Calcio
Il Supercommento della 27ª Giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top11 alla fine, della ventiseiesima giornata di Serie A.
Fiorentina – Lecce (A cura di Tommaso Patti)
Sotto il segno di Gosens. La Fiorentina si rialza e batte di misura il Lecce
Dopo tre sconfitte di fila, la viola approda il match in maniera aggressiva, nel tentativo di superare un Lecce anch’esso in piena difficoltà. L’approccio tattico degli uomini di Palladino permette ai padroni di casa di attaccare l’area di rigore di rigore avversaria con tanti uomini, situazione che va a favore della Fiorentina già al nono minuto, quando su un cross di Dodò, Robin Gosens salta più in alto di tutti anticipando la difesa salentina, insaccando il pallone alle spalle di Falcone e trovando la sua terza rete in stagione. Dopo un inizio conservativo, il Lecce prova a rimettere il risultato in parità, sfiorando il gol con Krstovic e Karlsson, quest’ultimo privato della gioia del gol da un’uscita superlativa di De Gea. Dopo una prima frazione giocata ad alti livelli, la prima parte della ripresa vede entrambe le squadre giocare con un ritmo meno elevato. Al 72’, su un calcio battuto da Fagioli, la Fiorentina reclama un calcio di rigore per un fallo di manco di Pierret, intervento giudicato irregolare da Marianelli. Dagli undici metri si presenta Beltran che spiazza Falcone, ma colpisce il palo, sciupando un enorme opportunità per indirizzare definitivamente la partita. Due minuti più tardi, la Fiorentina sfiora nuovamente il goal del raddoppio con la conclusione al volo di Dodò che però termina di poco a lato la porta di Falcone. A cinque dalla fine, grazie ad un calcio di punizione battuto da Fagioli e guadagnato da Ndour, la Fiorentina colpisce la traversa con Beltran, situazione che però innesca una ripartenza del Lecce che però viene sprecata dal tiro troppo largo di Danilo Veiga. Nei minuti finali di gara, il Lecce si rivolta totalmente nell’area di loro avversaria per trovare disperatamente la rete del pareggio, situazione che anche in questo caso innesca numerose ripartenze avversarie, tutte concluse con dei tiri fuori dallo specchio della porta, come nel caso di Guðmundsson. Nonostante i quattro minuti di recupero assegnati, a causa di crampi e check al VAR per un possibile rigore per i giallorossi, il direttore di gara fischia a ridosso del 96º scatenando nei tifosi, nell’allenatore e nei giocatori numerose proteste, placate indirettamente da una vittoria che la Fiorentina mancava da tre giornate e che permette i viola di mantenere una solida posizione in classifica con ottica Europa.
Atalanta – Venezia (A cura di Marco Rizzuto)
Tante occasioni ma poco cinismo, al Gewiss termina a reti bianche.
Al Gewiss Stadium non si va oltre lo 0-0 nonostante le diverse occasioni da gol per entrambe le squadre. La prima vera scintilla della gara passa dai piedi del solito Lookman che, nonostante gli screzi con Gasperini, ha dimostrato in campo il suo grande valore e la sua professionalità; al 20′ il nigeriano si gira in un fazzoletto dell’area di rigore ma calcia al lato del primo palo. I padroni di casa mantengono il pallino del gioco, ma il Venezia si chiude bene ed è attento nelle ripartenze, Zerbin innescato al 24′ calcia alto spaventando i bergamaschi. Il primo tempo tuttavia vede soltanto la squadra di Gasperini in campo. A cinque dalla fine Zappacosta stampa il pallone sul palo, non finalizzando il geniale assist col tacco di Lookman. Gli sgoccioli della prima frazione fanno rabbrividire i tifosi di casa a causa dell’amnesia difensiva dello stesso Zappacosta: l’ex Chelsea lascia sfilare il pallone scodellato da Nicolussi Caviglia favorendo Zerbin che con un tocco sotto tenta di ingannare Carnesecchi, l’estremo difensore sventa la minaccia con una smanacciata efficace. La ripresa vede ancora una volta l’Atalanta flirtare col vantaggio, stavolta è Retegui a sprecare e calciare alto sul cross basso di Cuadrado, dopo appena quattro minuti di gioco. All’0ra di gioco Gasperini decide di cambiare la formazione titolare, inserendo Bellanova e Maldini al posto di Cuadrado ed uno spento Charles De Ketelaere, ma l’andazzo del match non cambia. Poco dopo il Venezia sfiora il clamoroso vantaggio con il neo entrato Yeboah, l’ecuadoriano da pochi passi calcia a botta sicura ma Carnesecchi s’invola e blinda la porta bergamasca. Sul finale i ritmi calano e la Dea sembra essersi rassegnata al pari, ma all’82’ arriva l’ultima vera palla gol a favore dei padroni di casa: dalla bandierina la palla spiove verso Kolasinac che riesce ad allungare per Lookman che da pochi passi calcia alle stelle, sotto gli occhi increduli del suo pubblico. Al triplice fischio si sente il malcontento generale dei nerazzurri, perdendo l’occasione di guadagnare terreno per la lotta scudetto. Il Venezia resiste all’arrembaggio bergamasco portando a casa un punto importante in ottica salvezza.
