Calcio
Il Supercommento dell’8ª giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top11 alla fine, dell’ottava giornata di Serie A.
Como-Parma
L’apertura dell’ottava giornata regala subito spettacolo e giocate di pregevole fattura. Sotto gli occhi di star del cinema, come Andrew Garfield e Hugh Grant, e star del c.d.a (Raphael Varane ha deciso di ritirarsi per entrare a far parte della dirigenza lariana), Como e Parma approcciano la gara con grande voglia ed energia, alla ricerca di spazi dove punire e stappare la gara. Come da copione, la manovra offensiva del Como passa sempre dai piedi di Nico Paz, che al 2′ apparecchia per Strefezza, impreciso con il destro da dentro l’area. Il manovra del Parma non perde smalto e l’uscita codificata verso Bonny permette ai ducali di sfruttare le fasce, occupate da Cancellieri e Almqvist (Mihaila e Man inizialmente in panchina). Al 20′ il Parma trova il vantaggio in contropiede, con Almqvist che guida la ripartenza ducale e allarga verso Hernani, abile nel trovare al centro dell’area il taglio di Bonny, il francese anticipa Dossena e sorprende l’uscita di Audero con un colpo di tacco sublime, altra splendida giocata in questo avvio di campionato per il francese. La reazione del Como non tarda ad arrivare, con Cutrone che svetta in area su un cross alto di Alberto Moreno, attento Suzuki con i pugni. Il Parma flirta con il vantaggio con una punizione di Bernabè che beffa Audero, ma sbatte sulla traversa. Un minuto più tardi il Como pareggia, con Fadera che trova l’inserimento di Nico Paz, abile nell’incrociare e pareggiare i conti, primo centro in campionato per il talento argentino. Nel secondo tempo il ritmo è più basso, la paura e l’equilibrio prevalgono nella prima fase e le due difese si compattano con il passare dei minuti. Pecchia prova a rialzare la testa e inserisce Mihaila e Man, e i due neo-entrati confezionano l’occasione più nitida del secondo tempo, con Man che appoggia per la conclusione radente e potente di Mihaila, palla che sbatte sul palo. L’esterno romeno è il pericolo principale per la difesa lariana grazie alla sua abilità nel tiro da fuori, come la punizione insidiosa calciata al 76′ con la sfera che termina di poco a lato. Gli ultimi due squilli sono di Charpentier e Mazzitelli ma entrambe le conclusioni non creano problemi ai rispettivi portieri. Un pareggio che consolida l’ottimo avvio di campionato delle due squadre, sempre in crescendo nelle ultime apparizioni. Continuano a brillare le stelle Bonny, Nico Paz e Bernabè, giocatori di tutt’altro livello e in costante rampa di lancio.
Genoa-Bologna
Un Genoa sornione rimonta il Bologna e riacciuffa una gara complicatissima. A Marassi le due squadre, per motivazioni piuttosto diverse, apportano tante modifiche alle formazioni. Italiano rinuncia a Fabbian dal 1′ e sostituisce l’infortunato Ndoye con l’esordiente Dominguez. In difesa l’unica conferma è Beukema, mentre il quartetto si ridisegna completamente con Posch, Casale e Miranda. Gilardino è costretto a fare di necessità virtù, a causa della lunga lista di infortunati, compattando la linea mediana, in costante aiuto al blocco difensivo e alza Thorsby in zona offensiva, per dare una mano nella gestione del possesso e del gioco aereo a Pinamonti. Il Bologna prova subito ad alzare i giri del motore sviluppando il gioco sulla destra, dove Orsolini fin dalle prime battute sembra in giornata. Il primo squillo arriva proprio dai suoi piedi, con un mancino a giro che costringe Leali all’intervento in tuffo. L’estremo difensore italiano, schierato al posto dell’infortunato Gollini, alza la saracinesca e interviene prima sulla conclsuione da fuori area di Moro, e poi sul tiro ravvicinato di Orsolini. Al 36‘ il Bologna trova il vantaggio con Orsolini, la cui conclusione a giro trova la sporcatura di Vasquez che mette fuori giri Leali. Nel secondo tempo, al cospetto di un Genoa incapace di alzare il baricentro, il Bologna trova subito il raddoppio. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Leali smanaccia e libera l’area, il pallone arriva al limite dove Odgaard controlla e spara un missile a fil di palo, firmando il doppio vantaggio che sembra mettere il lucchetto al match. Sembra. Il Genoa abbassa la testa e comincia a spingersi in avanti per inerzia, cercando un episodio per riequilibrare la gara. Al 72‘ Martin imbuca per Pinamonti che non riesce a controllare il pallone, Casale pasticcia nel controllo e regala palla al neo-entrato Ekhator che appoggia a Pinamonti e dal limite l’attaccante italiano batte Ravaglia. In quel momento il Bologna stacca completamente la spina, in costante difficoltà e in confusione dopo i cambi di Italiano, che getta nella mischia Dallinga, Fabbian e Karlsson. Alla fine la squadra di Gilardino trova il pareggio, con una punizione di Martin che pesca in area la testa di Pinamonti, dimenticato da Casale in marcatura, per un pareggio che fa esplodere il pubblico del Ferraris. Nel finale il Bologna non ha le forze, e la lucidità, per riportarsi avanti e il Genoa non ha occasioni. Un pari che conferma le difficoltà di gestione del Bologna, ancora una volta poco lucida nel corso della partita. Buone risposte dagli esterni in vista della gara di Champions contro l’Aston Villa. Il Genoa continua a faticare terribilmente, con i continui infortuni che incombono sulla squadra di Gilardino, ma il sussulto d’orgoglio del Grifone ha permesso ai rossoblù di riacciuffare una gara che sembrava senza storia fino all’ora di gioco.
Milan-Udinese (A cura di Simone Scafidi)
Sotto le luci di San Siro, e con l’aiuto del VAR, un Milan in dieci uomini supera l’Udinese e torna alla vittoria in Serie A dopo quasi un mese. La squadra di Fonseca parte subito forte, e al 12’ minuto trova il gol del vantaggio con Chukwueze che calcia forte, a giro, sul secondo palo e concretizza la grande azione costruita da un ispirato Okafor e dal solito -brillante- Pulisic. Come d’abitudine il Milan, subito dopo il gol, va fortissimo e cinque minuti più tardi sfiora il raddoppio con un colpo di testa di Morata, bloccato da Okoye. Al 29’ arriva il momento “sliding doors” del match, grazie ad un ottimo lancio in profondità di Bijol, che mette Lovric a tu per tu con Maignan. Lo sloveno viene fermato fallosamente da Reijnders che viene espulso per DOGSO (chiara occasione da gol). Sulla punizione Zemura sfiora il gol del pareggio, spedendo la sfera di poco a lato della porta di Maignan. Al 44’ i friulani trovano il pareggio con Ehizibue, ma il gol viene annullato per la posizione di fuorigioco dell’esterno olandese sul cross di Zarraga. Il secondo tempo comincia e prosegue con ritmi molto bassi fino al 74’, momento in cui il Milan per la prima volta, dopo l’espulsione di Reijnders, si fa vedere dalle parti di Okoye: Chukwueze mette un traversone sul secondo palo, che trova la sponda di Abraham per Pulisic, il quale si gira e trova l’ottima risposta di Okoye, successivamente graziato da un clamoroso errore dell’ex Roma, che sbaglia un gol praticamente a porta vuota e si fa anche male alla spalla, dovendo così abbandonare il terreno di gioco. Il match prosegue senza particolari occasioni fino a due minuti dalla fine, quando, in seguito ad un cross dalla fascia sinistra di Kamara, una mischia in area si conclude con il colpo di testa di Kabasele che beffa Maignan. I festeggiamenti dell’Udinese vengono smorzati dal VAR, perché il gol viene annullato per una posizione quasi impercettibile di fuorigioco di Ekkelenkamp. Tre punti che spediscono i rossoneri al quarto posto, a discapito proprio dei friulani. Un Milan altalenante che riesce a vincere una partita che sembrava non avere storia. Dall’altra parte, l’Udinese dovrà continuare a lavorare, soprattutto sul reparto offensivo, che nella sfida di San Siro, in superiorità numerica per più di 60 minuti, poteva e doveva produrre molto di più.
