Calcio
Il Supercommento della 32ª giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top 11 alla fine, della trentaduesima giornata di Serie a
Udinese-Milan (A cura di Marco Rizzuto)
Troppo Milan per l’Udinese: Conceicao cambia modulo e rilancia i rossoneri verso l’Europa
Per dare una scossa alla classifica, mister Conceição rivoluziona la formazione, passando alla difesa a tre con Theo Hernandez e Jimenez schierati come esterni a tutta fascia. In attacco, Jovic viene preferito ad Abraham come terminale offensivo del tridente. Anche Runjaic cambia qualcosa rispetto alla sfida contro il Genoa: tornano titolari Kristensen e Lovric, mentre Atta agisce alle spalle di Lucca per sostituire l’infortunato Thauvin. L’assenza del francese pesa: l’Udinese arriva da tre sconfitte consecutive e ha segnato appena un gol nel periodo. Al Bluenergy Stadium i rossoneri accendono la gara dopo appena dieci secondi: Bijol e Kristensen pasticciano sul lancio di Pulisic, e il pallone finisce sui piedi di Reijnders, l’olandese calcia in porta a tu per tu con Okoye, che riesce a deviare in corner salvando i ragazzi di Runjaic. Dopo il brivido iniziale, l’equilibrio fa da padrona ad una gara che sembra non voler più decollare, i ritmi si abbassano e le occasioni tardano ad arrivare. Superata la mezz’ora, l’Udinese bussa per la prima volta alla porta di Maignan, Atta avvia il contropiede lanciando la corsa di Ekkelenkamp, che in percussione spezza in due la mediana rossonera, poi serve in corsa Ehizibue sulla fascia di destra, l’olandese col destro incrocia costringendo Maignan a volare, sulla ribattuta Ekkelenkamp calcia al volo e Gabbia è provvidenziale nel murare la conclusione del centrocampista. Quando il primo tempo sembrava essere destinato a terminare a reti bianche, il Milan a sorpresa passa in vantaggio: Fofana strappa il pallone a Lucca e serve Leao al limite dell’area, il portoghese calcia da fermo disegnando una parabola perfetta che si insacca sotto l’incrocio. La rete subita spezza il morale dei friulani che concedono il doppio vantaggio al 45′. Da calcio d’angolo il cross di Pulisic diventa un assist per Pavlovic, che con la spalla buca Okoye sul primo palo, complice una marcatura non perfetta dei difensori bianconeri. Il secondo tempo è sicuramente più vivace, nonostante i due allenatori non abbiano effettuato cambi durante l’intervallo. Al 51’, Maignan è protagonista di uno scontro di gioco col compagno Jimenez, in cui il francese subisce un brutto colpo alla testa. Sacchi ferma immediatamente il gioco per permettere ai medici di soccorrere il portiere rossonero, che esce in barella tra gli applausi del pubblico. Tornando al campo, all’ora di gioco l’Udinese spinge per riaprire i giochi: Lucca serve in area Atta, che calcia di controbalzo col sinistro senza inquadrare lo specchio della porta difesa da Sportiello. Runjaic capisce la necessità di inserire forze fresche per concretizzare le occasioni e manda in campo Iker Bravo e Rui Modesto per Lovric e Kamara, che non hanno brillato. Come contromossa, anche Conceicao effettua un doppio cambio: Tammy Abraham e Riccardo Sottil per Jovic e Jimenez. Le scelte dell’allenatore rossonero si rivelano vincenti: il Milan cala il tris con la rete di Theo Hernandez. Il francese triangola perfettamente con Abraham, che lo serve in profondità sulla fascia sinistra lasciata completamente scoperta dalla difesa friulana, entra in area e batte Okoye sul primo palo con una bordata che vale il triplo vantaggio. Theo Hernandez non segnava dalla 19^ giornata, nel successo contro il Como di Fabregas: anche in quell’occasione aveva segnato attorno al settantesimo minuto. Subito dopo il tris, Runjaic prova a cambiare ancora inserendo Pafundi e Payero, ma l’Udinese ormai spenta spalanca la porta al quarto centro rossonero. Abraham cerca e trova Leao con un traversone a giro splendido: il portoghese in corsa tenta di superare Okoye con uno scavetto, che diventa un assist per Reijnders, il quale deve solo appoggiare in rete. La decima rete in campionato dell’olandese chiude definitivamente i giochi a favore del Milan, che gestisce al meglio gli ultimi minuti di una gara dominata in lungo e in largo. Il nuovo modulo potrebbe rappresentare la chiave per rilanciare i rossoneri in classifica. Dopo settimane altalenanti, Conceicao potrebbe aver finalmente trovato un equilibrio in grado di valorizzare le qualità dei singoli (Theo Hernandez e Leao su tutti). Tuttavia, l’Europa resta ancora lontana: il nono posto non consente passi falsi, e il margine d’errore è ormai al minimo. Serviranno continuità, cinismo e un pizzico di fortuna per provare a riaprire davvero i giochi. Piove sul bagnato per l’Udinese: la squadra di Runjaic non riesce mai a entrare in partita ed esce dal campo con una sonora batosta. L’assenza di Thauvin pesa, ma quattro sconfitte di fila e un solo gol segnato non sono numeri da archiviare con leggerezza, anche se i friulani sono già matematicamente salvi, e l’unico obiettivo rimasto è il piazzamento nella parte sinistra della classifica, al momento occupata dal Torino.