Napoli – Inter (A cura di Dennis Rusignuolo)
Il tanto atteso match scudetto termina tra applausi e sciarpate. Una gara intensa dal primo all’ultimo minuto, con l’Inter che aveva trovato il vantaggio con una magia di Federico Dimarco da calcio piazzato. Nella ripresa il Napoli riesce a reagire, approfitta di una serie di incomprensioni dei nerazzurri e nel finale Billing rimette in equilibrio la gara
Udinese – Parma (A cura di Marco Rizzuto)
L’Udinese festeggia ancora dal dischetto, per la prima volta grazie a Thauvin
L’Udinese trionfa per la terza volta consecutiva, stavolta è Thauvin a deciderla dal dischetto. Il Bluenergy ospita il Parma, squadra alla ricerca di risposte dopo la vittoria casalinga contro il Bologna. L’avvio però, vede l’inizio arrembante della squadra di Runjaic che sfiorano il vantaggio in diverse occasioni nei primi venti minuti. Thauvin si dimostra l’arma in più dei bianconeri, il francese si distingue per la sua abilità palla al piede e tutte le occasioni più importanti passano dai suoi piedi. Superata la mezz’ora, il francese col dieci sulle spalle lacera la difesa emiliana rientrando al limite sul suo mancino e calciando verso la porta ma, il pallone deviato con il braccio largo da Balogh costringe l’arbitro ad assegnare il tiro dagli undici metri dopo un rapido controllo al VAR. In questo frangente si chiudono definitivamente le polemiche della settimana scorsa sulla vicenda Lucca. L’ex Pisa infatti consegna il pallone proprio al francese prendendosi gli applausi dei suoi tifosi. Dal dischetto Thauvin non sbaglia nonostante Suzuki abbia intuito l’angolo, portando avanti i suoi. Nei primi attimi della ripresa Man viene lanciato in profondità e Padelli compie un vero miracolo sulla conclusione del rumeno. Il secondo tempo è un carosello di occasioni clamorosamente fallite: al 70′ Thauvin calcia fuori un rigore in movimento che avrebbe chiuso i giochi mentre per i crociati, Almqvist supera in uno contro uno Padelli ma la conclusione è debole e Solet riesce a deviare il pallone in calcio d’angolo. Negli ultimi minuti il Parma tenta il tutto per tutto ma l’Udinese tiene botta e blinda i tre punti che li rilanciano al decimo posto in classifica. Sconfitta amara per il Parma che si ritrova tra Lecce ed Empoli ad una sola lunghezza dalla zona rossa della classifica. L’infortunio di Djuric ha sicuramente complicato le cose e al momento Bonny non sembra essere in forma per guidare l’attacco crociato in questa lotta alla salvezza.
Monza – Torino (A cura di Simone Scafidi)
Monza nel baratro, prima gioia per Casadei
All’UPower Stadium il Torino fa la voce grossa e batte il Monza, sempre più ultimo. La squadra di Vanoli, sin da subito, non lascia spazio alla costruzione biancorossa e già al quinto minuto un tiro a incrociare di Casadei impensierisce Turati. Alla stessa maniera calcia anche Keita Balde, che torna a calcare i campi di Serie A senza però trovare il gol. Il dominio granata continua, e comincia a dare i suoi segnali in maniera sempre più intensa, fino ad arrivare al gol di Elmas, che al 41’ calcia di controbalzo sul cross di Lazaro e porta in vantaggio il Toro. Nel secondo tempo la storia non cambia e i granata provano a mettere le cose in chiaro sin dai primi minuti, ancora Casadei calcia in maniera complessa ma tira fuori una traiettoria insidiosa che impegna e non poco Turati, abile nel mandare il pallone in corner. In fase offensiva, il Monza risulta troppo timido e non riesce a concretizzare nemmeno quelle poche occasioni che gli capitano tra i piedi. In mezzo al campo, Vlasic guida le numerose ripartenze del Torino, dalle quali nascono delle azioni particolarmente insidiose. Proprio da una di queste, arriva il primo gol in Serie A di Casadei, che raccoglie un pallone vagante e calcia forte in porta, spiazzando totalmente Turati. Dopo il 2-0, che chiude definitivamente la partita, il Torino difende in maniera semplice ma efficace il risultato, ipotecando i tre punti e spedendo il Monza in un buio sempre più profondo.
Bologna – Cagliari (A cura di Marco Rizzuto)
Orsolini guida la rimonta affondando il Cagliari
Il Renato Dall’Ara ospita con grande entusiasmo il match che vede il Bologna in piena corsa per un posto in Champions dopo il successo contro il Milan. Sin dai primi minuti, i padroni di casa schiacciano sull’acceleratore, andando vicino al vantaggio con Calabria che manca la porta di qualche centimetro con una botta dalla distanza. L’occasione più clamorosa arriva al primo quarto d’ora su calcio d’angolo, Erlic stacca di testa sul secondo palo, ma sia Castro che Fabbian non riescono a spedire in rete e la palla termina sul fondo. Alla prima vera occasione, gli ospiti vanno a segno mettendo la strada in salita per il Bologna: Augello pennella per l’inserimento perfetto di Piccoli che, al limite dell’area piccola stacca di testa bucando Skorupski. Nonostante un primo tempo ricco di occasioni e giocato ad alta intensità il Bologna si ritrova ad inseguire, ma la musica cambia ad inizio secondo tempo. Cambiaghi viene atterrato da Felici e l’arbitro assegna il penalty trasformato da Orsolini che, rimette tutto in parità e scatena la carica dei tifosi di casa. Come preannunciato, il Bologna prende sotto assedio la metà campo ospite alla ricerca del gol che ribalterebbe tutto. Al 54′ Caprile si rende protagonista con una parata dal coefficiente di difficoltà elevatissimo, mantenendo il risultato in parità. Un minuto dopo però, il Bologna completa la rimonta con Riccardo Orsolini che approfitta della dormita colossale della difesa sul cross basso di Cambiaghi e appoggia in rete. Gli ultimi minuti non regalano particolari occasioni e l’arbitro fischia la fine sotto i cori del tifo rossoblù che sognano un secondo piazzamento consecutivo in Europa. Il Cagliari cade nuovamente e rimane al quindicesimo posto a pari punti col Lecce.
Genoa – Empoli (A cura di Simone Scafidi)
Un punto a testa e poche emozioni, Genoa ed Empoli si equivalgono
A Marassi termina 1-1 il match tra Genoa ed Empoli, che lascia più contenti gli azzurri, che guadagnano un punto in ottica salvezza. I primi minuti sono a tinte azzurre. Al quarto d’ora, un insidioso cross di Pezzella attraversa tutta l’area di rigore e viene incredibilmente salvato da Martin, che anticipa ed evita l’intervento di Gyasi. Venti minuti più tardi, la squadra di D’Aversa va in vantaggio con il gol di Grassi, che calcia da dentro l’area e batte tutta la difesa rossoblu. Nel secondo tempo, il Genoa parte male e un errore grossolano di Leali rischia di costare ai suoi il doppio svantaggio. La squadra di Vieira sembra essere in balia del suo avversario, e Vasquez e Martin ergono una muraglia ed evitano diverse volte il raddoppio azzurro, in particolare su un’azione al 60’ di Esposito, che viene murato dal difensore messicano, che all’81’, con una conclusione al volo e con la grande complicità di Silvestri, riesce a trovare il gol del pareggio, nonostante l’Empoli avesse sfiorato nuovamente il pareggio pochi istanti prima con Cacace, pericoloso su punizione. Senza altre particolari occasioni, la partita si conclude, portando un punto a testa nelle tasche di Genoa ed Empoli.
