Connect with us

Attualità

C’è ancora domani il film di Paola Cortellesi fa il botto anche su Netflix

Published

on

Foto: The Hollywood Reporter Roma

La celebre Paola Cortellesi torna al grande schermo, questa volta anche in veste di regista con il film “C’è ancora domani”, presentato alla Festa del Cinema di Roma tenuta nell’ultima settimana di Ottobre 2023. Il film, uscito il 26 ottobre 2023, è ora disponibile su Netflix.

È oramai risaputa la versatilità della Cortellesi nell’interpretare mille vesti diverse e nel proporre monologhi riflessivi e attuali. Tuttavia non si era ancora cimentata nel ruolo di regista, ma anche in questa circostanza è riuscita a toccare e a spiegare la condizione critica della donna del passato, in maniera esaustiva, toccante e con la sua solita ironia agrodolce. 

Il film si svolge nella Roma del secondo dopoguerra, quando l’Italia cercava di risollevarsi in seguito al conflitto mondiale. La pellicola rende omaggio a un momento significativo per la storia delle donne italiane: il 2 giugno 1946, quando vennero finalmente convocate alle urne per decidere il destino dell’Italia: monarchia o Repubblica. Prima di arrivare a questa condizione di emancipazione, Paola Cortellesi ci mostra come Delia, la protagonista nonché madre e moglie, non reagisca alle continue umiliazioni e violenze del marito Ivano, interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea. Il film ci mostra quel rapporto tossico, fatto di paura e terrore che, purtroppo, nonostante il progresso, è ancora del tutto attuale. Il film è prodotto interamente in bianco e nero, proprio per far immergere lo spettatore in quel periodo storico. Paola Cortellesi, però, ha ribadito nelle interviste rilasciate che la condizione della donna proposta nel film non è affatto superata, al contrario è ancora abbastanza attuale e universale; dunque questa pellicola è rivolta ad entrambi i sessi, poiché tutti sono vittime del fenomeno del patriarcato. La regista esprime la sua creatività sperimentando nuovi formati e dando grande importanza alle scelte musicali, che assumono un ruolo narrativo-significativo e con coraggio trasforma alcune sequenze in audaci balletti, come ad esempio le scene di violenza domestica coreografate a passo di danza. Allo stesso tempo, crea momenti leggeri e divertenti all’interno del film, come l’utilizzo del cioccolato per creare una situazione comica in cui i denti si tingono di nero. Nonostante la durata effettiva della pellicola sia di due ore, queste scelte stilistiche attuate dalla regista, rendono scorrevole e leggera la visione. 

“C’è ancora domani” sta raggiungendo un successo incredibile: ad oggi è il film italiano più visto nelle sale italiane ed è stato tradotto in tutte le lingue. Ciò non era pensabile e lascia quel retrogusto un po’ amaro, se si pensa che sino ad oggi non c’è stata alcuna rivoluzione all’interno del cinema italiano, considerati i numerosi talenti artistici di cui disponiamo. Dal punto di vista internazionale Il cinema italiano soffre a causa di questa assenza di modernità di sguardo e tematiche, nonché di autrici e autori in grado di portare nelle nostre sale una boccata di aria fresca per far risollevare il cinema italiano, un tempo acclamato da tutti. È giusto, dunque, riconoscere la bravura di Paola Cortellesi che, con la sua prima prova da regista, ha saputo smuovere qualcosa di profondo e (si auspica) inaugurato un nuovo percorso cinematografico italiano.

Continue Reading
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Attualità

Decreto Salvini bocciato: la Cassazione mantiene “genitore” sui documenti

Published

on

Per la Corte sarebbe discriminatorio e illegittimo privare il minore di un documento d’identità che non rappresenti a pieno la sua reale famiglia, il contrario di ciò che voleva raggiungere Salvini.

