorzare il ritmo. Arnautovic rileva Taremi, ancora una volta impreciso e poco freddo. La prestazione dell’iraniano è la copertina della sua stagione, sicuramente al di sotto delle aspettative, visti i numeri strepitosi registrati nella sua precedente avventura al Porto. Inzaghi regala l’esordio in A per il giovane Topalovic, mentre tutto il Sinigaglia si concede la standing ovation per Nico Paz, il cui futuro è ancora incerto visto il pressing del Real. Entra anche Iovine, che ha deciso di chiudere questa sera la sua carriera calcistica all’età di 33 anni. Nel finale ormai non c’è più nulla da difendere, né da attaccare, e dopo tre minuti di recupero Massa fischia la fine.
L’Inter conclude il suo campionato con una vittoria, ma non basta per tentare il sorpasso miracoloso. Non è bastato un successo costruito e ottenuto con la solita lucidità e praticità, perché il Napoli ha fatto il suo dovere, ma la stagione della squadra di Inzaghi rimane di alto livello, anche se la finale di Champions diventa lo spartiacque per valutare al meglio la stagione nerazzurra. Il Como saluta due pilastri come Reina e Iovine, e adesso il futuro è tutto da scrivere, anche se la prima penna mostrata quest’anno è stata certamente di livello.
Calcio
Mondiale per Club, il resoconto della prima giornata (Seconda parte)

Dopo i primi quattro gironi, che sono già tornati in campo per la seconda giornata del torneo, ecco gli altri quattro gironi che hanno fatto il loro esordio negli scorsi giorni. Figurano tante big, oltre alle due italiane in azione, Juventus e Inter.
GIRONE E
Inter, Monterrey, River Plate, Urawa Reds
La prima gara del girone è quella tra il River Plate e i giapponesi dell’Urawa Reds. A Seattle le temperature sono più adatte per una grigliata di asado con gli amici piuttosto che una partita di calcio, ma nonostante il caldo torrido alle 12.00 (ore americane) al Lumen Field ci sono un buon numero di tifosi dei Millionarios, che assistono all’esordio vincente della squadra di Gallardo. Un successo che mette ulteriormente in mostra tutte le qualità del gioco del River Plate: gestione lucida del possesso, una buona dose di ‘garra’ e un Mastantuono pronto a prendersi la scena prima di passare al Real Madrid a fine mondiale. Il vantaggio parte proprio da una giocata del classe 2007, proseguita dal solito cross tagliente di Acuna, e da un inserimento brutale di Colidio in mezzo ai difensori. Nella ripresa il raddoppio porta la firma di Driussi, anche se gran parte del gol è regalato dal terrificante retropassaggio del difensore Hoibraten. Driussi si fa anche male nella ricaduta, nel frattempo l’Urawa accorcia le distanze dagli undici metri con Matsuo e comincia a pregustare il sapore della rimonta, subito interrotta dalla zuccata di Meza a dieci dalla fine. Un River che gioca bene e che usa…la testa, viste le tre zuccate che hanno regalato alla banda Gallardo i primi tre punti, e adesso il “set point” contro il Monterrey può regalare già il primo posto aritmetico al River Plate.

Foto: X Inter
Nell’altra gara del girone l’Inter fa il suo esordio contro il Monterrey. Dalla finale di Champions League di venti giorni fa l’Inter ha cambiato molto, ridimensionato dopo la batosta subita dal PSG. In panchina non siede più Simone Inzaghi, che è rimasto comunque nel giro del Mondiale per Club, ma Christian Chivu. Il tecnico romeno arriva da Parma e nel suo primo match cerca di non effettuare particolari rivoluzioni tecnico/tattiche. Si riparte dal 3-5-2 con Seba Esposito che affianca Lautaro Martinez. L’approccio della gara da parte dell’Inter non è prorompente come avevano abituati i nerazzurri in questi anni, ma la pressione e il fraseggio sono comunque apprezzabili. Si cerca di catturare qualsiasi strategia attuata da Chivu rispetto al precedente ciclo di Inzaghi, ma l’unica vera soluzione che si nota è la marcatura a zona nelle palle inattive, e la dimostrazione porta al vantaggio il Monterrey: la difesa dell’Inter cerca di ostruire il centro dell’area di rigore da potenziali attacchi, ma nessuno segue il taglio dell’eterno Sergio Ramos, lo spagnolo è micidiale sotto pressione, figuriamoci senza marcatura… incornata che sbatte sul terreno e beffa Sommer, non proprio impeccabile. L’Inter ci mette qualche minuto a pareggiare, e lo fa con uno schema su punizione che culmina con il tap-in vincente di Lautaro Martinez. Nel secondo tempo si vedono le cose interessanti, perché il Monterrey traccia un solco a metà campo e non lo oltrepassa quasi mai, ma soprattutto Chivu decide di inserire i nuovi arrivati Luis Henrique e Sucic, oltre a Thuram per Esposito. Il tecnico nerazzurro cambia modulo e alza il raggio d’azione di Mkhitaryan, anche se i messicani non soffrono particolarmente, merito di una gestione della linea difensiva da generale romano da parte di Sergio Ramos. Tra luci e ombre Chivu marchia il suo esordio con un pari, e adesso la gara contro l’Urawa diventa un passaggio decisivo per le sorti dell’Inter nel Mondiale per Club, in attesa di una crescita generale dell’ambiente nerazzurro, ancora troppo arrugginito dopo le fatiche di fine stagione.