Roma – Como (A cura di Marco Rizzuto )
Rimonta a tinte giallorosse, Ranieri prosegue la scalata.
All’Olimpico la gara fa fatica a sbloccarsi, al 9′ Kempf non trova la porta di testa sul traversone a rientrare di Da Cunha. Si assiste ad una partita molto combattuta, tanti duelli in mazzo al campo e poche azioni da gol. A pochi minuti dal duplice fischio il Como passa avanti con Da Cunha, il centrocampista francese viene servito in corsa da Perrone e calcia indisturbato, approfittando dell’indecisione di Mancini e indirizzando la gara. Alla ripresa Ranieri ridisegna l’undici titolare, inserendo El Shaarawy e Dovbyk. In questo secondo tempo la Roma sembra molto più spigliata e il pari non tarda ad arrivare, all’ora di gioco i giallorossi rientrano in partita con il solito Saelemaekers, sempre più trascinatore dei giallorossi. L’esterno belga dopo il duetto con con Celik va in rete dopo la deviazione decisiva sotto la traversa. Dopo il gol la Roma si trasforma, le squadre si allungano e diventa più semplice per i giocatori di Ranieri trovare il suggerimento verticale. Tra i giocatori più ispirati del secondo tempo, Paulo Dybala, che al 62′ nel tentativo di imbucare per Dovbyk viene trattenuto eccessivamente da Kempf, fallo che costa il doppio cartellino giallo e l’espulsione del giocatore. Ad un quarto d’ora dalla fine la Roma passa avanti con un’azione illuminata dal lancio lungo di Cristante, il cross al volo di Rensch e la zampata -sempre di prima- di Dovbyk, che fa esplodere l’Olimpico. Sul finale la Roma si salva grazie ad un intervento prodigioso di Svilar che, da terra riesce a neutralizzare la conclusione di Cutrone. Con questa quarta vittoria consecutiva, la Roma scavalca il Milan e raggiunge quota 43 punti piazzandosi all’ottavo posto. Il Como perde l’occasione di allungare sulla zona retrocessione e rimane inchiodato alla tredicesima posizione a 28 lunghezze.
Milan – Lazio (A cura di Simone Scafidi )
Gelo a San Siro, Pedro la decide all’ultimo secondo
Nel posticipo della domenica sera, Milan e Lazio si affrontano in una sfida che vale la corsa Champions. La squadra di Baroni non si lascia intimorire e, già dal secondo minuto, intimoriscono la difesa rossonera: in contropiede parte Dia che si trova a tu per tu con Maignan ma viene fermato dall’estremo difensore francese, che spedisce in calcio d’angolo. Appena tre minuti dopo ad essere pericolosa è sempre la Lazio, con il cross pericoloso di Nuno Tavares chiuso in calcio d’angolo. Circa al ventesimo minuto, il Milan prova timidamente a reagire, con un tiro di Reijnders respinto da Provedel. Al 28’ minuto arriva il vantaggio biancoceleste, con Marini che incrocia costringendo Maignan alla respinta, con il pallone che rimane vagante e sul quale si avventa Zaccagni, che sigla il gol del vantaggio. Nel secondo tempo il Milan emerge un po’ e riesce ad uscire la testa. Al 51’ arriva la prima grande occasione per Joao Felix, che da dentro l’area non inquadra però la porta e calcia alto. Il momento “sliding doors” del match arriva al 67’, con Isaksen che vola verso la porta rossonera in contropiede e viene atterrato da Pavlovic, che viene direttamente espulso dal direttore di gara, lasciando i suoi in dieci uomini. Nonostante l’i feriortia numerica, la squadra di Conceicao trova la forza di reagire, con una palla visionaria di Leao che trova Chukwueze all’interno dell’area di rigore, che colpisce di testa e buca Provedel, trovando così il gol del pareggio. Nel momento migliore del Milan, la Lazio trova una breccia nel buio e a quaranta secondi dalla fine riesce a procurarsi un calcio di rigore a causa dell’uscita fallosa di Maignan su Isaksen. Sul dischetto si presenta Pedro, che spiazza il portiere rossonero e porta in casa Lazio tre punti pesantissimi in ottica Champions, che compormettono ancor più seriamente la stagione del Milan. Tra i fischi di San Siro, le squadre escono dal campo in due situazioni psicologiche totalmente diverse.
Juventus – Hellas Verona (A cura di Dennis Rusignuolo)
Thuram e Koopmeiners nella ripresa. Il sogno scudetto bianconero rimane attivo.