E’ deciso, non ci saranno più né “padre” né “madre” sui documenti dei figli, ma un generico “genitori”. La Cassazione a tal proposito, ha respinto il ricorso del ministero dell’Interno affermando che, privare un minore di un documento d’identità che non rappresenti al sua vera famiglia, sia un atto discriminatorio e illegittimo.

COSA COMPORTA

Ciò significa che è legittima la disapplicazione del decreto del Viminale del 2019, che consente unicamente di indicare sul documento i due genitori come padre e madre. Dunque la Corte d’Appello dice “” alla modifica in “genitore 1” e “genitore 2” sulla carta d’identità, bocciando così il decreto Salvini.

LE PAROLE DEI GIUDICI

I giudici della Corte Suprema, il collegio coordinato da a Maria Acierno e composto dai consiglieri Laura Tricomi, Giulia Iofrida, Alessandra Dal Moro e Alberto Pazzi come consigliere estensore, scrivono sulla modifica approvata: “L’effetto finale, irragionevole e discriminatorio dell’assunto del ministero sarebbe stato quello di precludere al minore una carta d’identità valida per l’espatrio, solo perché figlio naturale di un genitore naturale e di uno adottivo dello stesso sesso“.

La Cassazione ricorda di aver riconosciuto “rispetto a una coppia omoaffettiva femminile, che l’adozione in casi particolari si presta a realizzare a pieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico“.

Ormai sono da anni che continua la battaglia tra Viminale e vari Comuni che hanno trascritto all’anagrafe i due genitori di coppia omosessuale come due madri o due padri, ora la Cassazione ha dato il via libera e bocciato il decreto Salvini.

 

Continue Reading

Attualità

KFC vende carne umana? Web indignato dopo il nuovo spot pubblicitario – Video

Published

on

Foto: The Grocer

KFC, (acronimo di KFC CORPORATION), presente dal 1952 con il nome di KENTUCKY FRIED CHICKEN, ad oggi risulta essere una delle più famose catene alimentari statunitensi, specializzata soprattutto in pollo fritto e con un menù che comprende panini burger, patatine e wrap di ogni genere.

Il breve cortometraggio pubblicitario uscito a marzo per promuovere le portate, progettato recentemente dalla Mother London, sembra invece scatenare sui clienti l’effetto opposto, sollevando una serie di interrogativi e audaci teorie complottiste riguardo la provenienza degli ingredienti utilizzati.

LA PUBBLICITÀ

Lo spot si apre in una foresta dall’atmosfera enigmatica e dai toni quasi glaciali.

Qui, un ragazzo, dopo un breve contatto visivo con un pollo, viene coinvolto in una sorta di rituale di sacrificazione; condotto prima da un’orda all’interno un fiume, per poi finire immerso in acqua, che poi scopriamo essere olio bollente.

Una volta tirato fuori dall’ olio per frittura, assume le caratteristiche di un gigantesco pezzo di pollo, la stessa forma del pollo del KFC.

LA TEORIA

Gli utenti dopo l’uscita della campagna pubblicitaria, con legittimo sconcerto si sono chiesti che tipo di allocuzione possa mai suggerire la realizzazione della clip, e per quale motivo scegliere proprio un essere umano immerso nell’olio bollente invece che un pollo.

Cosi, alcuni influencer e persino una vasta gamma di consumatori abituali, sono arrivati ad ipotizzare possa trattarsi di un vero e proprio messaggio subliminale che faccia riferimento al cannibalismo, mostrando pertanto, senza necessariamente dichiararlo apertamente, l’ambigua provenienza della componente degli ingredienti utilizzati (che si traduce in vera e propria carne umana, insomma.)

Ma perché utilizzare carne umana invece che animale? Qual’è la base di questa teoria?

Si tratterebbe, stando agli ideatori del complotto, di una decisione determinata dall’assenza del  numero dei polli per le 18 mila catene di ristoranti distribuite in ben 115 paesi.

Numeri molto alti ovviamente, ma che possono essere spiegati grazie alla precedente inchiesta sotto copertura in quattro allevamenti intensivi per un fornitore del marchio in Italia, realizzata dall’associazione Essere Animali, a sua volta contattata da Fanpage.