- Inter-Urawa Reds
- River Plate-Monterrey
GIRONE F
Borussia Dortmund, Fluminense, Mamelodi Sundowns, Ulsan HD

Foto: X Fifa Club World Cup
Il calendario mette a confronto subito Borussia Dortmund e Fluminense, le due squadre favorite per il passaggio del turno. Il Fluminense si presenta con una squadra di figure pittoresche per molteplici motivi: spicca il giovanissimo portiere Fabio, 44 anni e 171 giorni, e il centrocampista Hercules, infaticabile mezzala, oltre all’ancora frizzante Thiago Silva. Il Borussia Dortmund si ricorda di scendere in campo solo a tratti, perché per il resto la partita è un dominio costante del Fluminense. I brasiliani attaccano la porta di Kobel da qualsiasi angolazione possibile, poi però devono fare i conti con il portiere svizzero, che francamente ha deciso che la partita debba finire in parità. Dell’attacco del Borussia non c’è alcuna traccia, e quando i gialloneri si affacciano in avanti, Fabio e Thiago Silva non hanno nemmeno bisogno di calare a referto qualche gemma gloriosa del loro passato, perché pericoli concreti non ne arrivano. Nella ripresa l’occasione più grossa capita nei piedi dei giocatori del Fluminense, ma Kobel risponde alla grande su un primo tiro di Everaldo, e alla grandissima sulla ribattuta di Nonato, che già stava per correre sotto la curva occupata dai tifosi brasiliani. Nel frattempo il Borussia accoglie un altro Bellingham in mezzo al campo, non più Jude ma il fratello minore Jobe, ma quasi nessuno se ne accorge perché il Dortmund non riesce nemmeno a costruire un’azione degna di nota. Termina 0-0, come aveva deciso Kobel, ma il Borussia Dortmund adesso deve accendersi per evitare brutte sorprese in corso d’opera. Altra grande prestazione per una sudamericana, con il Fluminense che ai punti meritava più di un gol e la vittoria finale, ma la dea bendata -e Kobel- riescono a mantenere il punteggio fermo sul pari. Altra menzione per Hercules, che non sembra nemmeno male in mezzo al campo, ma il suo nome lo precede, e onestamente è clamoroso.
L’altro match del girone è l’emblema del mistero e dell’incertezza che veleggia attorno ad alcune realtà del mondo calcistico. La gara tra Ulsan HD e Mamelodi Sundowns comincia in ritardo a causa della pioggia, e se già era difficile registrare un sold out per questa gara, le condizioni meteo decimano ulteriormente gli spettatori di questo match che può nascondere la magia di una finale dei mondiali, o la sonnolenza di uno spareggio di metà agosto in Lituania. I sudafricani (Mamelodi) giocano bene e sostanzialmente dominano, Rayners ne segnerebbe anche tre, ma due di questi vengono annullati dal VAR, con tanto di decisione spiegata a tutto lo stadio dall’arbitro, una delle tante novità sperimentate in questo torneo dalla FIFA -al momento ampiamente promossa. Finisce soltanto 1-0, anche perché il centrocampista dell’Ulsan Bojanic va a calciare due volte e tira fuori dal cilindro due tiri orribili, incredibilmente per motivi opposti: uno altissimo, uno molle e centrale. Occasionissima per il Mamelodi, che adesso può sognare in grande visto l’ottimo esordio, anche se adesso arrivano le “big”.