Attacco totale fin dai primissimi minuti, questa la ricetta di una Juventus che ha l’obbligo di ritrovare la fame giusta per dare una svolta alla stagione. Il Verona ostenta pragmatismo e compattezza, e la squadra di Thiago Motta cerca di piazzare subito le tende nella metà campo scaligera. Il primo squillo della gara è un mancino al volo di Locatelli, palla alta sopra la traversa di Montipò. In campo aperto la squadra di Bertolini (vice di Zanetti, assente per squalifica) riesce però a trovare i centimetri degli attaccanti, e Suslov impegna Di Gregorio con un destro forte e basso, intervento plastico dell’estremo difensore bianconero. Il silenzio dello Stadium (in aperta contestazione con la squadra per gli ultimi risultati) aumenta il peso della gara, il Verona sembra poter giostrare a suo piacimento l’agonismo della gara, ma introno al quarto d’ora la Juventus si riaffaccia dalle parti di Montipò. Prima Gatti sfiora il gol con una conclusione strozzata da dentro l’area, poi Montipò smanaccia in maniera provvidenziale un destro piazzato di Thuram, ottima costruzione dei bianconeri con McKennie abile nell’agire da pivot e liberare lo spazio al francese, poco freddo al momento della conclusione. La doppia occasione accende in serie prima lo stadio e poi i giocatori, e il fraseggio della Juve comincia a essere fluido e ritmato, sponda Hellas invece si ritorna alla difesa estrema della porta di Montipò. Al 35′ la Juventus si vede negare il vantaggio: calcio di punizione di Yildiz, cross morbido e diretto verso la porta, Kelly ostacola l’estremo difensore scaligero e McKennie insacca di testa, calcio di punizione per il Verona a causa del contatto tra il difensore bianconero e Montipò. Le offensive bianconere si sviluppano tutte sulle triangolazioni rapide tra i giocatori, come quella che porta Locatelli alla conclusione dentro l’area, respinta di Montipò, che si ripete subito dopo su una conclusione potente ma centrale di McKennie. Nell’ultima azione del primo tempo, al tramonto del miglior primo tempo per tiri e tocchi in area avversaria da parte dei bianconeri in questo campionato, il Verona trova la clamorosa rete del vantaggio, conclusione pazzesca di Suslov che stampa il pallone sulla traversa e in fondo al sacco. Lo Stadium comincia subito a mugugnare, ma si regala un momento di gioia al momento dell’annullamento del vantaggio scaligero, a causa di una posizione di fuorigioco di Faraoni. Due cambi all’intervallo, entrambi sponda Hellas: fuori Dawidowicz e Faraoni, dentro Ghilardi e Oyegoke. Nessun cambio invece da parte della Juve, che cerca di mantenere alto il ritmo come fatto nel corso della prima frazione. Stesso copione del primo tempo, stesso esito al minuto 49: ottimo sviluppo verticale della Juve, Locatelli lascia sfilare alle spalle verso Kolo Muani, rasoiata mancina del francese e parata con il piede da parte di Montipò, senza alcun dubbio il migliore in campo. Meno equilibrio e squadre più aperte e spezzettate, questa situazione permette alla Juve di avere più spazio per costruire l’azione offensiva ma il Verona cerca di fare la voce grossa. Altra sostituzione, tutt’altro che conservativa, è quella di Livramento, sostituito da Bernede (match-winner nella gara di domenica scorsa contro la Fiorentina). Questa volta anche Thiago Motta muove il suo scacchiere, fuori McKennie e Weah, dentro Koopmeiners e Alberto Costa. Esordio in Serie A per il terzino portoghese, che aveva mosso i primi passi in maglia bianconera nella gara di Coppa Italia contro l’Empoli. Il numero 2 prova a presentarsi subito nel migliore dei modi, con una rasoiata al volo da fuori area, palla che termina di poco a lato. La girandola di cambi rallenta il ritmo e la lucidità offensiva della Juve, mentre il Verona continua a mostrare uno spirito di abnegazione assoluto, evidenziato dalle mille corse in avanti di Suslov, utili nel riportare l’Hellas in avanti e far ripiegare la Juve indietro. Al 71′ la Juve trova il vantaggio: fraseggio ragionato e paziente dei bianconeri, il giro palla isola Cambiaso sulla parte sinistra, Locatelli lo pesca perfettamente e il terzino italiano appoggia all’indietro, Thuram arriva in corsa e calcia di controbalzo, vantaggio Juve con l’uomo del momento (secondo gol consecutivo dopo la perla in Coppa Italia). Dopo il meritato vantaggio, la squadra di Thiago Motta cerca di gestire al meglio il possesso palla e intanto si rinforza dalla panchina: Vlahovic e Mbangula rilevano Kolo Muani e uno stremato Yildiz. A un giro d’orologio dal novantesimo il Verona sbaglia il rilancio e la Juve ne approfitta: rilancio sbagliato di Montipò, Mbangula (che aveva guidato la pressione sul portiere) verticalizza subito verso Koopmeiners, controllo e rasoiata di destro sul primo palo alle spalle di Montipò. Partita in ghiaccio e vittoria che adesso riaccende un nuovo scenario, quello del primo posto. Serviva una reazione a tutto tondo dopo la brutta eliminazione in Coppa Italia, e la Juventus reagisce e domina un Verona tutt’altro che sparagnino. Ottima prestazione dei bianconeri, soprattutto dal punto di vista dell’intensità e della pressione, anche se la gara rischiava di prendere l’ennesima brutta piega con la rete annullata a Suslov all’intervallo. Sei punti dall’Inter capolista, la missione scudetto della Juve comincia adesso. Sconfitta tutto sommato giusta per l’Hellas Verona, al termine però di una prestazione ricca di abnegazione e spirito di sacrificio. Nel secondo tempo le sostituzioni hanno fatto la differenza nel quadro tattico della gara, condannando il Verona a una sconfitta che non inguaia l’undici di Zanetti, distante quattro punti dal terzultimo posto.
LA TOP11 DELLA 27ª GIORNATA:

Grafica: Julya Marsala
Calcio
Spalletti saluta con una vittoria, ma l’Italia non gira. 2-0 a Reggio Emilia tra mugugni e difficoltà

L’Italia vince in casa contro la Moldova e cerca di recuperare il gap con la Norvegia. La pesante sconfitta di Oslo lascia i propri strascichi, con Luciano Spalletti che lascia la panchina della nazionale con una vittoria troppo stretta e ostica, sigillata dai due gol di Raspadori e Dimarco.
Le scelte per l’ultima di Spalletti
Dopo la figuraccia di Oslo, Luciano Spalletti è stato sollevato dall’incarico di commissario tecnico. Ha del surreale l’annuncio di tale notizia, comunicata proprio dallo stesso Spalletti in conferenza stampa, seguita dall’annuncio della sua presenza in panchina per questa gara. Per la sua ultima panchina in Azzurro, Spalletti non stravolge la formazione, ma si limita a qualche cambio. Tornano Cambiaso e Dimarco negli esterni, mentre in difesa fa il suo esordio assoluto il capitano della Fiorentina, Luca Ranieri.
ITALIA: Donnarumma, Di Lorenzo, Bastoni, Ranieri, Cambiaso, Frattesi, Ricci, Tonali, Dimarco, Raspadori, Retegui.