Juventus-Lazio
Dopo due mesi la Juventus torna a vincere in casa. Allo Stadium la squadra di Thiago Motta vince di misura grazie all’autogol di Mario Gila.
Empoli-Napoli (A cura di Simone Scafidi)
Un Napoli tenace espugna la “fortezza Castellani” e consolida la vetta. La prima metà del primo tempo è sotto il totale controllo della squadra di D’Aversa, che arriva molte volte nell’area del Napoli grazie al suo rapido gioco sulle fasce, con Pezzella e Gyasi in costante proiezione offensiva, e le conclusioni di Esposito che impensieriscono Caprile più di una volta. Al 26’ i partenopei hanno una grandissima occasione con Buongiorno, il cui colpo di testa viene salvato praticamente sulla linea dalla difesa toscana, a seguito di un calcio d’angolo battuto da Politano. La squadra di Conte appare molto confusa, con quest’ultimo altamente insoddisfatto della prestazione dei suoi, che in mezzo al campo hanno grandissime difficoltà a costruire la manovra, grazie ad un Empoli con un baricentro molto alto, capace di chiudere in maniera ottimale le linee di passaggio, bloccando così la costruzione azzurra. All’ultimo atto del primo tempo i toscani hanno l’occasione per passare in vantaggio: al 44′ Fazzini, grazie a un controllo orientato al volo, salta Buongiorno e Caprile ma non riesce a ribattere in porta. Il secondo tempo si apre con la palla stabilmente nei piedi dei giocatori del Napoli, che in fase di costruzione portano in avanti Di Lorenzo e Spinazzola, i quali bloccano gli esterni dell’Empoli. Per la squadra di D’Aversa diventa un problema l’uscita in pressione su Politano e Kvaratskhelia e di conseguenza ripartire anche in contropiede, situazione in cui l’Empoli si è reso più pericoloso nel corso del primo tempo. Al 60’ escono Lukaku e Spinazzola per Simeone e Olivera. L’attaccante argentino si rende subito pericoloso con una conclusione ribattuta dalla difesa dell’Empoli, Politano raccoglie il pallone e subisce fallo da Anjorin, guadagnando un calcio di rigore dopo un check del VAR. Sul dischetto si presenta Kvaratskhelia che spiazza Vasquez (al primo gol subito in casa) e realizza il gol dell’1-0. Al 67’ il Napoli sfiora il raddoppio con MctTominay, che conclude verso la porta avversaria sfiorando l’incrocio dei pali. Dopo il gol il ritmo del match rimane molto basso, l’Empoli prova ad affondare il colpo, con scarsi risultati, e il Napoli prova definitivamente a chiuderla con Neres che salta diversi avversari ma che non riesce a ribadire in rete. Il Napoli mantiene saldo il primo posto in classifica, con una vittoria figlia di una partita complicata, contro un Empoli solido e determinato che dopo il gol non trova però la forza di reagire. La crescita dei partenopei si comincia a intravedere a vista d’occhio, e la gestione del gruppo sembra la chiave di Conte in queste gare. La scelta di cambiare uomini e sistemi di gioco a partita in corso, come contro il Como, ha permesso al Napoli di trovare quelle soluzioni che servivano a svoltare la partita. Conte può quindi godersi un’altra settimana in vetta, guardando tutti dall’alto.
Lecce-Fiorentina
Si è sbloccata definitivamente la Fiorentina di Palladino. Al Via del Mare i toscani debordano e vincono 6-0. La scelta di Palladino, dopo la gara thriller contro il Milan, ricade sulla continuità. La conferma del blocco che ha battuto i rossoneri comincia a dare i suoi frutti in ogni reparto. La scelta del Lecce ricade sulla costruzione affidata ai due centrali, poco inclini al gioco palla a terra, e il pressing viola indirizza il possesso verso la squadra di Palladino. Dopo dieci minuti la gara perde uno dei protagonisti principali, dato che Gudmundsson è costretto a uscire per un problema muscolare, sostituito da Beltran. Al 20′ ha inizio il primo tempo da assoluto protagonista di Cataldi: Kean lotta con i difensori salentini sulla fascia e il fraseggio veloce tra Gosens e Bove porta alla conclusione dal limite il centrocampista ex-Lazio, abile nel bucare Falcone sul primo palo. Da quel momento inizia l’assolo dei viola. La grinta e tenacia di Beltran portano all’errore Oudin, con Cataldi che cerca subito Kean in area, Falcone smanaccia ma non può nulla sulla ribattuta di Colpani, che chiude il mancino e trova il primo sigillo in maglia viola. Al 40′ la gara del Lecce si mette ulteriormente in salita, perché Gallo stende Dodò al limite dell’area e viene espulso per chiara occasione da gol. Sugli sviluppi del calcio di punizione Cataldi disegna un arcobaleno che supera la barriera e batte Falcone. Nel secondo tempo Gotti prova a riequilibrare la squadra, con alcuni cambi che fungono da filtro in mezzo al campo, ma la squadra di Palladino è un rullo compressore, e cala il poker al 55′ con Colpani che prima sbatte su Falcone, poi in seconda battuta calcia al volo e spedisce il pallone all’incrocio dei pali. La girandola di cambi della Fiorentina non abbassa il ritmo dei toscani, e all’ora di gioco trova anche il quinto gol, con Beltran che deposita in rete, da pochi passi, un cross basso di Kouame. Il Lecce prova ad alzare il baricentro per trovare un gol della bandiera, ma la Fiorentina riesce sbarrare la strada. Al 71′ arriva anche il sesto gol, conParisi che slalomeggia tra i centrali del Lecce e calcia verso la porta, trovando la deviazione decisiva di Ramadani. Prestazione incredibile della squadra di Palladino, che adesso sembra aver trovato la quadra e sopratutto i gol. Tante risposte dal reparto centrale, anche se ancora la stabilità e l’equilibrio della mediana viola sono da consolidare. Grandi segnali da Colpani, autore di una doppietta e di una gara da Flaco. Da valutare i problemi fisici di Kean (uscito all’intervallo) e Gudmundsson, in vista degli impegni di Conference e del prossimo impegno, al Franchi contro la Roma.
Venezia-Atalanta
Continua la scalata dell’Atalanta verso i piani alti. Al Penzo la squadra di Gasperini si affida alla continuità dell’ultima gara, nonostante i tanti problemi fisici che stanno martoriando il reparto difensivo degli orobici. Pronti, via e i bergamaschi vanno subito in vantaggio, grazie al cinquantesimo gol in Serie A di Mario Pasalic, che diventa il miglior marcatore croato della storia della Serie A. Il Venezia appare frastornato dal colpo subito, e continua a subire le continue progressioni di Lookman Retegui e De Ketelaere. Pochi minuti dopo serve un grande intervento dell’esordiente Stankovic, esordio in Serie A per l’ex Sampdoria, per evitare il raddoppio di De Ketelaere. Il Venezia si affaccia per la prima volta dalle parti di Carnesecchi al 20′, quando Zampano ruba palla a Lookman e calcia sul secondo palo, grande intervento in tuffo dell’estremo difensore italiano. Cinque minuti dopo Lookman calcia forte da fuori area ma la sua conclusione non scende abbastanza e sbatte sulla traversa. Al 40′ la Dea sfiora il raddoppio in campo aperto, con il lancio di De Roon che pesca lo scatto in profondità di Retegui, il cui tiro a incrociare sibila con il palo lontano e termina fuori. La rete del bomber italo-argentino è rimandata al secondo tempo, e dopo nemmeno un minuto Retegui ruba palla a Candela e fredda Joronen con un pallonetto di assoluta qualità e bellezza, realizzando l’ottavo centro in altrettante gare in campionato. Il Venezia non riesce a reagire e i tanti cambi rallentano il ritmo e spezzettano il gioco. Tra le fila bergamasche prova ad accendere nuovamente la miccia Samardzic, che si invola verso la porta e calcia forte sul primo palo, è necessario un grande intervento di Stankovic a negare il tris all’Atalanta. Un’altra vittoria importante per la squadra di Gasperini, che comincia ad acquisire sempre più fiducia e condizione. I tanti infortuni continuano a martoriare la difesa, ma le risposte del reparto offensivo adesso diventano importanti e la Dea comincia a risalire la classifica, mentre in Champions arriva il match contro il Celtic, Gasperini si gode i gol di uno scatenato Retegui e le giocate di Lookman e CDK. Rimane in fondo alla classifica il Venezia di Eusebio Di Francesco, chiamato a risollevare la gondola per evitare ulteriori difficoltà nel corso del campionato.