- Mamelodi-Borussia Dortmund
- Fluminense-Ulsan HD
GIRONE G
Al-Ain, Juventus, Manchester City, Wydad Casablanca
A Philadelphia il Manchester City comincia il suo mondiale contro il Wydad Casablanca. Guardiola ha accolto tra le sue braccia altri due gioielli provenienti dal mercato, tali Reijnders e Cherki -non proprio sconosciuti- e non perde tempo a gettarli in campo, a costo di rinunciare ad Haaland e il pallone d’oro Rodri. Non c’è bisogno di spiegare le motivazioni su questa scelta, perché bastano i primi due minuti per capire che il Manchester City potrebbe dominare il palleggio anche con Liam e Noah Gallagher degli Oasis. Al secondo minuto Foden la schiaffa in porta, tornando ad assaporare la gioia del gol che gli mancava da quasi sei mesi. Il Wydad prova anche a spingersi in avanti, ma a parte una serie di giocate del fantasista Lorch -che va menzionato solo per la quantità innumerevole di sombreri e la quattro sulle spalle- non si registrano particolari pericoli per Ederson. Prima dell’intervallo i marocchini riescono a far passare Doku come un predatore d’area, lasciandolo completamente da solo in mezzo all’area al momento del corner di Foden. Di fatto, la partita termina nella prima frazione, e gli ingressi di Haaland e Rodri -insieme ad altre figure- non fanno altro che accentuare il dominio dei Citizens, che hanno talmente tanto la situazione sotto controllo che trovano il tempo per sborsare 20 mila euro di multa (la FIFA ha introdotto una penale per ogni sanzione, e l’espulsione corrisponde a circa 20 mila franchi svizzeri) per una tacchettata in faccia a un avversario da parte di Rico Lewis.

Foto: X Juventus FC
La gara che chiude la prima giornata è l’esordio della Juventus di Igor Tudor. L’avversario dei bianconeri è l’Al-Ain, che presenta il 5-3-2 delle grandi occasioni, con un sempreverde Rui Patricio in porta. I bianconeri sono reduci dalla visita alla Casa Bianca, dove sono stati costretti ad ascoltare Trump mentre parlava ai giornalisti della guerra e del calcio femminile, in uno dei momenti più surreali della storia recente del calcio, ma in campo mettono subito le cose in chiaro, come fa l’America quando subentra nei grandi conflitti: all’intervallo il risultato è sul 4-0 per la squadra di Tudor, con la doppietta di Kolo Muani, il gol di Conceição e la gemma di Yildiz (che ancora una volta segna all’esordio in qualche torneo), nel secondo tempo arriverà anche il quinto gol di Chico Conceição. Se nel corso della stagione i giocatori della Juve sembravano spaventati anche da un fiammifero, a Washington i ragazzi di Tudor sembrano una banda di potenziali piromani: vanno a duemila, recuperano il pallone velocemente, si cercano e si trovano anche a occhi chiusi. In attesa dei recuperi di alcune pedine fondamentali (contro l’Al-Ain hanno riassaporato il campo Gatti e Koopmeiners), Tudor spinge sul blocco visto nel rush finale, con un Kelly in netto miglioramento con l’approccio al ruolo, e Alberto Costa in versione treno merci. Il portoghese è un’iradiddio sulla fascia destra e confeziona anche due assist, mentre l’enigma principale riguarda Conceição e Kolo Muani, entrambi in prestito ma sempre più incisivi nell’ecosistema bianconero. Sorrisi e sacrificio, il primo posto in classifica e la voglia di spingersi oltre. La Juventus di Tudor parte alla grande in America, e già nel prossimo turno può ipotecare il passaggio del turno.
Seconda giornata:
- Juventus-Wydad Casablanca
- Manchester City-Al Ain
GIRONE H
Al-Hilal, Pachuca, Real Madrid, Salisburgo
Esordio a tutto tondo per Real e Al-Hilal, che accolgono nelle loro rispettive panchine Xabi Alonso e Simone Inzaghi. Ne viene fuori un match spettacolare, soprattutto per merito del coraggio e del dinamismo del club saudita. Senza Mbappé, Xabi Alonso sceglie il giovane Gonzalo Garcia, mentre dietro giocano subito i nuovi arrivati, Huijsen e Alexander-Arnold. Inzaghi ci ha messo poco a dare un’impronta decisa all’Al-Hilal, e la mezz’ora iniziale è quasi un monologo dei sauditi, più vivi e spigliati rispetto a un Madrid alla ricerca di geometrie. A Renan Lodi viene anche annullato un gol per fuorigioco, Inzaghi comincia a dispensare urla a qualsiasi oggetto vestito di blu, e nel frattempo il Real Madrid rispolvera la ripartenza all’italiana, finalizzata da Gonzalo Garcia su assist di Rodrygo. L’Al-Hilal ci mette poco a pareggiare la gara, grazie al calcio di rigore realizzato da Ruben Neves. Xabi Alonso non stravolge i suoi Blancos rispetto a quanto visto lo scorso anno, e sceglie la via della continuità anche nelle sostituzioni, con Tchouameni che continua il suo viaggio da nomade nella parte arretrata del campo mentre Asencio lascia il posto a Guler. Il turco da quella marcia in più al Madrid, e nel frattempo il ritmo dei sauditi è calato notevolmente, prevedibile considerando il dispendio enorme di energie del primo tempo e il caldo asfissiante di Miami. Nel finale il VAR assegna un rigore al Real Madrid per una manata di Al-Qahtani su Fran Garcia. Dal dischetto Valverde incrocia il destro ma Bonou azzecca l’angolo e mette il sigillo finale al pareggio. Due cantieri ancora in fase di avvio, ma arrivano già i primi segnali da una parte e dall’altra. Se Inzaghi può ritenersi soddisfatto per qualità e ritmo messo in campo, Xabi Alonso attende il ritorno di Mbappé per cercare di nascondere le difficoltà evidenziate in questo primo match, fotocopie dell’ultima stagione blanca.