Il Mapei Stadium cerca di mascherare questa cornice surreale, e fin dai primi minuti il tifo azzurro è attivo e caloroso. L’Italia cerca di rispondere con una maggiore incisività nel possesso e nel palleggio, anche se tutta la Moldova si muove seguendo un blocco compatto e unito. Al decimo minuto gli ospiti trovano addirittura il vantaggio, ancora una volta l’Italia è troppo leggera nel ripiegamento, le marcature sono leggere, a tal punto che il numero 9 Nicolaescu trova di testa il vantaggio. Il Mapei rimane in assoluto silenzio, ma a rianimare il pubblico ci pensa -per nostra fortuna- il VAR, che annulla la rete per un fuorigioco quasi millimetrico dell’attaccante moldavo. Il primo ruggito verso la porta è un tiraccio di Tonali, il centrocampista del Newcastle cerca il palo lontano, ma trova la parte centrale della Tribuna Sud. Pochi minuti più tardi gli Azzurri sfiorano il vantaggio su calcio piazzato: Retegui viene randellato al suolo da un difensore moldavo, Raspadori disegna un ottimo cross al centro, ed è anche pregevole la girata di testa di Ranieri, sfortunato nell’esito perché il pallone impatta sulla traversa. Vicino al gol all’esordio il capitano della Fiorentina, che continua a confermarsi pericoloso nel gioco aereo. La linea di pressione degli azzurri è alta, ma continua a mancare la giocata tra le linee. Non è una pressione incisiva e precisa, e la Moldova quando riparte fa sempre paura, non tanto per la qualità dei singoli ma per le voragini che la difesa dell’Italia concede. A ridosso della mezz’ora i moldavi protestano per un fallo in area di rigore di Dimarco, ma l’arbitro giudica regolare il recupero, rischiosissimo, dell’esterno dell’Inter. Al 31′ Retegui si trova per la prima volta dentro l’area senza un moldavo attaccato, il centravanti dell’Atalanta riceve un pallone sporcato da Frattesi e cerca la soluzione mancina di prima intenzione, il portiere Avram si tuffa in anticipo e respinge senza troppi problemi. Il ritmo degli Azzurri comincia a crescere, e le occasioni cominciano ad arrivare con più regolarità. Al 36′ Dimarco si getta in area ma il suo diagonale non trova la porta di Avram. Da sinistra si comincia a sfilacciare la difesa moldava, e su quel versante Dimarco arriva al cross sul primo palo, Retegui va in anticipo ma ci va di stinco, palla fuori di poco. Il muro moldavo crolla al minuto 40: Ranieri chiede, e ottiene, il triangolo da Dimarco, mette in mezzo un buon cross respinto di testa da Ionita, in anticipo su Tonali, e sulla respinta Raspadori calcia di prima intenzione, destro potente e preciso sul primo palo, Avram non accenna nemmeno l’intervento e siamo avanti. Il vantaggio rischia di durare meno di un minuto, perché la Moldova arriva al tiro da fuori con Reabcuk, Donnarumma interviene con i pugni ma il primo ad avventarsi è Ionita, vecchia conoscenza della Serie A, il capitano moldavo calcia con il mancino e la palla sibila con il palo e termina fuori. Tanti, troppi, errori dell’Italia in un primo tempo che lascia più ombre che luci, nonostante il vantaggio all’intervallo.
Nella ripresa Spalletti muove subito la panchina: escono Dimarco e Ricci, dentro Orsolini e Barella. L’esterno del Bologna si piazza sulla destra, ed è subito decisivo nell’azione che porta al raddoppio. Al 50′ Orsolini salta il diretto avversario, arriva sul fondo e mette un buon cross rasoterra con il destro, Frattesi mastica la conclusione ma a convertire in rete ci pensa il destro di Cambiaso, tiro centrale su cui Avram non fa una bella figura. È un’altra Italia quella scesa in campo nella ripresa, più pimpante e concentrata rispetto al primo tempo, ricco di errori e rischi. Il gap da colmare con i norvegesi è alto, e segnare quante più reti possibili diventa l’obiettivo prioritario, a tal punto che gli Azzurri sono sbilanciati in avanti, e per fortuna i moldavi non sono pericolosi come nel primo tempo. All’ora di gioco ci prova ancora una volta Tonali, questa volta il suo destro è potente ma centrale, Avram risponde con i pugni. Ai tre cambi della Moldova, Spalletti risponde con la staffetta tra Retegui e Lucca. Per l’ultima volta Spalletti decide di non schierare il doppio centravanti, fondamentale che in alcuni momenti del ciclo azzurro, che si conclude oggi, forse sarebbe stato utile. L’ingresso dell’attaccante dell’Udinese regala centimetri importanti per l’attacco, anche se la scheggia impazzita rimane sulla destra Orsolini, l’unico che concretamente si concede il dribbling e la giocata imprevedibile. Anche gli ultimi due cambi di Spalletti non lasciano trasparire una voglia concreta di attaccare a testa bassa, perché entrano Daniel Maldini e Coppola al posto di Raspadori e Ranieri (uscito malconcio dopo un duro scontro con un giocatore moldavo), ma la musica non cambia: encefalogramma quasi piatto e tanti errori banali in impostazione. All’87’ ci prova Orsolini, favorito da una buona triangolazione degli altri due nuovi entrati, Lucca e Maldini, il tiro dell’esterno del Bologna è sul primo palo e Avram non ha problemi a respingere con i pugni. Nel finale la Moldova attacca a testa bassa, e l’Italia cerca in tutti i modi di subire un gol che gli avversari meritano ampiamente. Donnarumma rischia l’harakiri ma rimedia, e la partita si conclude con i moldavi in assedio della nostra area di rigore, un’immagine emblematica del ciclo di Spalletti che termina dopo sei minuti di recupero.
Alla vigilia Spalletti ha detto di voler salutare con una prestazione di livello, e con una vittoria. La vittoria è arrivata, ma si può essere tutto tranne che soddisfatti di quanto visto a Reggio Emilia. Lenti, macchinosi e ancora una volta terribilmente sbilanciati e sconnessi tra i reparti. La decina di tiri effettuati dalla Moldova fanno riflettere parecchio e per colui che arriverà sulla panchina azzurra (il favorito è Claudio Ranieri) adesso bisognerà ricostruire il muro difensivo che tanto ci ha contraddistinto nella nostra storia. L’attacco necessita di maggiore presenza, perché anche oggi Retegui è stato ingabbiato dai difensori avversari, e chissà che adesso si riparta dal doppio centravanti, che Spalletti ha scelto apertamente di non utilizzare. Si conclude con una vittoria l’esperienza di Luciano Spalletti sulla panchina dell’Italia, che ha sbagliato tanto nel corso della sua esperienza da c.t, ma adesso il calcio italiano attende il suo successore per cercare di colmare il gap con la Norvegia ed evitare lo spauracchio dello spareggio per andare al mondiale. Appuntamento al 5 settembre in casa contro l’Estonia.
