Calcio
Bologna, Stesso rendimento ma senza Hype: la narrazione conta più dei punti?

Esattamente un anno fa, si parlava incessantemente della straordinaria stagione del Bologna di Thiago Motta, raccontando il percorso dei rossoblù come una vera e propria favola. L’impatto mediatico che ha avuto Thiago Motta è stato imponente ma ciò che salta all’occhio è la somiglianza con la gestione attuale di Vincenzo Italiano.

foto: Quotidiano Sportivo
Dopo 29 incontri disputati il bottino dei rossoblù in Serie A nella stagione 24/25 sotto il comando di Italiano è di 53 punti, frutto di 14 vittorie, 11 pareggi e 4 sconfitte. Solamente un punto di differenza dalla stagione di Thiago Motta che allo stesso punto del campionato aveva collezionato 54 punti divisi in 15 vittorie, 9 pareggi e 5 sconfitte. Entrambe le formazioni si ritrovano nella medesima situazione, quarto posto, in piena lotta per un posto in Champions League. Precisiamo anche che il Bologna di Italiano la Champions l’ha giocata, uscendo dignitosamente dalla classifica unica contro squadre del calibro di Liverpool, Borussia Dortmund, Sporting Lisbona ecc.. La domanda quindi sorge spontanea: perché il Bologna di Motta ha avuto questo successo mediatico schiacciante rispetto al lavoro similare di Vincenzo Italiano?
PERCHÉ IL BOLOGNA DI MOTTA FACEVA PIÙ RUMORE?
Sicuramente la chiara indole offensiva che Motta ha trasmesso alla squadra ha rappresentato una ventata d’aria fresca capace di colpire intensamente l’ambiente circostante e i media, che hanno trovato numerosi spunti grazie alle idee rivoluzionarie del tecnico, al tempo ancora considerato un emergente del settore. Questo ne ha conseguito maggiori focus e approfondimenti che hanno catturato l’attenzione del tifoso medio, ammaliato dal modo di giocare tutt’altro che ‘italiano’ facendo salire alle stelle l’hype mediatico attorno alla stagione dei Felsinei. Con l’addio di Motta direzione Juventus, il Bologna ha ripiegato su Vincenzo Italiano, scelta che ha sollevato diverse polemiche sin dall’inizio a causa dell’approccio totalmente differente dei due allenatori.
Sotto la guida di Thiago Motta, il percorso rossoblù era diventato un fenomeno mediatico: ogni vittoria passava come un logico risultato dello stile propositivo e innovativo portato dal mister, mentre i mancati successi venivano spesso minimizzati, degli incidenti di percorso di un calcio rivoluzionario in fase di crescita.
Con Vincenzo Italiano la narrazione è cambiata radicalmente. Le vittorie non sono più state vissute dai media come il frutto di un’idea tattica innovativa, ma un naturale percorso di un progetto già avviato. Questo ha spostato l’attenzione soprattutto sugli insuccessi che assumevano un peso maggiore data la mancanza di questa retorica spettacolare. In questa diversa chiave di lettura ogni errore veniva valutato con un pesante occhio critico, accentuando il bisogno di una maggiore continuità con la necessità di far meglio.
UNA ROSA ED UN APPROCCIO STRAVOLTO DAL MERCATO

Foto: Marco Rizzuto
Una grande differenza che si evince dal cambio del testimone in panchina si ritrova nell’approccio tattico e nei movimenti di mercato. Con Motta alla guida, la squadra si distingueva per un’impostazione dal basso che valorizzava il palleggio e la costruzione ragionata dell’azione, trasformando giocatori come Zirkzee, Ferguson in veri e propri elementi chiave per la gestione del pallone. Inoltre, la presenza di giocatori come Saelemaekers e Calafiori è stata fondamentale in entrambe le fasi. Il belga garantiva pulizia e costanza rendendo le manovre fluide ed imprevedibili. Mentre il difensore attualmente in forza all’Arsenal ha rappresentato un’arma in più a disposizione di Motta. La sua capacità costruire con qualità, rompere le linee difensive con conduzioni palla al piede hanno fornito al Bologna un’infinità di possibili soluzioni.
Il mercato estivo ha causato alcune cessioni importanti, costringendo Vincenzo Italiano a rielaborare la struttura di gioco. Questo ha comportato un maggiore focus sulla fase di transizione, alla verticalità, sfruttando maggiormente la rapidità sulle fasce. Il risultato è una squadra più pragmatica, meno romantica agli occhi e decisamente più operaia.
Tra le grandi ‘invenzioni’ di Italiano quest’anno spicca il brillante rimpiazzamento di Calafiori senza un vero e proprio sostituto. La retroguardia rossoblù ha cambiato radicalmente il modo di difendere e la gestione del possesso palla, riuscendo a sopravvivere di uno dei difensori migliori della passata stagione. L’innesto di Jens Odgaard dall’AZ Alkmaar ha rappresentato un’aggiunta preziosa, migliorando la fluidità nella trequarti offensiva. Le capacità del danese di muoversi tra le linee fungendo da raccordo tra centrocampo e attacco ha permesso alla prima punta di non impegnarsi troppo nella costruzione dell’azione (come accadeva con Zirkzee nella passata stagione). Quest’impostazione tattica ha permesso al giovanissimo Santiago Castro, classe 2004, di vivere una stagione straordinaria timbrando il cartellino 8 volte e servendo 4 assist, numeri non tanto distanti da quelli di Joshua Zirkzee che in 29 giornate aveva messo a segno 10 reti con 3 assist.
Un’ennesima nota positiva della gestione Italiano riguarda Juan Miranda. Il laterale spagnolo arrivato dal Betis si è adattato perfettamente agli schemi del mister ex Fiorentina, diventando una pedina inamovibile della squadra, fornendo ben 6 assist affermandosi come assist-man della squadra.
ITALIANO MERITA PIÙ ATTENZIONE?

foto: Goal.com
Nonostante il Bologna di Italiano stia vivendo una stagione straordinaria sia in campionato che in Coppa Italia, con la possibilità di giocarsi un trofeo che manca da decenni, sembra che l’attenzione mediatica non sia paragonabile a quella che ha ricevuto la gestione Motta.
La domanda spontanea è: perché la straordinaria stagione di Vincenzo Italiano sta passando in secondo piano rispetto ai riflettori dello scorso anno?
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Un successo che rimarrà nella storia. Il Bologna vince la Coppa Italia

Dopo 51 anni di attesa, al Bologna bastano novanta minuti e un super gol di Ndoye per battere il Milan. All’Olimpico i rossoblù festeggiano e scrivono una pagina indelebile della propria storia, sollevando al cielo il trofeo della coppa Italia per la terza volta.