Foto: fifa.com
Altrettanto divertente è la gara tra Pachuca e Red Bull Salisburgo. A Cincinnati trionfano gli austriaci dopo un match durato quattro ore (sospeso per un’ora e quaranta per l’acquazzone che ha colpito la città durante il secondo tempo). Gara divertente e frizzante fin dai primi minuti, con i messicani che rispolverano un centravanti d’area di rigore come Salomon Rondon, stranamente poco freddo e lucido contro l’estremo difensore del Salisburgo, l’impronunciabile Zawieschitzky. A ridosso dell’intervallo gli austriaci trovano il vantaggio grazie alla perla di Oscar Gloukh, l’israeliano lascia a terra Pedraza e batte Moreno con un destro a giro di pregevole fattura. Nella ripresa la gara si interrompe per quasi due ore per il temporale, poi riparte e i fulmini lasciano spazio ai fuochi d’artificio. Il Pachuca trova il pareggio grazie a una punizione di Gonzalez, su cui barriera e portiere non fanno una bella figura; Rondon continua la sua ricerca spasmodica del gol ma non riesce a segnare. Chi riesce a gonfiare la rete è l’altro centravanti, il neo-entrato Onisiwo, che sale in cielo e riesce a indirizzare e colpire forte il pallone, per un vantaggio che spedisce il Salisburgo in vetta alla classifica. In attesa della gara contro l’Al-Hilal gli austriaci provano a inserirsi di soppiatto in alto alla classifica.
Seconda giornata:
- Salisburgo-Al-Hilal
- Real Madrid-Pachuca
Calcio
Mondiale per Club, il resoconto della prima giornata (Prima parte)

Polemico, esagerato e curioso, proprio come sa essere l’America. Il nuovo Mondiale per Club voluto dalla FIFA rispecchia i canoni degli Stati Uniti, che si preparano al mondiale tra nazionali (in programma il prossimo anno) con una parata di stelle e altri elementi celesti più misteriosi, ma intensi e curiosi. Tante le novità in esperimento, numerosi argomenti di valutazione, ma nel frattempo la prima giornata è terminata nella notte, e tra poco il mondiale riparte con la seconda giornata. Allora ecco la prima parte dell’analisi delle prime gare del Mondiale per Club, girone per girone.
GIRONE A
Al-Ahly, Inter Miami, Porto, Palmeiras
Uno dei raggruppamenti più intriganti dell’intero mondiale, non tanto per la quantità elevata di “big” al suo interno, ma per l’alone di mistero e curiosità che circola attorno a Messi e avversari. Dopo le prime due partite la classifica è rimasta la stessa dello scorso venerdì, quando ancora il torneo non era cominciato. L’ordine rimane quello alfabetico, la differenza reti pari ai gol realizzati dalle quattro squadre, ossia zero, ma le due gare sono state tutt’altro che noiose.

Foto: fifa.com
La gara tra Al–Ahly e l‘Inter Miami apre il mondiale. Nel primo tempo gli egiziani dominano in lungo e in largo, come non si vedeva probabilmente da Cleopatra e family. La retorica storica però non è casuale, perché nell’assedio costante dell’Al-Ahly verso la porta avversaria emerge un altro reperto di notevole importanza nella gara: il portiere dell’Inter Miami, tale Oscar Ustari, 38 anni compiuti. Il portiere argentino è il protagonista della prima frazione perché mette a referto una serie di parate sensazionali, e mette la ciliegina al minuto 43 quando ipnotizza Trezeguet dal dischetto. Nel secondo tempo l’Inter Miami prova a giocare con maggior qualità, e la modalità è quella nota a tutti: palla a Messi e poi si vede. Al minuto 63 tutto lo stadio trattiene il fiato per la punizione di Messi, l’argentino cerca la soluzione a effetto e spedisce la palla in rete. Peccato che la palla non giri abbastanza e si vada a incastrare nella parte esterna della porta, regalando soltanto l’illusione ottica di un grande gol. Nel finale emerge anche l’altro estremo difensore, l’egiziano El-Sheenawy, anche lui ben navigato grazie alle sue 36 primavere. Le sue parate chiudono la porta, e dove non arriva El-Sheenawy ci pensano i legni, come quello colpito all’ultimo istante da un tiro-cross di Messi. Finisce 0-0.