Ci sarà un nuovo allenatore, e si spera ci sia una nuova Italia…
Calcio
Tracollo Azzurro in Norvegia, a Oslo termina 3-0. Mondiale subito a rischio?

Disastro Azzurro sotto la pioggia di Oslo. L’Italia cade rovinosamente contro la Norvegia e complica subito il proprio percorso verso il mondiale. Ancora una volta gli Azzurri subiscono tre gol nel primo tempo, e nel secondo tempo non riescono a reagire.
La formazione degli Azzurri è ritoccata in quasi ogni reparto, principalmente in difesa dove mancano quasi tutti i centrali regolarmente utilizzati dal c.t. La scelta di Spalletti è l’esordiente Diego Coppola al centro della retroguardia, affiancato da Di Lorenzo e Bastoni. Sugli esterni giocano Zappacosta e Udogie, mentre in avanti ancora una volta giocano Retegui e Raspadori.
Nei primi minuti l’Italia prova a gestire il possesso del pallone, cercando di sfruttare anche la velocità di circolazione della sfera grazie alla pioggia che si abbatte su Oslo. I norvegesi sono uniti e compatti, e il blocco disegnato da Solbakken non lascia particolari spazi agli Azzurri. Fin dalla vigilia tutta l’attenzione mediatica si è concentrata sul potenziale duello Coppola-Haaland, ma nessuno ha preso in considerazione gli altri due attaccanti della Norvegia. Già, perché fin dal primo scatto in avanti, la sensazione è che sia Nusa da una parte, che Sorloth dall’altra, siano un pericolo di gigantesca dimensione per i difensori italiani. Al primo affondo la Norvegia va in vantaggio: Nusa è un treno sulla fascia sinistra, il classe 2005 si accentra e trova un gran passante alle spalle dei difensori azzurri, Sorloth raccoglie l’invito, si presenta davanti a Donnarumma e lo batte in uscita. Vantaggio per i padroni di casa, e la gara si mette subito in salita. Ed è una strada che diventa sempre più insormontabile, perché gli affondi dell’Italia, principalmente dei lanci lunghi verso Retegui, sono preda facile dei due pilastri difensivi norvegesi, Heggem e Ajer, ed è sui centimetri dei propri giocatori che la Norvegia trova grandi spazi e vantaggi per colpire un’Italia che non sembra particolarmente in giornata. Il più ispirato di tutti è sicuramente Antonio Nusa, e dopo aver regalato un grande assist per il vantaggio, mette anche il suo sigillo a un primo tempo a senso unico. Minuto 34, rinvio di Nyland verso Thorsby che controlla agevolmente la sfera, a causa di una marcatura leggera di Rovella, la palla rimane vicino al giocatore del Genoa e diventa di possesso di Nusa, serpentina tra Rovella e Di Lorenzo e destro potente alle spalle di Donnarumma. Una rete meravigliosa di una gemma assoluta della scuola calcistica norvegese, che sta seminando il panico tra le maglie azzurre. Il primo tempo è unicamente a tinte rosso e blu, i colori della Norvegia, e i ragazzi di Solbakken trovano anche il terzo sigillo di giornata, con la stessa giocata che l’Italia sembra non riuscire a leggere: la palla in verticale tra i due difensori. A due minuti dall’intervallo Tonali perde palla in mezzo al campo, Odgaard porta palla e pesca il taglio di Haaland tra Coppola e Bastoni, il bomber del Manchester City è solo davanti Donnarumma e non ha particolari difficoltà nel superare il capitano azzurro e depositare in rete il pallone del 3-0.
Dagli spogliatoi Spalletti sceglie Frattesi al posto di Rovella, uno dei giocatori più in difficoltà sul piano fisico. Anche Solbakken effettua un cambio, con Berg che sostituisce l’ammonito Thorsby. Nessun cambio di modulo, stesso schieramento con il solo cambio in regia, con Barella che viene arretrato in cabina di regina. Non cambia di una virgola il copione della partita, e questo è un pessimo scenario per l’Italia, che non riesce a sviluppare una manovra offensiva degna di nota. Retegui è sempre isolato tra i giocatori norvegesi, e ogni cross è preda facile dei difensori di Solbakken. Al 65′ i padroni di casa vanno vicini addirittura al poker, con uno schema che parte dalla bandierina e termina dall’arcobaleno a giro di Berge, destro di prima intenzione che colpisce in pieno il palo. Verso il settantesimo arrivano le prime vere mosse dei due allenatori, perché Solbakken sostituisce Heggem con Ostigard, ma Spalletti rinfoltisce -finalmente- l’attacco: vanno fuori Zappacosta e Retegui, e al loro posto entrano Orsolini e Lucca. Appena entrati nell’ultimo quarto di gara l’Ullevaal Stadion si sfrega le mani per riservare la meritata standing ovation ad Antonio Nusa, sostituito da un altro gioiello della nuova scuola norvegese, Oscar Bobb. Applausi scroscianti per l’ala del Lipsia, sicuramente il migliore in campo per la qualità messa in campo e per l’incisività avuta, con un gol e un assist. Gli “olè” del pubblico norvegese al possesso ipnotico, e gli applausi al pressing asfissiante, sono le due diapositive del finale di partita, in cui l’Italia non solo non alza il baricentro, ma rischia di concedere altri corridoi ai padroni di casa, che non hanno assolutamente intenzione di fermarsi. Il primo tiro in porta dell’Italia arriva al secondo minuto di recupero, un colpo di testa di Lucca su cui Nyland non ha problemi, intervento plastico per i fotografi e prima parata della sua gara.