In un match senza appello, in una gara che mette in palio un trofeo e che può determinare tanto anche in ottica futura, Conceição schiera dal primo minuto i titolari, confermando la difesa a tre e Jovic al centro del reparto offensivo. In vista di una sfida che può valere la storia, Italiano si risponde affidandosi ai suoi uomini più in forma, lanciando dal primo minuto Castro e Fabbian.
Tra l’entusiasmo dei 68 mila spettatori e il fascino travolgente delle due tifoserie, la sfida tra Milan e Bologna parte subito forte, con tanta aggressività e con ritmi alti sin dalle prime battute. Dopo un iniziale equilibrio, è il Bologna che prende in mano il pallino del gioco, riuscendo a creare buone occasioni tramite i movimenti di Castro, che crea i giusti spazi per far correre i due esterni. Proprio grazie ad un movimento arretrato di Castro, il Bologna crea lo spazio per lanciare in corsa Orsolini, fermato prima dall’uscita dubbia di Maignan, e dopo dalla segnalazione per fuorigioco del guardalinee. Dopo lo scampato spavento, anche il Milan entra in partita e inizia a creare qualcosa di concreto nella metà campo avversaria, riuscendo anche a rendersi pericoloso al decimo minuto, quando sul cross di Jimenez, Skorupski salva doppiamente i rossoblù dopo l’involontaria deviazione di Beukema e il tentativo di tap-in di Jovic. Esattamente come Castro nella prima azione della gara, alla mezz’ora Jovic riceve palla, arretra e lancia in profondità Rafael Leão, pescato però in fuorigioco dall’attaccante serbo e frettoloso nel concludere. Tra errori di impostazione e i duri interventi che costano il cartellino giallo a Tomori e Ferguson, il finale di primo tempo si accende e il nervosismo rischia di regnare dentro e fuori al rettangolo di gioco. Nel miglior momento del Milan, a cavallo tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo, il Bologna trova impreparata la difesa del Milan e si porta in vantaggio al 53′ con la rete di Dan Ndoye, fortunato nel riceve palla dalla scivolata di Theo Hernandez su Orsolini, e bravo successivamente nell’aspettare l’attimo giusto per spedire verso la porta un tiro forte e angolato che vale l’1-0. Subito dopo il gol subito, il Milan prova subito a riversarsi in avanti, sfiorando due volte la rete dell’immediato pareggio con la rovesciata di Leão, e con il tiro debole e impreciso di Jovic. Conceição non si scomponi e, al minuto sessantadue, effettua un triplo cambio, dando al Milan maggiore esperienza e spinta offensiva con gli innesti di Walker, João Félix e Giménez. Le contromosse scelte da Italiano sorprendono e arrivano qualche minuto più avanti, buttando nella mischia due giocatori fisici come Casale e l’ex Pobega, al posto di Fabbian e Orsolini. Con la prima batteria di cambi effettuati, l’epilogo della gara sembra chiaro, con i rossoneri costantemente rivoltati nella metà campo avversario, e con un Bologna paziente nel difendere ma bravo nel non tirarsi indietro e ripartire nelle situazioni in cui il Milan perde il possesso della sfera. Poco prima della sostituzione, l’autore del gol del Bologna sfiora la rete del raddoppio con un conclusione di sinistro che termina di poco a lato la porta difesa da Maignan. Per gli ultimi dieci minuti di gara, il tecnico dei felsinei esegue gli ultimi due cambi inserendo Dallinga e Odgaard, mosse studiati per dare maggiore fisicità nel reparto offensivo e per mantenere il gol di vantaggio. Nonostante l’inserimento di João Félix e Giménez, il ‘diavolo’ non riesce a imporsi contro una difesa avversaria attenta e precisa nei minimi dettagli, fattore che costringe Conceição a dare il tutto per tutto inserendo altri due attaccanti, Tammy Abraham e Chukwueze. Durante i tanto discussi sei minuti di recupero, il Milan prova in tutti i modi ad affidarsi alle giocate di Reijnders e Leão, ma il nervosismo e tanta imprecisione, finiscono per scavare la fossa ai rossoneri, che si arrendono dopo novantasei minuti di recupero ad un Bologna perfetto dal primo all’ultimo minuto di gioco.
“La sera dei miracoli”
“È la sera dei miracoli, fai attenzione
Qualcuno nei vicoli di Roma Con la bocca fa a pezzi una canzone”La “sera dei miracoli” cantata da Lucio Dalla nel 1980, si rispecchia perfettamente nella serata vissuta dal Bologna. Dopo avere eliminato il Monza agli ottavi, l’Atalanta ai quarti di finale e l’Empoli in semifinale, gli uomini di Italiano trionfano anche nel match finale dell’Olimpico, imponendosi sul Milan per 1-0, laureandosi campioni di coppa Italia per la terza volta, dopo i gloriosi successi del 1970 e del 1974. Dopo aver sofferto e perso tre finali nel giro di tre stagioni, arriva un meritatissimo trionfo per l’ex tecnico di Trapani, Fiorentina e Spezia. Dopo uno straordinario percorso nella passata stagione, il Bologna si ripete e si migliora nella seguente stagione, riuscendo addirittura a sollevare un trofeo importantissimo e a qualificarsi per la prossima final four di Supercoppa Italiana, programmata per il prossimo gennaio. Con questo storico successo che mancava da 51 anni, il Bologna ottiene l’accesso diretto per la prossima fase a gironi dell’Europa League, in attesa di eventuali migliori piazzamenti nelle ultime due gare di campionato, dove il Bologna affronterà Fiorentina e Genoa.
E adesso, rivoluzione
Nonostante gli ultimi importantissimi successi, il Milan esce sconfitto sotto tutti i fronti in una finale che doveva essere approcciata diversamente. Nonostante il successo per tre a uno dell’ultima sfida di campionato in cui rossoneri sono riusciti a trionfare proprio contro il Bologna, il Milan non è riuscito a rispondere al gol subito o quantomeno a prolungare la gara verso i supplementari. Una rosa ricca di campioni, una storia centenaria e ricca di vittorie, sono ormai distanti anni luce dal Milan di oggi. Qualunque scelta prenderà la società per quanto riguarda allenatore giocatori, il Milan quest’estate subirà inevitabilmente una rivoluzione.