Cagliari-Torino (A cura di Simone Scafidi)
All’Unipol Domus, Cagliari e Torino si divertono e fanno divertire, dando vita ad un pirotecnico 3-2, tra rimonte e contro-rimonte. Match che appare sin da subito in grande equilibrio, con le due squadre che giocano sostanzialmente a specchio: a Che Adams e Sanabria, le due punte di Vanoli, si oppone dalla parte opposta Piccoli, boa attorno alla quale gira l’attacco cagliaritano, completato da Luvumbo e Viola. La manovra offensiva della squadra di Vanoli coinvolge ogni singolo elemento della formazione, in avanti spicca particolarmente il grande aiuto fornito da Walukiewicz e Masina, che si spingono ben oltre la linea di centrocampo, arrivando quasi al limite dell’area di rigore avversaria. Dopo due pericolosi tentativi di Piccoli e Zappa, al 38′ il Cagliari trova il gol del vantaggio: in seguito ad un dubbio fallo compiuto da Saul Coco (che probabilmente il fallo l’aveva subito), Viola segna su punizione, grazie soprattutto ad uno schema preparato alla perfezione con Luvumbo e Mina, i quali aprono la barriera e fanno passare il tiro del capitano rossoblù. Un minuto più tardi il Torino pareggia i conti, grazie all’incornata in solitaria di Sanabria su un cross di Lazaro direttamente da calcio d’angolo, immancabile la dedica all’infortunato Zapata. Il secondo tempo riprende con gli stessi, altissimi, ritmi con cui si era concluso il primo. Al 55’ il Toro va in vantaggio con Linetty che, dopo una grandissima incursione a centrocampo, calcia da fuori area battendo Scuffet. Un quarto d’ora più tardi il Torino sfiora il terzo gol, con una conclusione di Saul Coco da trenta metri che impensierisce Scuffet, obbligato a spedire la sfera in calcio d’angolo. Pochi istanti dopo, in seguito ad un calcio d’angolo guadagnato dal neo entrato Lapadula, Palomino colpisce di testa e pareggia i conti, portando il Cagliari sul 2-2. Al 78’ arriva la rimonta della squadra di Nicola, con un instancabile Piccoli che riceve palla in area di rigore, si defila e tenta un cross rasoterra, trovando però la sfortunata deviazione di Saul Coco che insacca il pallone alle spalle di Milinkovic-Savic. Dopo il gol del vantaggio il Cagliari serra i ranghi e lascia pochissimo spazio alla costruzione granata, riuscendo anche a trovare diverse e pericolose ripartenze. Nel recupero i granata attuano un vero e proprio assedio, guadagnando diversi calci d’angolo e riempiendo l’area con quasi tutti gli elementi della propria rosa. Al 91’ Scuffet salva il Cagliari sul colpo di testa di Adams, compiendo un salvataggio tutt’altro che semplice e assicurando tre punti fondamentali alla sua squadra, che conquista la prima vittoria in casa in campionato. Vittoria alla “Ranieri” per Nicola. Nel giorno del compleanno dell’ex tecnico rossoblù, i sardi confezionano una prestazione caratterizzata da coraggio e determinazione. Il Cagliari vince e convince, soprattutto perché questa prestazione arriva contro un Torino che non si dimostra un avversario facile e che ha già saputo stupire nel corso del campionato. Adesso Nicola dovrà saper tenere alto il ritmo e il morale. Piccolo passo indietro per la squadra di Vanoli, che adesso è chiamato a ricompattare la squadra e tornare a conquistare punti, dopo un filotto di quattro sconfitte consecutive tra campionato e Coppa Italia.
Roma-Inter (A cura di Tommaso Patti)
Nel secondo match di cartello dell’ottava giornata un’Inter corsara ottiene i tre punti grazie al sigillo del capitano Lautaro Martinez.
Hellas Verona-Monza
In avvio il Monza approccia con coraggio e ritmo la gara. Così come nel match contro il Napoli, la squadra di Nesta riesce a eludere il pressing della difesa a tre grazie alla velocità e alla fluidità del possesso brianzolo. Il Monza trova il vantaggio al nono minuto, con Caprari che sfreccia sulla fascia sinistra e crossa verso il secondo palo, dove Dany Mota si coordina alla perfezione e spedisce la sfera sul secondo palo, dove Montipò non può arrivare, prima rete dei brianzoli nel primo quarto di gara. Il Verona appare in confusione e fisicamente giù di giri. Il centrocampo roccioso e dinamico non riesce a imporsi grazie al lavoro lucido e intelligente di Pessina, spina nel fianco delle due mezzali scaligere. La squadra di Zanetti comincia a trovare soluzioni nello scambio tra Tengstedt e Mosquera, ma le combinazioni tra i due attaccanti sono spesso lontane dalla porta, e la difesa del Monza non corre particolari rischi. Nel secondo tempo il Verona continua a palesare enormi difficoltà nella zona centrale del campo, dove Belhayane e Duda sono in inferiorità numerica contro i centrocampisti brianzoli, aiutati dalle continue corse di sacrificio di Dany Mota. Con un baricentro molto basso, comincia a diventare fondamentale Milan Djuric, pivot dell’attacco del Monza e prima soluzione per le uscite della squadra di Nesta. Nella fase centrale della ripresa il Verona sfiora più volte il pareggio, ma in ogni conclusione degli uomini di Zanetti ci sono le mani sicure di Turati, autore di diverse parate salva-risultato. Al 74′ il Monza raddoppia: rinvio di Turati verso Djuric, che a memoria spizza alle spalle della difesa, dove arriva l’inserimento di Dany Mota che fredda Montipò e cala la doppietta. Quattro minuti dopo la squadra di Nesta cala il tris: altro rinvio di Turati e altra incornata di Djuric, sul pallone arriva in anticipo Faraoni, che si fa soffiare palla da Bianco, appena entrato, che in scivolata supera in uscita Montipò. Vittoria di carattere per il Monza, la prima in campionato, che sancisce la momentanea uscita dalla zona retrocessione. Con i tre punti la squadra di Nesta sale a quota 7 punti e stacca di un punto il Lecce terzultimo. Continua il periodo no del Verona, ancora una volta in difficoltà nella fase difensiva e poco produttiva nella trequarti offensiva, dove stanno mancando le giocate di Lazovic e Suslov.
LA TOP11 DELL’8ª GIORNATA:

Grafica: Julya Marsala
Calcio
Una manita che vale il triplete. il PSG schianta l’Inter e vince la Champions League

Il Paris Saint-Germain vince la prima Champions League della sua storia. A Monaco di Baviera la squadra di Luis Enrique si sbarazza dell’Inter e domina dal primo all’ultimo minuto.
Il racconto della finale di Champions League 2024/2025
Triplete e tabù
Numeri e intrecci con la storia fanno da contraltare a una finale che si preannuncia scoppiettante per gli attori, pronti a prendersi la scena nel palcoscenico più importante di tutti, la finale di Champions League. Inter e Paris Saint-Germain arrivano in Baviera per aggiungere il capitolo finale alla stagione, senza dubbio il più importante. Se da una parte l’Inter deve reagire a un finale di stagione che ha sorriso al Napoli, nella lotta al campionato, il PSG va a caccia del terzo successo in tre competizioni.
Sia Inter e PSG cercano di reagire a una delusione abbastanza recente in finale di Champions, perché entrambe hanno assaporato la vetta ma si erano fermate al gradino più basso, dovendosi arrendere a Manchester City (Istanbul 2023 nel caso dell’Inter) e Bayern Monaco (Lisbona 2020 nel caso dei parigini). L’Inter, inoltre, cerca di sfatare un tabù legato alla città di Monaco di Baviera: in terra bavarese si sono disputate quattro finali -tra Coppa dei Campioni e Champions League- e tutte e quattro hanno visto trionfare una squadra al primo successo nella propria storia (va ricordato lo score del PSG in Champions League, la cui voce “titoli” al momento recita “zero”).