Si mette subito in terribile salita il cammino verso il mondiale
La partita di Oslo si mostrava complicata per una serie di molteplici motivi, ma la prestazione -se così si può definire- attuata dagli Azzurri non è all’altezza di una nazionale che ha l’obiettivo di vincere il raggruppamento e raggiungere l’America. In difficoltà dal primo all’ultimo minuto e sotto ogni punto di vista. Tatticamente i norvegesi hanno avuto l’astuzia di sfruttare una linea alta e sconnessa da parte dell’Italia, e grazie ai guizzi frizzanti di Nusa, Solbakken ha potuto contare su una scheggia impazzita che non poteva non fare male. Altro punto da analizzare è la tenuta fisica delle due nazionali, perché la Norvegia ha viaggiato a ritmi e velocità nettamente superiori, e adesso la tenuta fisico-mentale della nazionale di Spalletti è sotto banco in vista della prossima partita.
Dall’Italia…all’Italia
Contro l’Italia si è chiuso l’ultimo gettone mondiale della Norvegia, e dall’Italia può ripartire la corsa per tornare a quel mondiale che manca dal 1998. Con questo successo la nazionale di Solbakken è in cima al raggruppamento a punteggio pieno. 9 punti per Haaland e compagni, mentre l’Italia comincia il suo cammino con uno 0, e adesso ha l’obbligo di ripartire subito e rimettersi in scia per evitare l’ennesimo disastro mondiale.
Lunedì il match con la Moldavia a Reggio Emilia, con la vittoria che a questo punto diventa un imperativo!
Calcio
Una manita che vale il triplete. il PSG schianta l’Inter e vince la Champions League

Il Paris Saint-Germain vince la prima Champions League della sua storia. A Monaco di Baviera la squadra di Luis Enrique si sbarazza dell’Inter e domina dal primo all’ultimo minuto.
Il racconto della finale di Champions League 2024/2025
Triplete e tabù
Numeri e intrecci con la storia fanno da contraltare a una finale che si preannuncia scoppiettante per gli attori, pronti a prendersi la scena nel palcoscenico più importante di tutti, la finale di Champions League. Inter e Paris Saint-Germain arrivano in Baviera per aggiungere il capitolo finale alla stagione, senza dubbio il più importante. Se da una parte l’Inter deve reagire a un finale di stagione che ha sorriso al Napoli, nella lotta al campionato, il PSG va a caccia del terzo successo in tre competizioni.
Sia Inter e PSG cercano di reagire a una delusione abbastanza recente in finale di Champions, perché entrambe hanno assaporato la vetta ma si erano fermate al gradino più basso, dovendosi arrendere a Manchester City (Istanbul 2023 nel caso dell’Inter) e Bayern Monaco (Lisbona 2020 nel caso dei parigini). L’Inter, inoltre, cerca di sfatare un tabù legato alla città di Monaco di Baviera: in terra bavarese si sono disputate quattro finali -tra Coppa dei Campioni e Champions League- e tutte e quattro hanno visto trionfare una squadra al primo successo nella propria storia (va ricordato lo score del PSG in Champions League, la cui voce “titoli” al momento recita “zero”).
Le scelte
Pochissimi dubbi alla vigilia, nessuna sorpresa al momento della comunicazione delle formazioni: Inzaghi sceglie i suoi uomini migliori, tutti gli artisti che hanno contribuito a questo quadro che cerca l’ultima pennellata. L’unico ballottaggio attivo riguardava il braccetto di destra, al fianco di Acerbi e Bastoni, sciolto da Inzaghi con Pavard. Il francese, uno dei volti con più esperienza e leadership nel roster nerazzurro, scalza Bisseck e parte dal primo minuto. Tra i parigini invece il testa a testa riguardava due delle gemme più preziose sgrezzate da Luis Enrique nell’ultimo anno, Doué e Barcola. Il primo vince il duello con il connazionale e si affianca a Dembélé e Kvaratskhelia.
PSG: Donnarumma, Hakimi, Marquinhos, Pacho, Nuno Mendes, Vitinha, João Neves, Fabian Ruiz, Doué, Dembélé, Kvaratskhelia;
INTER: Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni, Dumfries, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco, Thuram, Lautaro Martinez
Due generazioni a confronto, una per blindare un ciclo sempre più crescente, l’altra per avviarne uno nuovo. Il Paris Saint-Germain vanta la squadra più giovane di tutta la competizione (età media di 24 anni e 262 giorni), mentre l’Inter la squadra più anziana (età media di 30 anni e 19 giorni).
Arbitra il rumeno Kovacs, che negli ultimi anni ha arbitrato due finali che hanno fatto sorridere il calcio italiano (il fischietto rumeno ha diretto la vittoria della Roma in Conference League e l’Atalanta nella notte di Dublino, contro il Leverkusen).
Alle 21.01 il fischietto di Kovacs emette il primo suono, comincia la finale!