Calcio
Il Supercommento della 36ª giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top 11 alla fine, della trentaseiesima giornata di Serie A
Milan-Bologna (A cura di Marco Rizzuto)
Rossoneri nuovamente in carreggiata per la Champions: Gimenez e Pulisic ribaltano il Bologna dopo l’ennesima situazione di svantaggio
Nella speranza di rientrare nella corsa Champions e nel frattempo studiare da vicino il Bologna prima della finale di Coppa Italia, Conceicao ripropone l’ormai solito 3-4-2-1 con Joao Felix che prende il posto di Loftus-Cheek sulla trequarti. L’inglese si sposta sulla mediana al fianco di Reijnders al posto di Fofana, assente per l’infortunio rimediato contro il Genoa. Italiano invece cambia modulo. Il Bologna si schiera con un 4-3-3, Moro e Pobega accompagnano Freuler sulla mediana mentre Dominguez prende il posto da titolare sulla fascia sinistra completando il tridente al fianco di Dallinga e Orsolini. Dopo neppure sette minuti però, Tomori è costretto ad abbandonare il campo dopo un brutto impatto con la testa contro Dominguez, costringendo Conceição ad effettuare la prima mossa dalla panchina, al suo posto Thiaw. Con una bella manovra i rossoneri spezzano in due il centrocampo bolognese, Pulisic si imbuca alle spalle della difesa ma al momento del tiro viene chiuso da Lykogiannis. Si assiste ad un primo tempo equilibrato in cui il Milan ha sfiorato diverse volte il vantaggio nella prima parte del primo tempo, mentre il Bologna prende coraggio progressivamente. Alla mezz’ora anche Italiano deve fare i conti con un infortunio in difesa, in particolare è Erlic che abbandona il campo facendo spazio a Lucumi. Alla ripresa nessun cambio, ma il Bologna trova la rete del vantaggio dopo appena tre minuti con il solito Orsolini che arriva a quota 13 gol stagionali, il suo miglio bottino: sponda di Dallinga per il numero 7 che prende il tempo a Pavlovic calciando col mancino sul secondo palo dove non arriva Maignan. Ma il Milan non è sconfitto, non lo è mai date le innumerevoli volte in cui i rossoneri hanno ribaltato situazioni di svantaggio in questo campionato. Dopo 5 minuti dal suo ingresso in campo, Santiago Gimenez crea la sua prima occasione da gol al 70′, ma il gol del pari arriva poco dopo: Pulisic in caduta riesce a servire il numero 7 che di piatto insacca sotto le gambe di Skorupski. Il pareggio galvanizza il Milan, e come contro il Genoa, ribalta tutto in poco più di qualche minuto: Joao Felix viene pescato dentro l’area e prova a concludere colpendo direttamente Beukema, il rimpallo favorisce la corsa di Capitan America che buca Skorupski calciando sul secondo palo. Solo sul finale il Bologna sfiora il pareggio, Cambiaghi lascia partire una rasoiata sul primo palo ma Maignan di puro instinto chiude in calcio d’angolo. Sul finale i rossoneri chiudono la gara con la doppietta di Gimenez: contropiede bellissimo guidato da Chukwueze, che rientra sul sinistro e serve sulla sinistra il numero 7. Gimenez dentro l’area è spietato: salta secco De Silvestri e buca Skorupski sul secondo palo, chiudendo i giochi. I rossoneri tornano miracolosamente in corsa per l’Europa che conta, facendo sprofondare il Bologna al settimo posto. Il primo incontro tra Milan e Bologna sorride ai rossoneri, ma la vera sfida si terrà mercoledì, con il Bologna che vorrà prendersi la rivincita puntando al trofeo.
Como-Cagliari
La sesta sinfonia lariana rimanda la salvezza dei sardi. Il Como vince in rimonta e adesso è decimo
Fabregas, che non subisce gol da quattro partite, sceglie di cambiare portiere: non gioca Butez, ma come nel match d’andata il portiere titolare è Pepe Reina. Confermatissimo il blocco delle ultime gare, con le sole sostituzioni rappresentate da Douvikas (al posto di Cutrone), Valle (al posto di Alberto Moreno) e Strefezza (al posto di Ikoné). Il Cagliari presenta un 4-4-2 con Viola che affianca Piccoli. Nelle fasce Nicola sceglie Luvumbo a sinistra, mentre a destra il solito -irremovibile- Zortea. Emergenza in difesa, perché il tecnico dei sardi non rischia Luperto, diffidato e non al meglio, al suo posto Obert, in coppia con Palomino. Con le due situazioni di classifica ben diverse, la gara mostra fin da subito un Como in gestione della gara, e un Cagliari pronto ad approfittare di ogni minimo errore per colpire a sorpresa. I primi minuti di gara tutti a tinte azzurre, subito con Perrone a scaldare i guantoni di Caprile e lanciare un messaggio al Cagliari. La squadra di Nicola non perde compattezza e solidità, cerca di sfruttare i centimetri di Piccoli, ma il numero 91 è costantemente bloccato da Kempf e Goldaniga. Al 22′ il Cagliari trova il vantaggio: azione sulla destra, Adopo dialoga con Zortea e arriva sul fondo, il francese calcia rasoterra verso la porta, la conclusione sembra innocua, ma Reina sbaglia la presa e regala il vantaggio ai sardi. La reazione del Como è immediata, sempre con qualità e pulizia tecnica. Al minuto 41 i lariani rimettono in equilibrio la gara: Douvikas trova Caqueret alle spalle della difesa, l’inserimento del centrocampista francese è perfetto, così come il pallonetto che batte Caprile in uscita. L’arbitro inizialmente annulla, ma il VAR assegna il gol al Como. L’inerzia della gara è completamente ribaltata, il Como grazie alla sua qualità la fa da padrona, e trova il sorpasso ancora prima dell’intervallo: Strefezza riceve palla sulla sinistra, si accentra leggermente e scaglia un mancino a giro che dà un bacio al palo e si insacca alle spalle di Caprile. Rete meravigliosa del centrocampista brasiliano, senza dubbio l’uomo in più nelle ultime partite della squadra di Fabregas. Al rientro dagli spogliatoi il Cagliari ritrova l’equilibrio, perso nell’ultimo quarto del primo tempo dove era stato sovrastato dal Como. La squadra di casa comincia a gestire il risultato, e abbassa il ritmo della pressione e dell’attacco. Ne scaturisce una serie, a tutto campo, di duelli fisici, lanci lunghi e folate del Cagliari, nel tentativo di ritrovare il pareggio. L’occasione più clamorosa per i sardi è quella capitata a Piccoli al minuto 57: Luvumbo riceve sulla sinistra, si libera rapidamente dell’avversario e crossa all’improvviso verso il centro, Piccoli arriva in anticipo ma chiude troppo la sua conclusione verso il secondo palo e spreca un’occasione d’oro per riacciuffare il pari. Da quel momento comincia la girandola di cambi, e il ritmo partita si smorza ulteriormente: Felici per Zappa e Deiola per Viola nel Cagliari; Cutrone, Van der Brempt ed Engelhardt per Douvikas, Vojvoda e Caqueret nel Como. La rotazione voluta da Fabregas ottiene i suoi frutti, perché i nuovi entrati riportano pulizia ed energia nel possesso lariano, e al 77′ il Como mette il lucchetto alla gara: Nico Paz inventa con l’esterno verso Cutrone, sgusciato alle spalle dei difensori, il capitano arriva davanti Caprile e lo batte sul primo palo con il mancino. Il Cagliari allora attacca a testa bassa, cercando di smezzare il vantaggio. Ci va vicino Marin, ma il suo sembra più un assist che un tiro, e la palla termina fuori. Al termine dei sei di recupero, il Sinigaglia si lascia andare all’ennesimo tripudio per un Como che cala la sesta vittoria consecutiva. 48 punti in classifica valgono agli uomini di Fabregas il decimo posto in classifica. Il rendimento dei lariani nel girone del ritorno è stato impressionante, con numeri da Europa, e con la salvezza acquisita è aumentata la qualità e la spensieratezza nelle giocate. Adesso, a due giornate dal termine, Fabregas cerca di allungare la sua serie -già alquanto storica. Il Cagliari rimanda ancora una volta la salvezza matematica, e la prossima gara contro il Venezia diventa decisiva per la salvezza dei sardi, chiamati a blindare l’obbiettivo il prima possibile.