Le scelte
Pochissimi dubbi alla vigilia, nessuna sorpresa al momento della comunicazione delle formazioni: Inzaghi sceglie i suoi uomini migliori, tutti gli artisti che hanno contribuito a questo quadro che cerca l’ultima pennellata. L’unico ballottaggio attivo riguardava il braccetto di destra, al fianco di Acerbi e Bastoni, sciolto da Inzaghi con Pavard. Il francese, uno dei volti con più esperienza e leadership nel roster nerazzurro, scalza Bisseck e parte dal primo minuto. Tra i parigini invece il testa a testa riguardava due delle gemme più preziose sgrezzate da Luis Enrique nell’ultimo anno, Doué e Barcola. Il primo vince il duello con il connazionale e si affianca a Dembélé e Kvaratskhelia.
PSG: Donnarumma, Hakimi, Marquinhos, Pacho, Nuno Mendes, Vitinha, João Neves, Fabian Ruiz, Doué, Dembélé, Kvaratskhelia;
INTER: Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni, Dumfries, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco, Thuram, Lautaro Martinez
Due generazioni a confronto, una per blindare un ciclo sempre più crescente, l’altra per avviarne uno nuovo. Il Paris Saint-Germain vanta la squadra più giovane di tutta la competizione (età media di 24 anni e 262 giorni), mentre l’Inter la squadra più anziana (età media di 30 anni e 19 giorni).
Arbitra il rumeno Kovacs, che negli ultimi anni ha arbitrato due finali che hanno fatto sorridere il calcio italiano (il fischietto rumeno ha diretto la vittoria della Roma in Conference League e l’Atalanta nella notte di Dublino, contro il Leverkusen).
Alle 21.01 il fischietto di Kovacs emette il primo suono, comincia la finale!
||PRIMO TEMPO ||
Curiosa la battuta dei parigini, che lanciano in rimessa laterale il primo pallone della gara. Subito chiaro l’intento della squadra di Luis Enrique, quello di non far sviluppare dal basso l’Inter. Il possesso è in mano ai parigini, soprattutto nelle fasi iniziali della gara. La squadra di Inzaghi cerca di giocare sulle lunghe leve di Dumfries, in netto vantaggio fisico su Nuno Mendes, ma il recupero palla del Paris è molto efficace. Non vi erano dubbi sul coraggio e sulla qualità dei francesi, ciò che risalta comunque all’occhio è l’approccio della gara da parte dei campioni di Francia, padroni assoluti del possesso. Il primo squillo è proprio di Doué, un destro potente e angolato su cui Sommer non ha difficoltà. Il dominio è evidente e il vantaggio arriva al minuto 11. Il gioco si sviluppa prevalentemente a destra, ma al primo affondo a sinistra il Paris sfonda: palla magica di Vitinha alle spalle della difesa, Doué è pronto per calciare verso la porta ma il francese è bravissimo nel servire in mezzo Hakimi, il marocchino ha la porta spalancata e non può fallire il più classico dei gol dell’ex. Vantaggio francese e finale subito in salita per la squadra di Inzaghi. Lo svantaggio appesantisce le gambe dei giocatori dell’Inter, e la corsa interminabile dei parigini non lascia respirare i nerazzurri, che cercano rifugio in Sommer. Le difficoltà dell’Inter sono evidenti, così come emerge l’agonismo e la freschezza dei francesi. Al 20′ arriva il raddoppio: l’azione comincia nell’area francese, con Barella troppo leggero nella protezione di un corner, in cui l’Inter sa sempre rendersi pericolosa; Pacho evita il giro dalla bandierina e il PSG va subito in contropiede: Dembélé chiama a sé la difesa nerazzurra e poi cambia gioco, Doué controlla e spara il destro verso la porta, convertito in rete dalla deviazione di Dimarco che manda fuori giri Sommer. Venti minuti maestosi della squadra di Luis Enrique, ma dall’altra parte l’Inter non sembra essere scesa in campo. Non si registrano occasioni per la squadra di Inzaghi, anche se la pressione del PSG si affievolisce leggermente dopo il doppio vantaggio, e questo favorisce una crescita -timida- dei nerazzurri. I movimenti dei francesi sono di un’armonia e una pulizia a dir poco pregevole, e la lettura difensiva dell’Inter soffre terribilmente questo continuo scambio di posizioni, in ogni zona del campo. Al 37′, dalla bandierina l’Inter si costruisce la prima -vera- occasione della sua gara, con il solito cross preciso di Calhanoglu indirizzato sul secondo palo, lì Thuram prende il tempo su Kvaratskhelia ma il suo colpo di testa termina di poco a lato. È il momento di spinta massima dell’Inter, favorito da una piccola fase di allentamento del Paris, subito richiamato a voce alta da Luis Enrique, che impone lucidità e maggior qualità. All’ultimo pallone del primo tempo Kvaratskhelia impensierisce ancora una volta Sommer. È l’ultimo squillo di un primo tempo a tinte uniche blu e rosse, con il Paris Saint Germain meritatamente in vantaggio. Un dominio schiacciante nel primo tempo, ma occhio a mantenere la partita in bilico, perché l’Inter si può riaccendere da un momento all’altro.
||SECONDO TEMPO ||
Nessun cambio all’intervallo, i riparte dagli stessi ventidue. L’Inter appare subito più coraggiosa e intraprendente, anche se era prevedibile visto il brutto primo tempo. Kvara prova a chiudere subito i conti ma il suo mancino termina in curva. In quel momento l’Inter capisce che per riaccendere la miccia serve maggiore qualità e incisività da destra, e lo sviluppo dell’Inter verte sempre dalla parte di Dumfries, favorito da un maggiore apporto alla manovra da parte di Thuram. Inzaghi è il primo a muovere la panchina con Bisseck e Zalewski al posto di Pavard e Dimarco. Il polacco viene subito ammonito per un fallo in attacco, ma il segnale è quello di alzare l’agonismo e il ritmo. Dopo pochi minuti la panchina dell’Inter viene mobilitata nuovamente perché Bisseck cade male a terra ed è costretto a uscire subito per un problema al flessore. Al suo posto Carlos Augusto, oltre a Darmian per Mkhitaryan. In mezzo alle sostituzioni il PSG mette il lucchetto alla finale: ancora una volta Dembélé domina il gioco a suo piacimento, e attira a sé i difensori dell’Inter, il francese imbuca per Vitinha che porta palla per metà campo, prima di appoggiare verso Doué, destro piazzato sul primo palo e discorso archiviato. Prestazione totale del gioiello francese, che esce qualche minuto dopo, accompagnato dalla standing ovation del suo pubblico e dal cinque di Barcola, pronto a seminare ulteriormente il panico tra le maglie nerazzurre. Inzaghi termina le sostituzioni con Asllani al posto di Calhanoglu, uscito acciaccato per un problema fisico. L’Inter si sgretola con il passare dei minuti, e il nervosismo comincia a prevalere sulla ragione, a tal punto che Kovacs mette mano al taschino più volte. Al 73′ i parigini debordano con Kvaratskhelia: l’azione parte dal basso, e il fraseggio porta fuori la linea di difesa dell’Inter -stranamente alta, il solito Dembélé dipinge calcio a tutto tondo, filtrante per Kvara che arriva fino all’area piccola, il mancino del georgiano buca Sommer sul primo palo. 4-0 PSG, dominio assoluto. L’Inter cerca il gol della bandiera, e in quel momento emerge l’altro top player del roster parigino: Gigio Donnarumma. Il portiere italiano mette i suoi guanti su un destro piazzato di Thuram, e nega il gol della bandiera al francese. Nelle retrovie l’Inter fa sempre più acqua, a tal punto che Barcola semina i difensori come se fossero birilli, ma davanti a Sommer calcia clamorosamente fuori, a due passi dalla porta. Con la gara in cassaforte -già dal decimo minuto in verità- Luis Enrique adopera tre cambi, che ancora una volta danno frutti meravigliosi. A cinque dal termine i parigini muovono palla attorno all’area, Barcola imbuca per il neo-entrato Mayulu che calcia forte e batte Sommer per la quinta volta. CINQUE a zero, un risultato clamoroso.