Nell’altra gara del girone Porto e Palmeiras giocano talmente a viso aperto che si devono arrendere a uno 0-0 che suona come un oltraggio al calcio, per la mole di occasioni avute da entrambe le squadre. Due gemme per parte, Estêvão per i brasiliani e Rodrigo Mora per i portoghesi, ma le due squadre presentano un parco giocatori talmente completo da poter andare in guerra e a una sfilata a Hollywood allo stesso tempo. Tante, tantissime, troppe, occasioni e in questo teatro emergono artisti incompresi, o magari talmente sconosciuti a sé stessi da essere perfetti per dominare la scena. È il caso del portiere del Porto, Claudio Ramos, provvidenziale con una serie di parate tanto efficaci quanto qualitativamente orrende. Il Palmeiras ai punti meriterebbe almeno un gol, ma il palo e le parate sconsiderate di un Ramos in giornata di grazia non cambiano il risultato. Anche l’altra gara finisce 0-0.
Seconda giornata:
- Palmeiras-Al-Ahly
- Inter Miami-Porto
GIRONE B
Atletico Madrid, Botafogo, PSG, Seattle Sounders
Dopo aver schiantato l’Inter in finale di Champions League, il Paris Saint-Germain arriva al Mondiale per Club con i favori del pronostico. L’armata di Luis Enrique fa il suo esordio a Pasadena contro l’Atletico Madrid, al cospetto di un caldo torrido e ottantamila persone, a cui vanno aggiungi i sedici giocatori impiegati da Simeone nel corso della gara. Si prospettava come il match di cartello di questa prima giornata, e invece termina con un PSG che passeggia e domina per 4-0. Al momento i parigini viaggiano a una cilindrata nettamente superiore rispetto alla concorrenza, e anche senza due pilastri offensivi fondamentali, come Dembelé e Barcola, ci pensano gli altri diamanti che Parigi sta conservando, Fabian Ruiz e soprattutto Vitinha. Il centrocampista portoghese continua il suo mostruoso dominio del gioco e adesso si comincia a comprendere al meglio la sua leadership. Le altre due firme sono di Kang-In Lee e Mayulu, che in questo ultimo mese sta cercando di rinominare la celebre zona Cesarini. Per la banda del Cholo si mette subito in salita, anche se la qualificazione non sembra in discussione.

Foto: fifa.com
Nell’altro match i meno quotati Botafogo e Seattle Sounders regalano comunque un match intenso e spettacolare, vinto dai brasiliani grazie a due sigilli nel primo tempo. Il Botafogo va in vantaggio grazie a un colpo di testa dell’altissimo Jair Cunha (1.98m), poi raddoppia con un’altra incornata, questa volta del centravanti Igor Jesus. Nel secondo tempo gli statunitensi accorciano le distanze con Roldan, e nel rush finale sfiorano più volte il pareggio, ma il Botafogo decide di affidarsi a due, non troppo vecchie, meteore della nostra Serie A come Arthur Cabral e Joaquin Correa. Il risultato non cambia, anche se il Tucu sfiora subito il primo gol con la maglia del Fogão, stoppato da un grande intervento del portiere Frei. Successo che può rilanciare il Botafogo, che può approfittare della pesante sconfitta dell’Atletico Madrid, a patto che non si arrendano anche loro a un’imbarcata dai parigini, che negli ultimi tempi sembra l’unica soluzione percorribile.