Nei filmati  era emerso come venisse modificato il normale ritmo di crescita per far sì che in circa 40 giorni i polli possano arrivare al peso di macellazione, potendo cosi raggiungere il numero di oltre 500 milioni di polli solo in Italia, (condizione che ovviamente provoca gravi problematiche agli animali; quindi, se l’indagine può effettivamente chiarire come il pollo venduto dal KFC possa bastare per 8 milioni di clienti, finisce per sollevare ulteriori dubbi sul benessere animale.)

Ma allora perché mai realizzare uno spot pubblicitario del genere?

LA REALIZZAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

Che fosse un’alternativa strategia di marketing o meno,  i responsabili della campagna pubblicitaria hanno rilasciato delle dichiarazioni che, implicano e sottointendono, a discapito della vivace teoria, la realizzazione del progetto sia ben distante dallobiettivo di voler divulgare un messaggio subliminale riferito al cannibalismo.

Il direttore è tralaltro Vedran Rupic, già noto per la la particolarità dei suoi contenuti… non c’è quindi da sorprendersi se abbia optato per una satira dai toni onirici che mixa elementi di cultura e religione.

Monica Silic, responsabile delle attività di Marketing di KFC UK e Irlanda, spiega quale fosse l’effettivo intento dell’azienda “è il nostro modo di condividere la nostra ossessione per il pollo, offrendo al pubblico qualcosa di divertente in cui credere

Il direttore creativo ed esecutivo di Mother London, nonchè Martin Rose, chiarisce “KFC è un’icona, tutto il nostro lavoro la rispetta e rispetta anche il pubblico, che dovrebbe capire che la logica va messa da parte per quei 120 secondi.”

Continue Reading

Attualità

Settantacinque coltellate e nessuna crudeltà? Il paradosso del processo Turetta

Published

on

Foto: Il messaggero

Nel teso silenzio di un’aula di tribunale, dove si dovrebbe cercare giustizia per una vita spezzata troppo presto, è invece risuonata una verità giudiziaria che ha fatto rabbrividire molti.

Settantacinque coltellate. Un numero che pesa come piombo, e che graffia la coscienza collettiva.

Eppure, secondo il giudice, non sono il riflesso di una crudeltà feroce, ma piuttosto il segno di un’inabilità emotiva, di un ragazzo che “non sapeva gestire il rifiuto”.

Filippo Turetta, imputato per l’omicidio di Giulia Cecchettin, ha colpito la sua ex ragazza con un accanimento che lascia senza fiato, esattamente 75 volte.

Eppure, il processo ha preso una piega che ha spiazzato l’opinione pubblica: quelle coltellate non sarebbero, tecnicamente parlando, prova di crudeltà. (Non agli occhi della legge, almeno). L’accento, invece, è stato posto sulla sua fragilità psicologica, sulla sua incapacità di elaborare l’abbandono, sull’inesperienza relazionale.

Ma dove finisce l’incapacità e dove inizia la responsabilità?

Giulia non è morta “per caso”, nè tanto meno ”in un momento di confusione”. È stata inseguita, aggredita e massacrata.

E ora, mentre il dibattito si infiamma fuori dalle aule, c’è chi si chiede se la legge, così com’è, sia davvero in grado di proteggere, di punire e soprattutto di saper educare.

Questo processo è un simbolo, e non solo della violenza di genere, ma anche delle crepe nella nostra giustizia, della fatica di dare un nome esatto al dolore… si tratta, per la giustizia, di “inabilità.

Ma se questa è solo inabilità, allora cos’è la crudeltà?

Intanto, fuori dal tribunale, c’è una famiglia distrutta, una sorella che grida per “tutte le altre Giulia”, e una società che guarda e si chiede: chi sta davvero pagando il prezzo di questa sentenza?

Continue Reading

Facebook

Altri articoli in ‘Attualità’

Trending

Copyright © 2024 - by Exit Web Systems

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.