Un dominio incontrastato, dal primo all’ultimo minuto. Il PSG è stato superiore in tutto, dalla gestione tattica al controllo emotivo della gara. Con la forza delle idee, coordinato da un’insieme di perle preziose, Luis Enrique si conferma ancora una volta una garanzia per questa competizione. Il tecnico spagnolo non ha mai perso una finale in carriera, e il modo con cui il Paris Saint-Germain si è sbarazzato dell’Inter rimarrà negli annali della Champions League. Prima coppa in bacheca per il club francese, che quest’anno chiude la stagione con il triplete, dopo i successi in Ligue 1 e Coupe De France. Dall’altra parte l’Inter esce fracassata dal prato di Monaco di Baviera, per una sconfitta che peserà tantissimo per le modalità e per l’approccio alla partita. Un’Inter irriconoscibile, che però si è dovuto arrendere di fronte alla freschezza e alla qualità incredibile del Paris Saint-Germain. Stagione da zero tituli, per dirla alla Mourinho, per la squadra di Inzaghi, che adesso dovrà sciogliere le riserve sul proprio futuro. Sipario per un’altra grande stagione di calcio europeo, con la nuova edizione della Champions che ha aggiunto all’albo un nuovo vincitore e uno spettacolo sempre più appassionante.
Calcio
Tsunami Blues: il Chelsea travolge il Betis in rimonta e vince la sua prima Conference League

La Conference League è finalmente giunta al suo atto conclusivo. La finale di Breslavia porta in scena Chelsea e Real Betis (alla prima finale europea della sua storia) per contendersi, sul campo, il titolo di quarti campioni della Conference. La squadra di Pellegrini, dopo un inizio di stagione non brillantissimo, da gennaio in poi ha cambiato totalmente rotta, risultando come una delle squadre più in forma d’Europa, meritevole di approdare in finale per affrontare la compagine favorita della competizione.
Speranza e Realtà
In uno stadio quasi interamente biancoverde, il fischio d’inizio viene anticipato dalla consueta cerimonia d’apertura, che porta sul manto verde i volti dei protagonisti di questo ultimo atto. Il Betis non esita a partire subito con la marcia ingranata, portando in scena uno stile di gioco immediatamente arrembante e offensivo. Dopo appena otto minuti, la squadra di Pellegrini va in vantaggio grazie al colpo da biliardo di El Zazzouli, che riceve, al limite dell’area, un pallone magico da Isco e calcia a incrociare, battendo Jorgensen. Nonostante la sicurezza del gol del vantaggio, i biancoverdi non smettono di pressare e proporre diverse manovre offensive nei minuti immediatamente successivi, con Bartra che arriva addirittura a sfiorare un clamoroso gol da 35 metri. Il Chelsea sembra essere sulle gambe, probabilmente per la tensione del momento e per un approccio alla gara non proprio sereno; dal 35’ in poi, però, la squadra di Maresca riesce a trovare un suo equilibrio e si difende egregiamente limitando i movimenti del Betis. Nel secondo tempo l’inversione di marcia è pressoché totale: i Blues cominciano a pressare e a proporsi insistentemente, fino ad arrivare ad un dominio totale. Al 65’ Palmer sale in cattedra, e dopo una gestione palla magistrale in mezzo al campo, fa partire un cross preciso per Enzo Fernandez, che si trasforma in un gigante e di testa buca Adriàn, riportando tutto in parità. Non passano neanche quattro minuti, e un’altra, magica, invenzione di Cole Palmer dall’out di destra trova in area Nicholas Jackson, che anticipa tutti e ribalta le sorti del match, portando avanti i Blues. Il Betis è in balia dell’onda blu che lo sta travolgendo, e il Chelsea, dal canto suo, è bravo ad approfittare degli errori avversari, soprattutto in fase difensiva. All’83’, un liscio di Sabaly favorisce Reece James, che stoppa il pallone e, con diverso tempo per prepararsi, calcia sul secondo palo e insacca il pallone all’incrocio dei pali, chiudendo la partita con un epilogo degno delle più belle favole. Nel recupero si unisce alla festa anche Caicedo, che dal limite dell’area calcia all’angolino basso, bucando Adriàn per la quarta volta e siglando il gol del definitivo 4-1, che manda in paradiso la squadra di Maresca.
Illusione
Per 65 minuti, il Betis ha creduto di potercela fare, di poter mettere piede nell’Olimpo dei vincitori Europei, portando un gioco convincente e aggressivo, che sembrava stare immobilizzando una delle regine del calcio inglese. Nonostante la volontà, la voglia e la speranza, il grande dispendio fisico, a lungo andare, si è rivelato un’arma a doppio taglio. Nel secondo tempo il crollo prestazionale è inevitabile, i Blues prendono il sopravvento e gli ultimi venticinque minuti non lasciano spazio ad interpretazioni. Il 4-1 finale è immagine di un Betis coraggioso, audace, ma che non è riuscito a reggere la richiesta fisica di un match per cui, il Chelsea, era sicuramente più preparato.
Calcio
Il Supercommento della 38ª giornata di Serie A

Con il weekend che si apre il 24 e si chiude il 26 maggio, giunge al termine anche questa stagione di Serie A che, come al solito, al suo atto conclusivo ha saputo regalarci diversi verdetti tra salvezza, accesso in Europa e, soprattutto, l’assegnazione dello Scudetto.
Ecco il commento completo, con la Top 11 alla fine, dell’ultima giornata di Serie A.
Napoli-Cagliari
Alla battuta finale di questo campionato, e con un’intera città al suo ascolto, il Napoli batte 2-0 il Cagliari con una prestazione di cuore e di squadra, e soprattuto con i due uomini simbolo di questo campionato, che portano in terra partenopea il quarto scudetto azzurro.
Como-Inter
Vincere a volte non è abbastanza. Con gli occhi costantemente puntati al Maradona, l’Inter batte il Como per 2-0, ma al triplice fischio viene pervaso dall’amarezza. Nonostante i tre punti, la vittoria del Napoli annulla ogni speranza dei nerazzurri, autori di un campionato assolutamente meritevole.
Bologna-Genoa (A cura di Tommaso Patti)
Doppietta all’esordio dal 1’, Venturino trascina e incanta il Genoa
La prima delle due partite dell’ultimo sabato di Serie A 202/4/25, vede sfidarsi Bologna e Genoa. Dopo la meritata ovazione ricevuta dai felsinei da parte dei propri tifosi dopo lo storico successo in finale di Coppa Italia contro il Milan, la gara comincia ma si dimostra subito in salita per la formazione di Vincenzo Italiano: dopo l’immediata occasione conclusa con il tiro a giro largo di Ndoye, il Genoa passa in vantaggio dagli sviluppi di un calcio d’angolo, che trova successo grazie alla rete di Vitinha su cross di Martin. La seconda rete in campionato dell’attaccante portoghese, oltre a mandare avanti il grifone, carica la squadra in virtù di una sfida molto importante, seppur le due squadre hanno già conquistato i propri obiettivi. Qualche minuto più tardi, il sole del Dall’Ara bacia i piedi di Venturino, schierato a sorpresa dal primo minuto da Vieira e autore di uno splendido gol dopo venticinque minuti. La commozione è tanta, ma il classe 2006 riesce a trasformarla in forza e, poco prima dell’intervallo, riceve palla da un ispiratissimo Vitinha e firma la sua prima e storica doppietta in Serie A. Con il risultato sullo 0-3, il Genoa abbassa i toni e lascia più spazio di giocata al Bologna. Nella ripresa, la squadra di Italiano prova in tutti i modi a rientrare in partita, andandoci vicino con il colpo di testa di De Silvestri, e accorciando le distanze con l’ennesimo gol capolavoro di Orsolini. Grazie al quindicesimo gol in questo campionato dell’ormai idolo indiscusso di Bologna, i padroni di casa giocano con più convinzione, ma sbattono più volte contro la difesa avversaria e pagano dazio con le diverse conclusioni imprecise, che non cambiano il parziale e fanno terminare la gara 1-3. Nonostante la sconfitta e il nono posto il Bologna può sentirsi pienamente soddisfatto del rendimento in campionato. Stesso discorso per il grifone, che mette in bacheca la decima vittoria in stagione e sale a quota 43 punti, concludendo la stagione ampiamente sopra la zona retrocessione.