Seconda giornata:
- Paris Saint-Germain-Botafogo
- Seattle Sounders-Atletico Madrid
GIRONE C
Auckland City, Bayern Monaco, Benfica, Boca Juniors
Sulla carta sarebbe il girone più equilibrato del Mondiale, ma dopo la gara del Bayern Monaco ovviamente questa analisi va rivisitata. Contro i dilettanti dell’Auckland City i bavaresi non vanno per il sottile, confermando la freddezza e il cinismo che distingue il tedesco medio: termina 10-0, sei a zero all’intervallo. Troppa la differenza tra le due squadre per buttare giù una qualsiasi cronaca, anche se le storie extra-calcistiche dei dilettanti di Auckland sono manna dal cielo per le pagine romantiche di calcio. Il campo però non lascia spazio a interpretazioni: neozelandesi con un 5-5-0 non troppo compatto, i bavaresi lasciano Neuer in mezzo al campo a riscaldarsi seduto sul prato di Cincinnati e nel frattempo disintegrano la porta di Tracey, che nella vita fa il magazziniere. Qualificazione praticamente ipotecata, anche se adesso comincia a tutti gli effetti il mondiale di Kompany e…company;

Foto: fifa.com
L’equilibrio del gruppo C è rappresentato da Boca Juniors e Benfica, che scendono in campo all’Hard Rock Stadium di Miami. Senza troppi indugi è una delle partite più belle del primo turno di match. Ruvido, qualitativamente entusiasmante e ricco di calcio e calci, come impone la tradizione. Il Benfica sembra essere favorito dopo i primi minuti, ma gli argentini in dieci minuti mettono in scena tutto il loro calcio: vantaggio di Merentiel su assist di Blanco, che si concede il lusso di un tunnel prima del pallone per l’attaccante argentino, e raddoppio su palla inattiva con la testata vincente di Battaglia. Prima dell’intervallo il Boca completa il proprio manifesto sudamericano, quando a ridosso dell’intervallo il Benfica conquista un rigore per un calcio di Palacios su Otamendi. L’arbitro va al VAR e Ander Herrera -uscito anzitempo per infortunio- decide di farsi espellere per proteste. Di Maria accorcia le distanze dal dischetto e al rientro dagli spogliatoi Bruno Lage alza i toni dell’attacco con Belotti. L’ingresso del “Gallo” è agonisticamente impattante, forse troppo, perché al minuto 72 Belotti viene espulso per un calcio alla nuca di un avversario. La partita è tesa come una corda di violino, lo spettacolo ha lasciato spazio a un’intensità che sembra più da finale dei mondiali, che da fase a gironi, e parlando di mondiali non può che emergere un argentino, anche se veste la maglia del Benfica. Otamendi si stacca sul primo palo, impatta violentemente la sfera e pareggia la partita. Prima del triplice fischio c’è ancora tempo per un ultimo assaggio di calcio selvaggio, offerto da Figal: pestone da ergastolo sullo stinco di Florentino e cartellino rosso diretto. Finisce in parità, e il cammino di Boca e Benfica passerà dalla gara contro Auckland, in cui servono tanti gol per la differenza reti.
Seconda giornata:
- Bayern Monaco-Boca Juniors
- Benfica-Auckland City
GIRONE D
Chelsea, Esperance Tunis, Flamengo, Los Angeles FC
Il gruppo D diventa subito di dominio di Chelsea e Flamengo, come da pronostico. I londinesi cominciano la propria competizione contro il Los Angeles Fc di Giroud (inizialmente in panchina) e Lloris, e vincono con qualche difficoltà grazie a un gol per tempo. Forti del successo in Conference League, Maresca schiera la miglior formazione per evitare di incappare in qualche inconveniente in stile Italia a USA94′. La gara comincia con un colpo d’occhio agghiacciante, con le tribune dello stadio di Atlanta semi-vuote. Per fortuna gli spalti si riempiono leggermente nel corso della gara, e il Chelsea ingrana anch’esso alla distanza, per poi vincere senza evidenti fatiche. Il vantaggio è siglato da un ottimo Pedro Neto, frizzante nella fascia destra fin dall’inizio, incontenibile per il lussemburghese Chanot. Nel secondo tempo fanno il loro esordio in maglia Blues i due nuovi acquisti, Essugo e Delap, mentre sponda L.A. entra Giroud. L’ingresso del francese alza notevolmente il peso dell’attacco statunitense, e la difesa del Chelsea comincia a concedere qualche occasione, poi però viene fuori nuovamente il livello tecnico della banda Maresca, che chiude i discorsi a dieci dal termine. Delap pennella un ottimo cross in mezzo, Enzo Fernandez si avventa sulla sfera e mette il sigillo finale. Non un esordio da sogno per il Chelsea, che riesce comunque a conquistare i tre punti che gli servivano. La qualificazione è un duello con il Flamengo, prossimo avversario dei Blues. Occhio però a considerare fuori dai giochi il Los Angeles FC.