Lazio-Juventus
La riprende ancora Vecino! La Lazio ferma la Juve al 96′
Il crocevia per la Champions di Lazio e Juve passa dallo scontro dell’Olimpico, e Baroni sceglie i migliori uomini a disposizione, con Dele-Bashiru che vince il ballottaggio con Dia. Anche la formazione della Juve è la migliore, anche se Tudor si presenta all’Olimpico con tante defezioni: confermato Savona in difesa, scelto Alberto Costa esterno a destra, mentre Nico Gonzalez e McKennie fanno da spalle a Kolo Muani, Vlahovic è recuperato ma solo per la panchina. Partita dal peso enorme, e le due squadre lo dimostrano fin da subito. Il ritmo è basso, l’equilibrio prevale per merito dei bianconeri, mentre la Lazio cerca di sfondare per vie centrali grazie ai movimenti imprevedibili di Dele-Bashiru. La prima occasione della gara è proprio del nigeriano, bravo a defilarsi sulla destra e calciare forte sul primo palo, Di Gregorio chiude bene lo specchio e manda in angolo. Il primo tiro della Juve verso la porta di Mandas arriva dopo quasi dieci minuti di gioco, ed è un calcio di punizione dalla trequarti che Locatelli però indirizza troppo verso il portiere. È la Lazio che nelle prime fasi di gioco si rende più pericolosa, e la velocità di Isaksen coglie impreparato Savona, che mostra qualche difficoltà in più nel ruolo, dopo che a Bologna era stato pressoché perfetto nell’interpretazione e nell’attenzione. Per rivedere la Juve dalle parti di Mandas bisogna arrivate al quarto d’ora, quando Alberto Costa non riesce a superare il muro biancoceleste eretto dai difensori, dopo che Mandas aveva lasciato la porta sguarnita in seguito a un contrasto con Nico Gonzalez. I bianconeri fanno fatica a rendersi pericolosi in avanti, Kolo Muani è spesso isolato contro i difensori di Baroni, McKennie è troppo impegnato nel raddoppiare Isaksen, mentre Nico Gonzalez non è in giornata e lo si evince dai tanti errori tecnici. Nella fase centrale non succede quasi nulla, da sottolineare solo una serie di cartellini gialli, pesantissimi, per Thuram e Savona: entrambi erano diffidati e salteranno l’ultima gara stagionale allo Stadium, contro l’Udinese. Nel secondo tempo Tudor non perde tempo a muovere la panchina: fuori Nico Gonzalez e dentro Conceicao. Un cambio che mira a rinforzare l’attacco e aumentare la qualità nella trequarti. Gli effetti arrivano, ma sulla corsia opposta: McKennie attacca maggiormente l’area laziale, arriva al cross dal vertice sinistro e trova in mezzo Kolo Muani, il cross dell’americano è perfetto, la conclusione del francese un po’ meno, ma basta per battere Mandas, che cerca di intervenire come può ma si butta la palla in rete. La Lazio sembra frastornata dal vantaggio della Juve, e non trova spazio per attaccare la difesa, sempre più bassa, della Juve. Baroni inserisce subito Pedro e Dia, al posto di Dele-Bashiru e Isaksen. A sparigliare le carte, e il copione della gara, ci pensa però un altro francese: al 58′ Castellanos rimane a terra dopo un diverbio con Kalulu. Il VAR richiama Massa all’on-field review e dalle immagini il colpo del francese sul collo dell’argentino è netto. Cartellino rosso e pronta la squalifica di due giornate per Kalulu, di fatto il suo campionato termina qui. L’ingenuità del francese costringe la Juve a una ripresa in completa trincea, mentre la Lazio cerca di attaccare e sfruttare il vuoto lasciato dal difensore bianconero. Nella Lazio Zaccagni non riesce a sfondare lateralmente, mentre tra le linee Guendouzi e Pedro trovano tanto spazio per calciare verso la porta. Tudor inserisce Adzic e Douglas Luiz al posto di Kolo Muani e Alberto Costa, uscito per delle noie fisiche. Il forcing biancoceleste è totale, la Juve soffre e all’86 Savona pasticcia con il pallone, colpisce Pedro e regala la palla a Castellanos in area, Di Gregorio esce e lo stende. Massa assegna il rigore ma la posizione del Taty è irregolare e il rigore viene cancellato. Tudor capisce il bisogno della difesa di maggiori centimetri e i cambi sono terribilmente cinici: fuori Conceicao e Adzic (la cui partita è durata dieci minuti), dentro Vlahovic e Gatti, al rientro dopo il lungo infortunio. Nel recupero si gioca in una sola metà campo, l’esercizio è attacco contro difesa, e la Lazio per poco non sfonda: minuto 92, Lazzari trova un corridoio a destra per Dia, il senegalese riceve in area e calcia forte sul primo palo, Di Gregorio si supera con il pugno sinistro, deviando la palla sul legno, ma la pressione del Lazio comincia a diventare sempre più pericolosa. La corsia è sempre quella destra, e a sessanta secondi dal termine i biancocelesti pareggiano: cross di Lazzari sul secondo palo, Castellanos impegna Di Gregorio in un altro miracolo, ma sulla respinta Vecino arriva per primo e insacca a porta vuota. Un primo tempo di poco e nulla, una ripresa in cui succede di tutto. È la fotografia di Lazio-Juventus, che non lascia felice nessuno nella corsa verso la Champions. 64 punti per entrambe, e adesso la corsa all’Europa che conta passa dagli ultimi due match. La Lazio ha un calendario più pesante (Inter a San Siro e Lecce in casa), ma si gioca punto su punto, e la squadra. di Baroni può dire la sua fino all’ultimo. Dall’altra parte la Juve ha due gare all’apparenza più semplici, con Udinese e Venezia, ma le squalifiche e i tanti infortuni possono presentare qualche insidia nascosta. La gestione della partita dell’Olimpico era stata quasi perfetta, fin quando Kalulu non è caduto nella trappola di Castellanos e ha condizionato la gara. Adesso Tudor è costretto a inventarsi qualcosa per la gara contro i friulani, e con Inter-Lazio e Roma-Milan in programma, la partita può essere il match-point per la Champions.