Milan-Monza (A cura di Tommaso Patti)
Vittoria nel silenzio. Il Milan supera 2-0 il Monza
In una cornice calda e piena di tensioni, il Milan ospita un Monza già retrocesso. Durante la settimana sono state molteplici le contestazioni del tifo organizzato rossonero, nel mirino società e dirigenza. Il primo squillo della gara arriva dopo tre minuti, quando su un passaggio brillante di Rejnders, Joao Felix scatta in profondità e arriva alla conclusione, trovando però l’opposizione di Pizzignacco. Due minuti più tardi, su un calcio di punizione battuto da Pavlovic, Pizzignacco si supera e salva miracolosamente il Monza. Con il passare dei minuti, entrambe le squadre non riescono a prendere campo e a sorprendere l’avversario. Poco prima dell’intervallo, su un’azione prolungata di Pulisic, João Félix riceve palla e calcia da fuori aria, spedendo la sfera di poco a lato la porta difesa da Pizzignacco. Nella ripresa parte meglio il Milan, sfiorando due volte il vantaggio prima con Pulisic e poi con Chukwueze. Se nel primo tempo il Monza subiva svariate occasioni ma senza lasciare il totale dominio di gioco al Milan, dopo la traversa colpita da João Félix al 63º, la squadra di Nesta esce totalmente dalla gara. Un minuto più tardi, sugli sviluppi di un corner battuto da Chukwueze, Gabbia salta più in alto di tutti e spinge di testa il pallone in porta, trovando il gol del vantaggio a meno di mezz’ora dalla fine. A circa un quarto d’ora alla fine invece, è João Félix a regalare l’ultima “gioia” della pessima stagione del Milan, con un calcio di punizione preciso e angolato. L’ultima occasione pericolosa del campionato del Monza arriva sul colpo di testa di Akpa Akpro, conclusione pericolosa ma ribattuta da un ottimo riflesso di Maignan. Al fischio finale, entrambe le squadre salutano una stagione totalmente deludente e al di sotto delle aspettative. Se da una parte il Monza aveva già capito l’antifona della stagione, il Milan con il passare delle giornate ha perso sempre più certezze, soprattutto dopo gli ultimi due k.o. in finale di Coppa Italia col Bologna e nella trasferta persa contro la Roma, sconfitte che hanno dato la matematica certezza al Milan di non partecipare in nessuna competizione europea la prossima stagione.
Atalanta-Parma (A cura di Dennis Rusignuolo)
Una rimonta alla Chivu salva il Parma. Ondrejka e Hainaut ribaltano la Dea nel secondo tempo
Una serata dal carico emotivo indescrivibile, per l’ennesimo step di crescita di una realtà che migliora di anno in anno, come il miglior rosso presente in cantina. Al Gewiss l’Atalanta chiude la propria stagione e probabilmente chiude un ciclo irripetibile, perché il futuro di Gasperini va ancora decifrato ma sembra destinato a terminare, così come termina questa sera l’avventura orobica di Rafael Toloi. Lo storico capitano brasiliano, uno dei pilastri storici di questa squadra, ha scelto di tornare in Brasile e concludere la sua avventura italiana. Sotto gli occhi di un altro capolavoro tattico del Gasp, Hans Hateboer, l’Atalanta ospita un Parma alla ricerca del gran finale per concludere al meglio la stagione da neopromossa. Chivu mantiene stabile il blocco visto con il Napoli, quell’undici che ormai è un’emblema di solidità e praticità; dall’altra parte Gasperini rinuncia a Lookman e Zappacosta per dare continuità a Daniel Maldini e Marco Palestra, protagonisti nella precedente gara di Genova. Pronti, via, e il Parma è costretto a rivedere le proprie strategie. Mandela Keita subisce un colpo al ginocchio e deve alzare subito bandiera bianca, al suo posto dentro Bernabè. La prima occasione della gara è dei crociati, con Bonny che cerca di sfondare lateralmente con la sua qualità, il francese riesce anche a calciare, ma la botta è solo potente e Carnesecchi centralmente respinge. Il ritmo della partita è alto, e il Parma ci prova in tutti i modi, ma Carnesecchi alza il muro e chiude la porta. Alla mezz’ora emerge la Dea e si porta avanti: Bellanova accompagna l’azione, cerca in mezzo Retegui ma trova l’inserimento di Maldini sul secondo palo. Secondo gol consecutivo per Daniel Maldini, che non perde tempo per mettere in fondo al sacco anche il terzo sigillo. Dopo nemmeno sessanta secondi Retegui appoggia, forse involontariamente, all’indietro, Maldini arriva in corsa e calcia meravigliosamente a giro. 2-0 in meno di due minuti e partita in ghiaccio. La squadra di Chivu accusa terribilmente il colpo, e le offensive dei crociati perdono smalto con il passare dei minuti. Ciò che non perde pulizia e il tocco di Bonny, che sembra l’unico in grado di poter creare concretamente qualcosa nel Parma, e ci prova sempre il francese a dimezzare lo svantaggio, ma ancora una volta la porta è sbarrata. Due mosse per parte all’intervallo: Gasperini richiama Maldini e Palestra, sostituiti da Lookman e Posch; il Parma invece aumenta il peso all’attacco con Ondrejka e Hainaut per Hernani e Valeri. La mossa paga subito, dopo meno di quattro minuti: triangolo favorito dai due subentrati e Pellegrino, la difesa dell’Atalanta non chiude bene ed Hainaut sfonda la porta e riaccende la gara. La Dea ha subito l’occasione per rimettere due gol di vantaggio, ma Sulemana calcia malissimo a un passo da Suzuki. Gasperini opta per l’esperienza e la gestione di Ederson e Pasalic, entrati al posto di Sulemana e Brescianini. È un Parma nettamente più acceso, e trova il pareggio con l’altro subentrato: Ondrejka scatta alle spalle di Bellanova, si prepara il tiro e lo piazza alle spalle di Carnesecchi. Pareggio riacciuffato ed è un risultato pesantissimo visti i risultati degli altri campi. Pellegrino ha il pallone del 2-3 tra i piedi, ma Carnesecchi ancora una volta è formidabile nel chiudere lo specchio al centravanti del Parma. La salvezza si ufficializza al primo minuto di recupero, perché Chivu ancora una volta è riuscito a ribaltare tutto con i cambi: Bernabé allarga verso Ondrejka, lo svedese calcia bene con il sinistro, ma è la deviazione di Hien che manda fuori giri Carnesecchi e blinda la permanenza in Serie A dei crociati. Una salvezza conquistata dopo un percorso ricco di insidie e difficoltà. La gestione Chivu ha portato un vento nuovo a Parma, dopo che il ciclo Pecchia aveva raggiunto il suo termine, e il gioco cinico e pratico del romeno sono stati fondamentali per mantenere i crociati a debita distanza dalla retrocessione. Le varie rimonte perpetrate in questo finale sono merito di una lettura precisa della partita, in cui il Parma era andato spesso in svantaggio, ma grazie al coraggio delle idee e nella visione di Chivu, i crociati giocheranno ancora in Serie A. Sponda Atalanta si attendono aggiornamenti per il futuro di Gasperini, e a giudicare dagli striscioni dei tifosi Bergamo chiede a gran voce la permanenza dell’uomo che ha trascinato la Dea verso un paradiso sempre più limpido.