Foto: fifa.com
Nell’altro match il Flamengo fa il suo esordio in grande stile contro l’Esperance Tunisi. La differenza tecnica tra le due squadre è evidente, ma i brasiliani giocano un gran match sotto ogni punto di vista. Sigla il vantaggio uno dei simboli del Fla, il fantasista uruguaiano De Arrascaeta. L’ex Fiorentina Pedro ha l’occasione per raddoppiare, ma decide che per il momento non è il caso di segnare. La formazione del Flamengo è un’ode alla nostalgia calcistica, data la vasta presenza di ex Serie A come Pulgar, Gerson, Pedro e il nuovo arrivato Jorginho. Nel secondo tempo è proprio Jorginho a mettersi in mostra, grazie a un filtrante no-look verso Luiz Araujo, che aggiunge il suo tocco di classe con un mancino a giro che si insacca alle spalle del portiere Ben Said. Nell’Esperance Tunisi, a parte un’ottima presenza di tifosi nelle tribune, da segnalare una delle figure più pittoresche di questo mondiale, l’attaccante Rodrigo Rodrigues.
Seconda giornata:
- Flamengo-Chelsea
- Los Angeles FC-Esperance Tunisi
Calcio
Spalletti saluta con una vittoria, ma l’Italia non gira. 2-0 a Reggio Emilia tra mugugni e difficoltà

L’Italia vince in casa contro la Moldova e cerca di recuperare il gap con la Norvegia. La pesante sconfitta di Oslo lascia i propri strascichi, con Luciano Spalletti che lascia la panchina della nazionale con una vittoria troppo stretta e ostica, sigillata dai due gol di Raspadori e Dimarco.
Le scelte per l’ultima di Spalletti
Dopo la figuraccia di Oslo, Luciano Spalletti è stato sollevato dall’incarico di commissario tecnico. Ha del surreale l’annuncio di tale notizia, comunicata proprio dallo stesso Spalletti in conferenza stampa, seguita dall’annuncio della sua presenza in panchina per questa gara. Per la sua ultima panchina in Azzurro, Spalletti non stravolge la formazione, ma si limita a qualche cambio. Tornano Cambiaso e Dimarco negli esterni, mentre in difesa fa il suo esordio assoluto il capitano della Fiorentina, Luca Ranieri.
ITALIA: Donnarumma, Di Lorenzo, Bastoni, Ranieri, Cambiaso, Frattesi, Ricci, Tonali, Dimarco, Raspadori, Retegui.
Il Mapei Stadium cerca di mascherare questa cornice surreale, e fin dai primi minuti il tifo azzurro è attivo e caloroso. L’Italia cerca di rispondere con una maggiore incisività nel possesso e nel palleggio, anche se tutta la Moldova si muove seguendo un blocco compatto e unito. Al decimo minuto gli ospiti trovano addirittura il vantaggio, ancora una volta l’Italia è troppo leggera nel ripiegamento, le marcature sono leggere, a tal punto che il numero 9 Nicolaescu trova di testa il vantaggio. Il Mapei rimane in assoluto silenzio, ma a rianimare il pubblico ci pensa -per nostra fortuna- il VAR, che annulla la rete per un fuorigioco quasi millimetrico dell’attaccante moldavo. Il primo ruggito verso la porta è un tiraccio di Tonali, il centrocampista del Newcastle cerca il palo lontano, ma trova la parte centrale della Tribuna Sud. Pochi minuti più tardi gli Azzurri sfiorano il vantaggio su calcio piazzato: Retegui viene randellato al suolo da un difensore moldavo, Raspadori disegna un ottimo cross al centro, ed è anche pregevole la girata di testa di Ranieri, sfortunato nell’esito perché il pallone impatta sulla traversa. Vicino al gol all’esordio il capitano della Fiorentina, che continua a confermarsi pericoloso nel gioco aereo. La linea di pressione degli azzurri è alta, ma continua a mancare la giocata tra le linee. Non è una pressione incisiva e precisa, e la Moldova quando riparte fa sempre paura, non tanto per la qualità dei singoli ma per le voragini che la difesa dell’Italia concede. A ridosso della mezz’ora i moldavi protestano per un fallo in area di rigore di Dimarco, ma l’arbitro giudica regolare il recupero, rischiosissimo, dell’esterno dell’Inter. Al 31′ Retegui si trova per la prima volta dentro l’area senza un moldavo attaccato, il centravanti dell’Atalanta riceve un pallone sporcato da Frattesi e cerca la soluzione mancina di prima intenzione, il portiere Avram si tuffa in anticipo e respinge senza troppi problemi. Il ritmo degli Azzurri comincia a crescere, e le occasioni cominciano ad arrivare con più regolarità. Al 36′ Dimarco si getta in area ma il suo diagonale non trova la porta di Avram. Da sinistra si comincia a sfilacciare la difesa moldava, e su quel versante Dimarco arriva al cross sul primo palo, Retegui va in anticipo ma ci va di stinco, palla fuori di poco. Il muro moldavo crolla al minuto 40: Ranieri chiede, e ottiene, il triangolo da Dimarco, mette in mezzo un buon cross respinto di testa da Ionita, in anticipo su Tonali, e sulla respinta Raspadori calcia di prima intenzione, destro potente e preciso sul primo palo, Avram non accenna nemmeno l’intervento e siamo avanti. Il vantaggio rischia di durare meno di un minuto, perché la Moldova arriva al tiro da fuori con Reabcuk, Donnarumma interviene con i pugni ma il primo ad avventarsi è Ionita, vecchia conoscenza della Serie A, il capitano moldavo calcia con il mancino e la palla sibila con il palo e termina fuori. Tanti, troppi, errori dell’Italia in un primo tempo che lascia più ombre che luci, nonostante il vantaggio all’intervallo.