Empoli-Parma
Fazzini e l’eurogol di Anjorin. L’Empoli torna a vincere e adesso ci crede davvero
La conformazione del Parma di Chivu è ormai la solita: 3-5-2 con Bonny e Pellegrino in avanti. D’Aversa sceglie Fazzini e Cacace sulla trequarti, mentre il centravanti non è Colombo ma Seba Esposito. Dopo una fase di studio il pallino del gioco è in mano all’Empoli. Il Parma attende compatto nella sua metà campo, mentre i toscani cercano di dettare i ritmi e attaccare fin da subito. Dopo dieci minuti i padroni di casa sbloccano la gara: schema dalla bandierina, Henderson calcia basso verso il limite, Fazzini arriva in corsa e sfonda la porta di Suzuki con un missile sotto la traversa. Continua il momento d’oro del numero 10 azzurro, al terzo gol nelle ultime quattro gare. Per Chivu piove sul bagnato, perché Valenti commette due ingenuità e si fa espellere: prima si fa ammonire per una reazione su Henderson (abbastanza lieve) e poi si prende il secondo giallo trattenendo Esposito, che non sarebbe arrivato a prescindere sul pallone. Un’ingenuità che costringe il tecnico crociato a ridisegnare la sua squadra, anche se le maggiori difficoltà arrivano dalla metà campo in su. La mediana va in affanno, con Keita che rompe il gioco ma non imposta, Sohm non riesce a inserirsi agonisticamente nel match e Ondrjeka a girare a vuoto (assente ingiustificato sul gol di Fazzini). Pellegrino continua la sua lotta contro Ismaijli, tornato a governare la difesa e i risultati si vedono eccome. L’argentino ha solo un’occasione di testa, ma non riesce a convertire in rete, e per il resto del primo tempo non riesce a trovare spazio. Nella ripresa, come prevedibile, l’Empoli prova a fare la partita, forte dell’uomo in più. Il Parma di Chivu però non demorde e comincia a trovare sempre più spazio. La crescita dei crociati si evidenzia dalle mosse del tecnico romeno, che inserisce Milan Djuric al posto di Pellegrino, oltre a Hernani e Camara, al posto di Sohm e Ondrejka, non pervenuti. La mossa si rivela, ancora una volta, quella giusta, perché il Parma riacciuffa il pareggio grazie ai subentrati: punizione da centrocampo di Hernani verso il secondo palo, stacco imperioso di Djuric verso la porta, Bonny disturba Vasquez che non interviene e il Parma trova il gol dell’1-1, gelato il Castellani. Prima gioia in maglia crociata per Djuric, che sceglie la notte perfetta per aprire il suo score. L’Empoli, spinto dai suoi tifosi, cerca una reazione e la ottiene anche lei dalla panchina. Stavolta a uscire è Tino Anjorin, uno che nel girone di ritorno si è eclissato, causa problemi fisici. E pure lui sceglie la notte perfetta, anche meglio di Djuric, per fare gol: minuto 85, sponda di Konaté (anche lui subentrato, ad Esposito) Anjorin prende la mira e scaglia una fucilata sotto l’incrocio, una perla che ha un peso enorme per la corsa salvezza, perché il risultato resiste fino al triplice fischio. Serviva una vittoria per non smettere di lottare, e i tre punti sono arrivati. La lotta salvezza si conferma intensissima, e con questo successo anche l’Empoli manda un segnale alle pretendenti. Il gol di un Fazzini rigenerato nelle ultime gare, e di un ritrovato Anjorin, possono dare quella marcia in più in vista degli ultimi due scontri diretti, contro Monza e Verona. Il Parma mantiene quattro punti sulla zona retrocessione, e adesso cerca il sigillo finale alla salvezza.
Udinese-Monza (A cura di Marco Rizzuto)
A Udine prevale l’orgoglio brianzolo: all’ultimo respiro Keita Baldé regala la vittoria al Monza
Il Bluenergy Stadium ospita una gara tra due squadre che conoscono già il loro destino, ma le occasioni fioccano ugualmente. La prima palla gol è dei bianconeri, che sfiorano il vantaggio con l’acrobazia al volo di Kamara ma la sfera termina fuori dallo specchio. Nei primi trenta minuti si assiste ad un dominio bianconero, Solet prima dribbla Castrovilli, poi duetta con Modesto e calcia in porta costringendo Pizzignacco ad un grande intervento. La prima metà di gara giocata a ritmi non troppo bassi termina in parità. L’Udinese ha trovato diverse volte la porta senza mai battere l’estremo difensore. Alla ripresa il tecnico Runjaic effettua due cambi per provare a sbloccare il risultato: dentro Lucca e Lovric per Zarraga e Bijol. Il Monza però passa inaspettatamente in vantaggio al 52′ con il gol altrettanto surreale firmato da Caprari: Birindelli galoppa sulla corsia di destra, si accentra e calcia colpendo in pieno il secondo palo, la sfera carambola sulla spalla di Caprari che si era involato in scivolata ed entra in porta. La gara prosegue con l’Udinese che cerca e trova il pareggio in un modo similmente surreale: Akpa Akpro inciampa sul pallone regalando ai bianconeri il possesso, Karlstrom senza perdere tempo sventaglia in avanti alla ricerca di Lucca, che controlla bene e poi calcia forte sul secondo palo battendo Pizzignacco ad un quarto d’ora dalla fine. Il secondo tempo segue lo stesso copione del primo, l’Udinese spinge per il gol ma alla fine è il Monza che a sorpresa sul finale segna il gol vittoria: Sensi apre sulla sinistra per Zeroli che crossa in mezzo trovando Keita Baldé tutto solo, il senegalese spacca la porta da pochi metri regalando la vittoria al Monza, una vittoria che non si vedeva da quasi quattro mesi.