||PRIMO TEMPO ||
Curiosa la battuta dei parigini, che lanciano in rimessa laterale il primo pallone della gara. Subito chiaro l’intento della squadra di Luis Enrique, quello di non far sviluppare dal basso l’Inter. Il possesso è in mano ai parigini, soprattutto nelle fasi iniziali della gara. La squadra di Inzaghi cerca di giocare sulle lunghe leve di Dumfries, in netto vantaggio fisico su Nuno Mendes, ma il recupero palla del Paris è molto efficace. Non vi erano dubbi sul coraggio e sulla qualità dei francesi, ciò che risalta comunque all’occhio è l’approccio della gara da parte dei campioni di Francia, padroni assoluti del possesso. Il primo squillo è proprio di Doué, un destro potente e angolato su cui Sommer non ha difficoltà. Il dominio è evidente e il vantaggio arriva al minuto 11. Il gioco si sviluppa prevalentemente a destra, ma al primo affondo a sinistra il Paris sfonda: palla magica di Vitinha alle spalle della difesa, Doué è pronto per calciare verso la porta ma il francese è bravissimo nel servire in mezzo Hakimi, il marocchino ha la porta spalancata e non può fallire il più classico dei gol dell’ex. Vantaggio francese e finale subito in salita per la squadra di Inzaghi. Lo svantaggio appesantisce le gambe dei giocatori dell’Inter, e la corsa interminabile dei parigini non lascia respirare i nerazzurri, che cercano rifugio in Sommer. Le difficoltà dell’Inter sono evidenti, così come emerge l’agonismo e la freschezza dei francesi. Al 20′ arriva il raddoppio: l’azione comincia nell’area francese, con Barella troppo leggero nella protezione di un corner, in cui l’Inter sa sempre rendersi pericolosa; Pacho evita il giro dalla bandierina e il PSG va subito in contropiede: Dembélé chiama a sé la difesa nerazzurra e poi cambia gioco, Doué controlla e spara il destro verso la porta, convertito in rete dalla deviazione di Dimarco che manda fuori giri Sommer. Venti minuti maestosi della squadra di Luis Enrique, ma dall’altra parte l’Inter non sembra essere scesa in campo. Non si registrano occasioni per la squadra di Inzaghi, anche se la pressione del PSG si affievolisce leggermente dopo il doppio vantaggio, e questo favorisce una crescita -timida- dei nerazzurri. I movimenti dei francesi sono di un’armonia e una pulizia a dir poco pregevole, e la lettura difensiva dell’Inter soffre terribilmente questo continuo scambio di posizioni, in ogni zona del campo. Al 37′, dalla bandierina l’Inter si costruisce la prima -vera- occasione della sua gara, con il solito cross preciso di Calhanoglu indirizzato sul secondo palo, lì Thuram prende il tempo su Kvaratskhelia ma il suo colpo di testa termina di poco a lato. È il momento di spinta massima dell’Inter, favorito da una piccola fase di allentamento del Paris, subito richiamato a voce alta da Luis Enrique, che impone lucidità e maggior qualità. All’ultimo pallone del primo tempo Kvaratskhelia impensierisce ancora una volta Sommer. È l’ultimo squillo di un primo tempo a tinte uniche blu e rosse, con il Paris Saint Germain meritatamente in vantaggio. Un dominio schiacciante nel primo tempo, ma occhio a mantenere la partita in bilico, perché l’Inter si può riaccendere da un momento all’altro.
||SECONDO TEMPO ||
Nessun cambio all’intervallo, i riparte dagli stessi ventidue. L’Inter appare subito più coraggiosa e intraprendente, anche se era prevedibile visto il brutto primo tempo. Kvara prova a chiudere subito i conti ma il suo mancino termina in curva. In quel momento l’Inter capisce che per riaccendere la miccia serve maggiore qualità e incisività da destra, e lo sviluppo dell’Inter verte sempre dalla parte di Dumfries, favorito da un maggiore apporto alla manovra da parte di Thuram. Inzaghi è il primo a muovere la panchina con Bisseck e Zalewski al posto di Pavard e Dimarco. Il polacco viene subito ammonito per un fallo in attacco, ma il segnale è quello di alzare l’agonismo e il ritmo. Dopo pochi minuti la panchina dell’Inter viene mobilitata nuovamente perché Bisseck cade male a terra ed è costretto a uscire subito per un problema al flessore. Al suo posto Carlos Augusto, oltre a Darmian per Mkhitaryan. In mezzo alle sostituzioni il PSG mette il lucchetto alla finale: ancora una volta Dembélé domina il gioco a suo piacimento, e attira a sé i difensori dell’Inter, il francese imbuca per Vitinha che porta palla per metà campo, prima di appoggiare verso Doué, destro piazzato sul primo palo e discorso archiviato. Prestazione totale del gioiello francese, che esce qualche minuto dopo, accompagnato dalla standing ovation del suo pubblico e dal cinque di Barcola, pronto a seminare ulteriormente il panico tra le maglie nerazzurre. Inzaghi termina le sostituzioni con Asllani al posto di Calhanoglu, uscito acciaccato per un problema fisico. L’Inter si sgretola con il passare dei minuti, e il nervosismo comincia a prevalere sulla ragione, a tal punto che Kovacs mette mano al taschino più volte. Al 73′ i parigini debordano con Kvaratskhelia: l’azione parte dal basso, e il fraseggio porta fuori la linea di difesa dell’Inter -stranamente alta, il solito Dembélé dipinge calcio a tutto tondo, filtrante per Kvara che arriva fino all’area piccola, il mancino del georgiano buca Sommer sul primo palo. 4-0 PSG, dominio assoluto. L’Inter cerca il gol della bandiera, e in quel momento emerge l’altro top player del roster parigino: Gigio Donnarumma. Il portiere italiano mette i suoi guanti su un destro piazzato di Thuram, e nega il gol della bandiera al francese. Nelle retrovie l’Inter fa sempre più acqua, a tal punto che Barcola semina i difensori come se fossero birilli, ma davanti a Sommer calcia clamorosamente fuori, a due passi dalla porta. Con la gara in cassaforte -già dal decimo minuto in verità- Luis Enrique adopera tre cambi, che ancora una volta danno frutti meravigliosi. A cinque dal termine i parigini muovono palla attorno all’area, Barcola imbuca per il neo-entrato Mayulu che calcia forte e batte Sommer per la quinta volta. CINQUE a zero, un risultato clamoroso.
Un dominio incontrastato, dal primo all’ultimo minuto. Il PSG è stato superiore in tutto, dalla gestione tattica al controllo emotivo della gara. Con la forza delle idee, coordinato da un’insieme di perle preziose, Luis Enrique si conferma ancora una volta una garanzia per questa competizione. Il tecnico spagnolo non ha mai perso una finale in carriera, e il modo con cui il Paris Saint-Germain si è sbarazzato dell’Inter rimarrà negli annali della Champions League. Prima coppa in bacheca per il club francese, che quest’anno chiude la stagione con il triplete, dopo i successi in Ligue 1 e Coupe De France. Dall’altra parte l’Inter esce fracassata dal prato di Monaco di Baviera, per una sconfitta che peserà tantissimo per le modalità e per l’approccio alla partita. Un’Inter irriconoscibile, che però si è dovuto arrendere di fronte alla freschezza e alla qualità incredibile del Paris Saint-Germain. Stagione da zero tituli, per dirla alla Mourinho, per la squadra di Inzaghi, che adesso dovrà sciogliere le riserve sul proprio futuro. Sipario per un’altra grande stagione di calcio europeo, con la nuova edizione della Champions che ha aggiunto all’albo un nuovo vincitore e uno spettacolo sempre più appassionante.
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