Nella ripresa Spalletti muove subito la panchina: escono Dimarco e Ricci, dentro Orsolini e Barella. L’esterno del Bologna si piazza sulla destra, ed è subito decisivo nell’azione che porta al raddoppio. Al 50′ Orsolini salta il diretto avversario, arriva sul fondo e mette un buon cross rasoterra con il destro, Frattesi mastica la conclusione ma a convertire in rete ci pensa il destro di Cambiaso, tiro centrale su cui Avram non fa una bella figura. È un’altra Italia quella scesa in campo nella ripresa, più pimpante e concentrata rispetto al primo tempo, ricco di errori e rischi. Il gap da colmare con i norvegesi è alto, e segnare quante più reti possibili diventa l’obiettivo prioritario, a tal punto che gli Azzurri sono sbilanciati in avanti, e per fortuna i moldavi non sono pericolosi come nel primo tempo. All’ora di gioco ci prova ancora una volta Tonali, questa volta il suo destro è potente ma centrale, Avram risponde con i pugni. Ai tre cambi della Moldova, Spalletti risponde con la staffetta tra Retegui e Lucca. Per l’ultima volta Spalletti decide di non schierare il doppio centravanti, fondamentale che in alcuni momenti del ciclo azzurro, che si conclude oggi, forse sarebbe stato utile. L’ingresso dell’attaccante dell’Udinese regala centimetri importanti per l’attacco, anche se la scheggia impazzita rimane sulla destra Orsolini, l’unico che concretamente si concede il dribbling e la giocata imprevedibile. Anche gli ultimi due cambi di Spalletti non lasciano trasparire una voglia concreta di attaccare a testa bassa, perché entrano Daniel Maldini e Coppola al posto di Raspadori e Ranieri (uscito malconcio dopo un duro scontro con un giocatore moldavo), ma la musica non cambia: encefalogramma quasi piatto e tanti errori banali in impostazione. All’87’ ci prova Orsolini, favorito da una buona triangolazione degli altri due nuovi entrati, Lucca e Maldini, il tiro dell’esterno del Bologna è sul primo palo e Avram non ha problemi a respingere con i pugni. Nel finale la Moldova attacca a testa bassa, e l’Italia cerca in tutti i modi di subire un gol che gli avversari meritano ampiamente. Donnarumma rischia l’harakiri ma rimedia, e la partita si conclude con i moldavi in assedio della nostra area di rigore, un’immagine emblematica del ciclo di Spalletti che termina dopo sei minuti di recupero.
Alla vigilia Spalletti ha detto di voler salutare con una prestazione di livello, e con una vittoria. La vittoria è arrivata, ma si può essere tutto tranne che soddisfatti di quanto visto a Reggio Emilia. Lenti, macchinosi e ancora una volta terribilmente sbilanciati e sconnessi tra i reparti. La decina di tiri effettuati dalla Moldova fanno riflettere parecchio e per colui che arriverà sulla panchina azzurra (il favorito è Claudio Ranieri) adesso bisognerà ricostruire il muro difensivo che tanto ci ha contraddistinto nella nostra storia. L’attacco necessita di maggiore presenza, perché anche oggi Retegui è stato ingabbiato dai difensori avversari, e chissà che adesso si riparta dal doppio centravanti, che Spalletti ha scelto apertamente di non utilizzare. Si conclude con una vittoria l’esperienza di Luciano Spalletti sulla panchina dell’Italia, che ha sbagliato tanto nel corso della sua esperienza da c.t, ma adesso il calcio italiano attende il suo successore per cercare di colmare il gap con la Norvegia ed evitare lo spauracchio dello spareggio per andare al mondiale. Appuntamento al 5 settembre in casa contro l’Estonia.
Ci sarà un nuovo allenatore, e si spera ci sia una nuova Italia…
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