Hellas Verona-Lecce (A cura di Marco Rizzuto)
Krstovic illude, Coppola punisce: la salvezza del Lecce è appesa a un filo
Dopo il successo dell’Empoli, il Lecce è chiamato a vincere per uscire fuori dalla zona retrocessione. Tra le fila del Verona, Zanetti ritrova Coppola e Valentini dopo il turno di squalifica, torna titolare anche Tengstedt che si posiziona al fianco di Sarr per guidare l’attacco scaligero. I salentini rispondono col solito 4-2-3-1, Krstovic riesce a recuperare partendo titolare. Alle sue spalle N’Dri, Helgason e Tete Morente. La squadra di Giampaolo non vince addirittura dal 31 gennaio e la vittoria deve essere l’unico risultato accettabile. Il Lecce prende in mano le redini della gara, passando in vantaggio dopo 22 minuti di dominio: Tete Morente imbucail pallone alle spalle della difesa perfetto per Krstovic, il bomber salentino batte Montipò inaugurando la gara. Dopo lo svantaggio, il Verona cerca di rialzare la testa e riesce a pareggiare a cinque minuti dalla fine del primo tempo: Suslov scodella in mezzo il pallone trasformato in gol dalla testata di Coppola, che si insacca perfettamente sul secondo palo dove Falcone non può arrivare. Sul finale Krstovic prova a prendersi la squadra sulle spalle cercando l’eurogol dalla distanza, ma la sfera esce a fil di palo. Alla ripresa entrambi gli allenatori mettono mano alla panchina: dentro Serdar per Suslov nel Verona, mentre Veiga subentra per Guilbert nei salentini. Il secondo tempo mostra un Verona molto più propositivo, la squadra di Zanetti tenta di sfruttare i cross, punto debole del Lecce come visto nella prima frazione. All’ora di gioco il Lecce va vicinissima al vantaggio, ma Banda non riesce ad indirizzare a porta vuota sullo splendido assist di Veiga. Da questo momento in poi i ritmi calano vertiginosamente, il fischio finale conferma l’1-1 del primo tempo lasciando in bilico il destino di entrambe le squadre. Il Verona momentaneamente ricopre la quindicesima posizione, ma la salvezza non è ancora confermata. Con questo pari la squadra di Giampaolo rischia grosso, a sole due giornate dal termine i salentini sono diciottesimi, a -1 dal Venezia momentaneamente salvo.
Torino-Inter (A cura di Tommaso Patti)
Nerazzurri sulla cresta dell’onda. Il primato adesso dista solo un punto
Nel miglior momento della stagione, subito dopo le due quasi fatali sconfitte in campionato, l’Inter è costretta a fare risultato a Torino per impedire agli azzurri di allungare sul secondo posto. Inzaghi schiera in campo nove cambi rispetto alla sfida contro il Barcellona, lasciando in campo solamente Bisseck e Bastoni. Dopo una decina di minuti giocati interamente nella metà campo dei padroni di casa, la mossa di Simone Inzaghi risulta vincente e porta l’Inter in vantaggio: posizionato da mezza’ala, Zalewski si crea, con un colpo di tacco, lo spazio per aggredire il campo e calciare a giro sul secondo palo, conclusione che trova impreparata la difesa granata e che non lascia scampo Milinkovic Savic. La prima rete in maglia nerazzurra dell’esterno polacco, permette all’Inter non solo di procedere con una marcia in più la gara, ma anche la gioia di aver portato in gol tutti i giocatori di movimento (appartenenti alla prima squadra). La nuova posizione di Zalewski e il tanto sacrificio di Correa, permette all’Inter di trovare spazi liberi e portare palla indisturbatamente nell’area di rigore avversaria, come accaduto al 26’ con l’avanzata di Bisseck conclusa con il filtrante per Darmian, autore di un tiro in diagonale salvato miracolosamente da Masina. Dall’occasione dell’ex difensore del Toro, la gara subisce un calo drastico di azioni, fattore alimentato soprattutto dalle forti precipitazioni avvenuta a Torino, che costringono le squadre a giocare con cautela date le incognite del campo dopo un breve stop per testare il terreno di gioco da parte di La Penna. Nel pieno dei sei minuti di recupero, una prodezza di Josep Martinez salva l’Inter sul colpo di testa di Che Adams, che riceve palla da Biraghi ma non riesce ad angolare il pallone in modo tale da battere l’estremo difensore spagnolo. Dopo un secondo test per capire se la gara potesse riprendere dato il forte temporale verificatosi durante l’intervallo, la sfida prosegue regolarmente. La prima occasione della ripresa arriva dopo poco più di un minuto, quando sullo scatto di Taremi, Milinkovic–Savic interviene in maniera irregolare sull’iraniano, commettendo fallo dentro l’area di rigore. Per ottenere continuità e fiducia, dal dischetto si presenta nuovamente Asllani che spiazza il portiere serbo, e trasforma in gol il secondo rigore di fila dopo quello segnato nell’ultima sfida contro il Verona. Il doppio vantaggio e l’evidente stanchezza dovuta all’estenuante impegno contro il Barcellona, il ritmo dei nerazzurri è più conservativo. Nonostante il fallo che ha regalato il penalty agli ospiti, Milinkovic-Savic salva la propria squadra in diverse circostanze grazie a degli interventi importanti e che tengono a galla la squadra di Vanoli. Durante il secondo dei tre minuti di recupero, la rovesciata di Masina riapre la partita, rete annullata immediatamente dal direttore di gara per un fallo in attacco del centrale marocchino ai danni di Asllani. La rete che avrebbe accorciato le distanze, illude un Torino poco creativo e succube per tutti i novanta minuti dell’Inter. La dodicesima sconfitta in campionato, non danneggia però in nessun modo un Torino già salvo e saldamente a metà classifica. Dopo le turbolenti due settimane in cui l’Inter ha visto quasi scappare via tutti gli obiettivi, la vittoria di misura contro il Verona e la grande prestazione in Champions, regala ai nerazzurri un finale di stagione tutto da vivere, soprattutto dopo il passo falso del Napoli contro il Genoa.
Napoli-Genoa (A cura di Tommaso Patti)
Il Genoa sorprende e pareggia al Maradona. Conte “spreca il bonus”.