Venezia-Juventus (A cura di Dennis Rusignuolo)
La Juve vola in Champions grazie al rigore di Locatelli. Il Venezia saluta la Serie A
L’ultimo ostacolo per conquistare l’obiettivo prefissato. Tudor arriva al Penzo con quasi tutto il pacchetto difensivo acciaccato: ai soliti assenti Bremer e Cabal si aggiungono i problemi di Veiga e Gatti, recuperati ma non al meglio per poter cominciare dal primo minuto. La scelta del tecnico bianconero un reparto inedito: Kelly al centro, Alberto Costa alla sua destra e ancora una volta Savona sulla sinistra. Per il resto il blocco juventino è ormai il solito, e sono gli stessi che hanno battuto settimana scorsa l’Udinese. Il Venezia cerca l’ultima palina per ormeggiare la propria imbarcazione in Serie A, ma solo un gran risultato può permettere una salvezza che profumerebbe di impresa. La sconfitta di Cagliari ha fatto sprofondare la squadra di Di Francesco al penultimo posto, ma per la gara del Penzo i lagunari devono fare a meno del loro baluardo difensivo, perché manca Idzes per squalifica. In mezzo al campo DiFra sceglie Doumbia al posto di Kike Perez, mentre in avanti Yeboah fa coppia con Fila. Per l’ultima gara il tecnico del Venezia sceglie un attaccante di statura e sostanza al posto del doppio attaccante mobile, anche se la scelta è influenzata dal problema di Oristanio (recuperato in extremis per la panchina). Fin dal primissimo pallone giocato il Venezia prova a fare la voce grossa. Di Francesco cerca di smuovere le pedine bianconere con la costruzione dal basso, e la tattica è subito vincente: al secondo minuto la Juve è sfilacciata, il Venezia muove bene la palla sulla sinistra con Doumbia e Haps, cross dell’esterno e zampata vincente di Fila, al secondo gol in campionato. La Juve non perde tempo per reagire, e pareggia dopo sessanta secondi con una perla di Alberto Costa. Il portoghese calcia un missile in controbalzo che si insacca all’incrocio dei pali, ma il check del VAR riaccende l’entusiasmo del Penzo, perché nella preparazione del tiro Costa tocca la palla con il braccio. Lo shock è palpabile tra i bianconeri, che cercano di alzare il baricentro con un maggior possesso, ma il Venezia in mezzo al campo ha una marcia in più grazie alle geometrie di Nicolussi Caviglia. La notizia del vantaggio della Roma a Torino gioca a favore del Venezia, perché la Juve mentalmente è sconnessa, come si è mai vista dall’arrivo di Tudor, e i lagunari giocano sui nervi e sulle difficoltà dei bianconeri. Nel buio emerge il Diez, perché Yildiz rimette in equilibrio la gara: Cambiaso batte rapidamente la rimessa, si rifugia dal turco che pettina un paio di volte il pallone, prima di sistemarsi la sfera sul mancino e indirizzarla in fondo al sacco, con una sporcatura di Radu. Di colpo la partita si ribalta completamente, il Venezia non esce più e la Juve ne approfitta subito con Kolo Muani. Altra pressione alta dei bianconeri, questa volta fatta con i tempi giusti, Alberto Costa si getta in avanti e non permette l’intervento alla difesa lagunare, Kolo Muani raccoglie la sfera e incrocia, ancora una volta Radu tocca ma non basta. Alla mezz’ora la Juve torna avanti e rimette momentaneamente a posto le cose. La partita è molto tesa e nervosa, certificata dall’ammonizione per proteste di Tudor, ma anche dall’energia con cui le due squadre lottano su ogni pallone. Il Venezia viaggia a folate, e dopo il doppio schiaffo alza di nuovo il proprio baricentro per rintanare nella propria metà campo la Juve, che in questa prima frazione non ha ostentato particolare solidità e bilanciamento difensivo. Al 41′ Yeboah sfiora l’eurogol con il mancino, conclusione a giro praticamente perfetta che esce di poco alla destra di Di Gregorio. Si va all’intervallo con la Juve in vantaggio, e virtualmente in Champions League, ma al Penzo può succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Tudor sceglie subito Renato Veiga per la ripresa, sebbene il portoghese non sia al meglio la sua presenza è fondamentale per gli ultimi 45′. Fuori Alberto Costa, il cui primo tempo è stato un vero e proprio rollercoaster (gol annullato, ammonizione e serie di svarioni difensivi). Si riparte con il Venezia in avanti, ma la Juve ci mette grande qualità nell’uscita e nella gestione del pallone nella zona calda, e questo non permette ai lagunari di trovare molto spazio per attaccare, se non in ripartenza. La squadra di Di Francesco è più viva che mai, e trova il pareggio al minuto 57: Doumbia si getta in avanti, apparecchia all’indietro verso Haps che arriva in corsa e calcia male, ma una deviazione di Savona permette al pallone di insaccarsi sotto la traversa. Ancora una volta la Juve è costretta a ricostruire la propria qualificazione, anche perché da Torino arrivano notizie poco confortanti data la vittoria della Roma. Conceição va vicino al nuovo vantaggio dopo un solo minuto dal pari, ma il suo mancino termina di poco fuori. La squadra di Tudor sembra sulle gambe dopo il pareggio, incapace di reagire e spingersi stabilmente nella metà campo del Venezia. In contropiede i padroni di casa sfiorano il nuovo vantaggio con Haps, che termina in quell’azione la benzina ed esce tra gli applausi di tutto il Penzo. Al suo posto entra Kike Perez, e nel frattempo DiFra sceglie Gytkjaer al posto di Fila. Al 70′ Di Gregorio salva miracolosamente su Doumbia, e sul ribaltamento Conceição salta Nicolussi Caviglia e viene colpito dallo stinco del centrocampista, calcio di rigore. Dagli undici metri si presenta Manuel Locatelli, che apre il piatto e la piazza all’incrocio dei pali. Freddezza e leadership assolute per il capitano bianconero, che ha preso in mano il pallone più pesante della stagione e l’ha insaccato alle spalle di Radu per la terza volta. Le sostituzioni di Tudor arrivano allo scoccare del 75′: fuori Kolo Muani e Cambiaso, dentro Vlahovic e McKennie; Di Francesco risponde con Oristanio e Marcandalli. Locatelli sfiora il match-point con il destro a giro, palla che si avvicina all’incrocio dei pali ma non scende abbastanza. L’intento di Tudor è chiaro: smorzare il ritmo del Venezia con le sostituzioni, e restituire atletismo e brillantezza fisica con i nuovi ingressi. Il croato sostituisce Nico Gonzalez con un centometrista come Weah e compatta la difesa e il blocco centrale. Di Francesco sceglie Maric come ultima mossa, e per rispondere ai centimetri dell’attaccante croato, Tudor sceglie Gatti. Il difensore italiano entra al posto di Conceição, uscito con i crampi, e si affianca a Renato Veiga per blindare la zona centrale della difesa. Nel recupero mezza Juve è in preda ai crampi, si corre e si difende con tutte le ultime energie rimaste, anche se il Venezia non impensierisce Di Gregorio. Lacrime da una parte e dall’altra, perché la Juve riesce a concludere al quarto posto in campionato, conquistando l’ultimo posto disponibile per la Champions League. Il rigore decisivo di capitan Locatelli regala a Tudor la prima vittoria in trasferta, la più importante e la più preziosa. Il Venezia saluta la Serie A dopo una sola stagione, e le lacrime di Eusebio Di Francesco sono l’emblema di una squadra che ha lottato fino all’ultimo con un proprio ideale calcistico e con coraggio spropositato, ma non è bastato per mantenere la categoria. Adesso per la Juve si aprono le porte della Champions League, anche se l’estate bianconera sarà riempita dal mondiale per club. Alla guida ci sarà sicuramente Igor Tudor, che è riuscito a conquistare l’obiettivo prefissato, in futuro…chissà!