La voglia di continuare a sognare degli azzurri e la frase “andiamo a Napoli per vincere” di Vieira, sono la combo perfetta per una sfida elettrizzante. Al Maradona, il Napoli prova subito a rompere la difesa avversaria dopo pochi minuti con la classica conclusione di Politano, terminata di poco a lato la porta difesa da Siegrist. Dieci minuti dopo il gol sfiorato dall’esterno azzurro, il Napoli -come in gran parte della stagione- si affida alla devastante forza di Lukaku, che si carica la squadra sulle spalle, e sblocca il risultato grazie all’assist di McTominay. La dodicesima rete in campionato di Lukaku, spinge ancora di più un Maradona carico e voglioso di trionfare. Successivamente alla conclusione di Raspadori murata da Siegrist, il Napoli trema sulla traversa colpita da Pinamonti, bravo nel vincere il duello contro Politano e a impattare di testa il cross servito da Vitinha. Su un’altra iniziativa nata dai piedi di Messias, il Genoa trova la rete del pareggio grazie all’errore di Meret sul colpo di testa di Ahanor. La reazione dei partenopei non arriva e il Genoa prova a prendere il sopravvento, sbattendo più volte contro una difesa del Napoli attenta e rapida nel bloccare le manovre offensive avversarie. Nella ripresa, il Napoli scende il campo provando subito ad assediare l’area del Genoa, affidandosi alle solite ed efficaci incursioni di Di Lorenzo. Dopo un primo tempo opaco, il “Jack” del Napoli si accende e riporta in vantaggio la squadra di Conte, azione nata dall’ennesimo assist di McTominay e da un’altra imbucata vincente di Raspadori. Nel momento migliore del Napoli, il cross di Aaron Martin è inatteso dalla retroguardia azzurra, che lascia libero di saltare e impattare in porta la conclusione di testa di Vasquez. Il gol del difensore messicano gela il Maradona, che spinge comunque la squadra nel tentativo di raddrizzare una sfida non giocata al meglio da parte dei padroni di casa. Prima del triplice fischio, il Napoli sfiora il gol del nuovo vantaggio in due occasioni: prima con il sinistro a giro di uno stremato Politano, e successivamente con l’azione pericolosa costruita da Neres per il colpo di testa largo di Billing. Con il successo dell’Inter, il Napoli ha sì il destino nelle proprie mani, ma ha comunque visto svanire l’opportunità di andare a +3 a sole due giornate dal termine, distanza che adesso è di una sola lunghezza sulla squadra di Inzaghi. Nelle prossime sfide, la squadra di Conte affronterà Parma e Cagliari, due squadre ancora non certe della permanenza in Serie A nella prossima stagione, a differenza del Genoa, salvo, senza obiettivi ma in grado di strappare un punto prezioso al Maradona.
Venezia-Fiorentina (A cura di Simone Scafidi)
C’è luce per il Venezia, frenata Viola
Nel commovente spettacolo di un Penzo sorprendentemente pieno, che omaggia tutte le mamme in occasione della loro festa, Venezia e Fiorentina arrivano con due obbiettivi ben diversi: la salvezza per i Lagunari, l’Europa per Palladino. La prima metà del primo tempo risulta monotona, con le due squadre che si studiano, temendo di sbilanciarsi ed evitando di subire eventuali ripartenze. La prima occasione è per la Fiorentina con Fagioli, che calcia sul secondo palo trovando la bella parata di Radu, che sventa il pericolo. Allo scadere del primo tempo è invece il Venezia ad andare vicino al vantaggio, con una serpentina di Yeboah in area di rigore che termina sul fondo. Al 59′ è invece Oristanio a sfiorare l’1-0, sparando la sfera sull’esterno della rete da due passi. Dopo appena tre minuti, sul cross di Kike Perez si avventa Candé, che buca De Gea e porta in vantaggio la squadra di Di Francesco, in un Penzo che esplode di gioia. La difesa Viola sale malissimo e il due del Venezia rimane totalmente indisturbato nel calciare. Pochi istanti dopo la Fiorentina reagisce, con il tiro di Ranieri che, in seguito ad un miracolo di Radu, si infrange sul palo, innescando la ripartenza del Venezia che arriva fino in fondo con Oristanio, autore del gol del 2-0, tornando in rete dopo ben cinque mesi. A quindici minuti dal termine la riapre uno dei migliori giocatori della stagione viola, Rolando Mandragora, che si gira in un fazzoletto all’interno dell’area di rigore e batte Radu, insaccando la sfera praticamente all’incrocio dei pali. Dopo sette lunghi minuti di recupero, Marchetti fischia tre volte e il Venezia può tirare un sospiro di sollievo, con due partite rimaste in cui dovrà mettere l’anima per riuscire ad accaparrarsi un’insperata salvezza.
Atalanta-Roma (A cura di Simone Scafidi)
Il Passato può tornare: Sulemana gela Ranieri
Le ultime battute di questo campionato saranno fondamentali per definire l’accesso agli ultimi posti disponibili per l’Europa. Al Gewiss Stadium, con i tre punti, la squadra di Gasperini si assicura la partecipazione alla prossima Champions, mentre la squadra di Ranieri, sconfitta dopo 19 risultati utili consecutivi, dovrà per forza trovare due vittorie nelle ultime due giornate. I giallorossi, in tenuta da trasferta, partono arrembanti con Cristante, ingranaggio a centrocampo che dopo appena sette minuti impensierisce Carnesecchi con un tiro dalla distanza abbastanza insidioso. Nella ripartenza immediatamente successiva, sull’assist di De Ketelaere, Lookman buca Svilar sul secondo palo con il più classico dei suoi gol e porta avanti la Dea, in mezzo alla nebbia di Bergamo. Dopo appena due minuti l’Atalanta va vicina al raddoppio con Ederson, che in seguito ad una giocata da brividi calcia alto sopra la porta giallorossa. Al 17′, un errore di Kossounou spalanca il campo a Koné, che tenta la conclusione dalla lunga distanza, deviata in calcio d’angolo non lontana dalla porta di Carnesecchi. Cinque minuti più tardi è proprio Manu Koné a spalancare il campo alla Dea, che arriva al tiro prima con De Ketelaere, murato da Svilar e successivamente con Retegui, autore di una conclusione potente ma imprecisa. Ad un quarto d’ora dal termine del primo tempo, Cristante sigla il gol del pareggio, incornando di testa su una palla precisa di Soulé, che il centrocampista italiano non deve far altro che appoggiare in porta, per il gol dell’1-1. Nel secondo tempo, quantomeno all’inizio, la Roma sembra scendere in campo più consapevole dei propri mezzi, arrivando spesso dentro l’area di rigore avversaria. Al 63′ Koné sfonda e viene buttato giù da Pasalic, con l’arbitro che indica il dischetto, per poi annullare, solo successivamente, il calcio di rigore, con il sospiro di sollievo di Gasperini. Da questo episodio l’Atalanta riesce a trovare la forza per riprendere in mano la partita, e al 76′, in seguito ad una meravigliosa azione corale, il neo-entrato Sulemana arriva alla conclusione dalla distanza, che batte Svilar per il definitivo 2-1. La mossa di Gasperini si rivela (ovviamente) vincente, e al triplice fischio dell’arbitro l’Atalanta esplode in una grande festa per l’ennesima qualificazione in Champions League, arrivata con due giornate di anticipo. Ranieri, apparso leggermente nervoso nelle interviste post-gara, dovrà invece motivare la squadra per rimanere attaccato al treno Champions, che arriverà a destinazione con un solo vagone conteso da diversi passeggeri.
LA TOP11 DELLA 36ª GIORNATA:

Grafica: Julya Marsala
Calcio
Europa e Conference, semifinali di ritorno: Europa all’inglese, Fiorentina nel baratro

Con il triplice fischio che pone il sigillo anche alle semifinali di ritorno di Europa e Conference League, abbiamo finalmente un disegno definitivo di quelle che sono le quattro contendenti che scenderanno in campo per aggiudicarsi le due finali. A San Mamès si contenderanno il titolo Tottenham e Manchester United, per una finale tutta all’inglese che mette in palio non solo la coppa, ma anche la dignità persa durante una stagione pessima. A Breslavia, per la finale di Conference, andranno il Chelsea, che già aveva ipotecato il passaggio del turno nella gara di andata, e il Betis, che riesce a scavalcare un’audace Fiorentina e accede all’ultimo atto di questa stagione.
EUROPA LEAGUE
Wavin’ Flag
Nello stadio San Mamès di Bilbao, il 21 maggio, sventolerà una ed una sola bandiera, la Union Jack. Con andata e ritorno giocate magistralmente, sia Manchester United che Tottenham annichiliscono i propri avversari e strappano il ticket per la finale in Spagna. Nonostante le temperature polari del maggio norvegese, e i tifosi avversari che arrecano disturbo nel cuore della notte con fuochi d’artificio e fumogeni, il Tottenham scavalca il fortino del Bodo e non si fa sorprendere, arrecando una pesante sconfitta alla sorpresa di questo torneo, che prende due gol senza realizzarne, per il risultato totale di 5-1. Il gol di Solanke e l’improbabile rete di Pedro Porro scacciano, in poco più di sei minuti, ogni possibile timore degli Spurs, che tornano a giocarsi una finale Europea dopo quella di Champions League persa contro il Liverpool nel 2019. Sei anni fa, in un Wanda Metropolitano gremito, la squadra del Nord di Londra si trovava ad affrontare dei Reds apparentemente inarrestabili. Ironia della sorte, nella prossima finale, la squadra di Postecoglou si troverà ad afffrontare degli altri “reds”, sempre inglesi, autori però di una stagione tutt’altro che da protagonisti; il Manchester United di Amorim, molto sottotono in campionato, sembra cambiare totalmente faccia in Europa, e contro l’Athletic Bilbao tappa ogni possibile buco, non lasciando spazio agli spagnoli di costruire e al contempo attaccando senza sosta per arrivare al risultato finale di 4-1, che unito a quello dell’andata dà origine al totale di 7-1. La doppietta di Mount, ultimamente in forma, e i gol di Hojlund e Casemiro spezzano il sogno basco (inizialmente riacceso dal gol di Mikel) di giocare una finale in casa, e ipotecano di fatto il lasciapassare per la compagine di Manchester, che torna a giocare una finale europea dopo l’Europa League vinta nel 2017 contro l’Ajax.
Un ateniese a Londra
A dicembre, in un’intervista, lo aveva detto, e per come stava procedendo la stagione, vennero considerate parole al vento. “Al secondo anno con una squadra vinco sempre qualcosa“, è successo con il Brisbane, con gli Yokohama Mariners, con l’Australia e con il Celtic, ma stavolta sembrava che le cose potessero andare diversamente: un campionato buttato e l’eliminazione da quasi tutte le competizioni hanno spento la speranza nei tifosi degli Spurs, che anche un pò inaspettatamente si sono ritrovati in finale di Europa League, con la concreta possibilità di dover chiedere scusa, per non essersi fidati delle parole di Ange Postecoglou.
CONFERENCE LEAGUE
Fiorentina – Real Betis
La spinta del Franchi e il morale alle stelle non basta alla Fiorentina per fermare un Betis audace e aggressivo, che con una prestazione non stellare ma concreta riesce ad accedere alla finale di Breslavia. Nel primo tempo gli Spagnoli sembrano averne di più, ma a spaventare per prima è la squadra di Palladino, che con Comuzzo va due volte vicina al gol nel giro di pochissimi istanti, con il difensore italiano che incorna di testa su situazione di calcio d’angolo e si vede negare sulla linea per entrambe le volte la gioia del gol. Nonostante ciò, i biancoverdi non si scompongono e al 30′ trovano il gol del vantaggio con una magistrale punizione di Antony, che beffa De Gea colpendo anche il palo e confermando un periodo di forma assolutamente straordinario. Dopo appena tre minuti la Viola reagisce con grinta, e su calcio d’angolo Gosens colpisce di testa e trova il pareggio per poi raddoppiare, con un gol praticamente identico, a tre minuti dalla fine della prima metà di gara. Dopo aver capito i propri errori, il Betis si chiude anche per tutto il secondo tempo, che prosegue praticamente spoglio di vere occasioni per poi concludersi con un duplice fischio che porta tutto ai tempi supplementari. Proprio nell’extra-time, nonostante i diversi interventi prodigiosi di De Gea, El Zazzouli viene lassciato totalmente solo di progredire in area, e ricevendo palla da Antony non deve far altro che appoggiarla in porta, siglando un gol analogo a quello segnato nella gara di andata, che archivia definitivamente la finale per la squadra di Pellegrini, la quale si troverà faccia a faccia con il Chelsea di Maresca, passato all’ultimo atto a discapito del Djurgarden.
Prima volta biancoverde
Dopo il passaggio del turno a discapito della Fiorentina, il Real Betis si aggiudica, per la prima volta nella sua storia, il diritto di giocarsi una finale europea. La qualificazione al match di Breslavia è solo la punta dell’iceberg di una stagione condotta magistralmente dalla squadra di Pellegrini, che sotto la guida dell’allenatore cileno ha trovato il coraggio di proporre un gioco iper-offensivo sia in campionato che in Europa, risultando, da gennaio in poi, uno dei club più in forma al mondo. La finale contro il Chelsea sarà probabilmente la partita più importante della stagione, con un peso specifico non indifferente e che significherebbe, in caso di vittoria, la partecipazione diretta alla prossima Europa League.
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