Udinese-Fiorentina
La Fiorentina chiude la pratica, Palladino si prende la Conference all’ultimo respiro
Al Bluenergy Stadium l’Udinese, ormai certa della salvezza da diverse giornate, ospita la Fiorentina di Palladino, che riesce, all’ultimo respiro, a conquistare l’ultimo spot disponibile per l’Europa, accedendo così alla prossima edizione di Conference League. Poco dopo la metà del primo tempo, la squadra di Runjaic trova il gol del vantaggio, grazie ad una precisa conclusione rasoterra di Lucca che, dal centro dell’area, beffa De Gea per la gioia dei tifosi di casa. Pochi istanti dopo la viola prova a farsi vedere con Kean, la cui conclusione termina alta, per poi rimanere in superiorità numerica a causa dell’ ingenuità di Bijol che entra duramente in scivolata su Pablo Marì procurandosi così il secondo giallo. Nel secondo tempo la Fiorentina scende in campo con una mentalità totalmente diversa, e sin dal primo minuto arremba sulla fascia destra con Dodò, il cui cross pesca Fagioli, che, dopo ben tre tentativi consecutivi da fuori area, riesce finalmente a battere Okoye, trovando il gol del pareggio. Dieci minuti dopo arriva il gol che ribalta la partita: dopo la grande discesa sulla fascia di Richardson, il pallone arriva a Beltran, che colpisce di tacco e batte nuovamente Okoye, preso in controtempo. I friulani però non mollano e riescono, al 60′ spaccato, a trovare il gol del pareggio su situazione di corner, sulla quale, nella mischia in area di rigore, Kabasele sbuca trovando la rete del pareggio. Dopo ciò, l’assedio viola si intensifica, per la necessità dei tre punti e la voglia di entrare nella zona europea. Le occasioni sono diverse, ma non particolarmente lampanti, con i tentativi di Kean e di Gudmundson, appena entrato. All’82’ però, la fortuna arride alla viola, che con Kean, e favorita da una deviazione, riesce a trovare il gol vittoria a pochi minuti dalla fine. Palladino, alla fine dei giochi, riesce a conquistare l’accesso in Conference, mentre Runjaic, alla sua prima stagione in Serie A, conquista una salvezza tranquilla, con l’augurio di poter fare qualcosa di più l’anno prossimo.
Lazio-Lecce
Fortezza Salentina, un Lecce stoico batte la Lazio e conquista la salvezza
La squadra di Giampaolo giunge all’Olimpico con l’unico obiettivo di vincere, per portare a casa una salvezza che saprebbe di storia. Nella battaglia dell’Olimpico, i Salentini si salvano e conquistano, per la prima volta, la terza salvezza consecutiva, guadagnandosi così il diritto di partecipare al campionato di Serie A per il quarto anno di fila. Per quasi tutto il primo tempo, il match affronta una fase di stallo, con le due squadre che appaiono restie dall’affondare il colpo. Al 43′, però, il Lecce prende coraggio, e con un incursione coraggiosa di Lassana Coulibaly, che si avventa sul pallone, riesce a siglare il gol del vantaggio che trascina i Salentini al di fuori della zona retrocessione. Nei tre minuti di recupero, la Lazio, inizialmente, va vicina al pareggio con la botta di Castellanos, salvata da Falcone, e poi si ritrova un superiorità numerica a causa dell’espulsione di Pierotti per somma di ammonizioni, che lascia i giallorossi in dieci uomini nel momento più delicato della partita. Nel secondo tempo, inevitabilmente, il dominio biancoceleste é pressoché totale, ma il Lecce non demorde. La squadra di Baroni, specialmente sulla fascia di sinistra, crea tantissime occasioni grazie alle sgasate e alle invenzioni di Nuno Tavares, che spesso pesca dei compagni in area , i quali trovano sempre l’opposizione di uno straordinario Falcone. Al 79′, su un meraviglioso cross di Pellegrini, Vecino si avventa sul pallone e scheggia l’incrocio. Ci prova diverse volte Pedro, ci prova anche Guendouzi, ma i biancocelesti non riescono a trovare la via del gol. Il Lecce si difende egregiamente e, sullo scadere, arriva anche il rosso per Romagnoli, che commette un fallo di nervosismo e viene punito con il rosso diretto dal direttore di gara. Si conclude così il campionato arduo del Lecce, che conquista la salvezza, così come si conclude anche quello della Lazio, che nel corso dell’anno é stata davvero troppo discontinua, dovendo così pagare il prezzo dell’esclusione dalle competizioni europee.
Empoli-Hellas Verona
Rammarico Azzurro, l’Empoli retrocede in Serie B per mano di un crudele Verona
In un Castellani gremito più che mai, l’Empoli giunge all’atto conclusivo di questa stagione come uno dei grandi fallimenti. In Zona Retrocessione piena, la squadra di D’Aversa arriva all’ultima giornata con il compito di accaparrarsi l’ennesima salvezza insperata, contro un Verona determinato, nonostante tutto, a vincere. In appena tre minuti e venti il Verona riesce a sbloccarla: la rimessa laterale battuta da Tchatchoua arriva, alla fine, tra i piedi di Serdar, che dal limite dell’area calcia e buca un imperfetto Vasquez, portando avanti l’Hellas, subito arrembante. Con due calci di punizione di Esposito e un tiro dalla distanza di Fazzini, abbastanza insidiosi, l’Empoli impensierisce e non poco Perilli, la cui porta viene finalmente violata al 43′, quando la respinta proprio dell’estremo difensore scaligero finisce sui piedi proprio di Fazzini, che in tuffo arriva sulla sfera e, pizzicando la traversa, insacca il gol del pareggio che rialza il morale azzurro. Il secondo tempo comincia esattamente come il primo, nonostante un atteggiamento leggermente più conservatore da parte di entrambe le compagini, il Verona gestisce il gioco e, al 69′, arriva il gol del 2-1. Un ennesimo cross di Tchatchoua dal settore destro del campo pesca l’inserimento di Bradaric, che, totalmente da solo, batte Vasquez e riporta avanti l’Hellas per quello che sarà il definitivo 2-1. Negli istanti conclusivi del match, com’è ovvio che sia, l’Empoli prova un forcing disperato, cercando la conclusione da qualsiasi angolo e con qualsiasi soluzione, senza però riuscire a trovare la via del gol e venendo così condannato ad un’amara e, per quelle che erano le premesse di inizio stagione, inaspettata e crudele retrocessione, per mano di un Verona che vince e si salva matematicamente all’ultima giornata.
Torino-Roma
L’ultima danza di Ranieri é perfetta, ma invano. Niente Champions per i giallorossi.
All’Olimpico grande Torino, Toro e Roma arrivano per mettere un sigillo definitivo alla stagione 2024/2025. L’ultima danza di un meraviglioso Claudio Ranieri va in pista con l’obbligo di vincere, sperando in quella che sarebbe una clamorosa debacle della Juventus per una qualificazione in Champions apparentemente impossibile ad inizio stagione. I Giallorossi partono subito forte e nei primi cinque minuti un palo esterno di Shomurodov e una traversa alta scheggiata da Paredes spaventano la squadra di Vanoli. Al 15′ minuto Saelemekers viene stesso al limite dell’area e l’arbitro assegna il tiro dagli undici metri alla Roma, perfettamente realizzato da Paredes per il gol sell’1-0, quasi raddoppiato, pochi istanti dopo, da un tiro di Koné ironicamente salvato da Shomurodov che devia in rimessa dal fondo. Né nel primo, né nel secondo tempo, il Torino sembra scendere il campo, lasciando il pallino del gioco totalmente nelle mani dei giallorossi, che al 53′ ne approfittano raddoppiando con Saelemekers, che, totalmente da solo, viene pescato da Soulé con un cross precisissimo, che gli consente di colpire di testa spiazzando Milinkovic-Savic. Al 65′ Soulé viene raggiunto con un lancio lungo sull’out di destra e, rientrando, cerca un sinistro a giro, che però si infrange sulla traversa scheggiandola e mantenendo il risultato invariato. Nel quarto d’ora finale il Torino prova timidamente a farsi vedere, ma un paio di semplicissimi interventi di Svilar fanno svanire ogni speranza, con la Roma che torna ad attaccare. A circa sette minuti dal termine Cristante sigla anche il gol del 3-0, annullato però per il fuorigioco iniziale di El Shaarawy che viene punito. Dopo il triplice fischio, l’Olimpico Grande Torino si scioglie in un “abbraccio” per Claudio Ranieri, inquadrato, nel finale di gara, durante un emozionante abbraccio con Paulo Dybala. A lui il merito di aver portato, molto vicino alla Champions League, una Roma che ad inizio stagione pareva disastrata, compiendo, così, l’ultimo dei suoi grandi miracoli.
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