Venezia-Monza (A cura di Dennis Rusignuolo)
La quinta è quella buona! Il Venezia torna in Fila per la salvezza
Il Venezia prepara tutti gli ingredienti per passare un bel pomeriggio: nel prepartita viene ritirata la maglia numero 13 di Marco Modolo e spunta anche l’ex capitano Joel Pohjanpalo nella panchina adiacente a quella di casa. Passano solo quattro minuti e Radu è chiamato subito ad un grande intervento, in risposta alla deviazione fra testa e spalla di Pedro Pereira su corner. Ritmi compassati nei primi 20 minuti, dove il Monza si fa leggermente preferire come atteggiamento, più convinto dei padroni di casa e pulito nelle giocate. Nonostante la spinta del Penzo, la sensazione è che il Monza abbia quella marcia in più che può mettere in difficoltà la retroguardia lagunare, che nei primi minuti di gara si era fatta preferire per l’intensità del pressing sui portatori di palla brianzoli. Al minuto numero 24 punizione che sa di corner corto: Nicolussi Caviglia fa partire un bolide a giro che sembra potersi infilare all’incrocio, Turati salva come può, e spedisce la palla sulla traversa, poi rinviata sulla linea da Akpa Akpro proprio un attimo prima che Oristanio la potesse ribadire in rete. Nesta è costretto a spendere il primo cambio alla mezz’ora, a causa di alcuni problemi fisici per Keita, sostituito al 27′ da Caprari. Prima dell’intervallo altre due occasioni, una per parte, ma sia la conclusione di Marcandalli che quella di Urbanski non spaventano i rispettivi portieri. Nessun cambio all’intervallo, anche se Nesta deve rinunciare a Izzo dopo appena cinque minuti dal fischio di Maresca: problema che sembra serio per il centrale italiano, sostituito da Caldirola. Dopo quindici minuti giocati a basso ritmo dalle due squadre, Di Francesco cerca nuovi stimoli dalla panchina: tre cambi, fuori Marcandalli per Haps, poi la staffetta dei due riferimenti offensivi (fuori Oristanio e Gytkjaer, dentro Yeboah e Fila). La scelta del tecnico dei lagunari si rivela vincente, perché al minuto 72 il Venezia sblocca la gara: lancio verso Ellertsson, seguito da Birindelli che viene buttato giù dal contrasto con la spalla (astuto, ma regolare) dell’islandese, a cui basta appoggiare in mezzo per il tap-in di Fila. Primo gol in Serie A per l’attaccante ceco, una rete dal peso specifico gigantesco. Sulla cresta dell’onda, il Venezia attacca con più leggerezza e velocità, mentre il Monza perde i riferimenti e cerca di usare le maniere forti per fermare le offensive dei lagunari. Pochi minuti dopo il vantaggio serve un grandissimo intervento di Turati per negare il raddoppio ai padroni di casa: punizione morbidissima di Nicolussi Caviglia oltre la barriera, Turati la vede all’ultimo e con un colpo di reni sputa fuori la palla dalla porta. Nel finale il Monza si affida alle palle lunghe, che sono però preda facile per i rocciosi difensori del Venezia. Prima del triplice fischio c’è ancora tempo per un ultimo episodio, perché Fila interviene in ritardo su Palacios e rimedia il secondo giallo della sua gara. Maresca lo espelle e il ceco salterà la sfida contro l’Empoli. Serviva un successo e i tre punti sono arrivati. A questo punto della stagione sindacare sulla prestazione lascia il tempo che trova, così il Venezia si è aggrappato a quell’attacco che in questo 2025 sembrava stregato. Dopo quattro gare consecutive al Penzo, finalmente Fila è riuscito a sfatare il tabù e adesso il Venezia alla salvezza ci crede sul serio. In una settimana decisiva per inquadrare il rush finale, la squadra di Eusebio Di Francesco aggancia l’Empoli (impegnato lunedì sera a Napoli) a quota 24 punti, a una settimana da un altro scontro diretto che sarà terribilmente decisivo. Il Monza, dall’altra parte, comincia a tirare i remi in barca perché la salvezza di fatto si sgretola oggi. La missione proibitiva della salvezza poteva passare solo da un successo in laguna, invece con questa ennesima sconfitta la squadra di Nesta ha ormai prenotato -si fa per dire- il posto per la prossima Serie B.
Inter-Cagliari (A cura di Tommaso Patti)
Arna Letale ancora decisivo. L’Inter supera agevolmente il Cagliari
Grazie alla sorprendente vittoria contro il Bayern Monaco, l’Inter affronta la sfida contro il Cagliari con il morale a mille. Da una parte Nicola schiera dal primo minuto Piccoli, sostenuto da Coman, pronto ad agire da seconda punta nelle situazioni offensive, mentre dall’altra parte Inzaghi decide di provare a vincere la sfida schierando qualche elemento di turnover. La titolarità di Arnautovic ripaga subito la scelta del tecnico nerazzurro: al 12’ un passaggio alto di Çalhanoğlu, apre l’azione offensiva di Carlos Augusto, che controlla di petto e si accentra nel tentativo di servire Lautaro, anticipato da Arnautovic, autore prima di una serpentina tra due avversari, e poi di una conclusione potente e alta che non lascia scampo a Caprile. Nonostante il gol del vantaggio, l’Inter è spesso scoperta e facilmente attaccabile dal Cagliari, come nell’occasione avvenuta al 24’, quando su un recupero palla di Zortea su Barella, Zappa lancia in campo aperto Piccoli, costretto ad arrendersi difronte al provvidenziale intervento di Sommer. Nella stessa azione, l’Inter riesce a ripartire dopo essersi riorganizzata, riuscendo addirittura a colpire il Cagliari per la seconda volta grazie allo spettacolare assist di Arnautovic per Lautaro, che supera con uno scavetto Caprile e segna la rete che vale il raddoppio. Senza alcuna avvisaglia, il Cagliari entra perfettamente in campo nella ripresa, riuscendo a dimezzare lo svantaggio con Piccoli, abile nel colpire il pallone di testa e nel riscattare il brutto errore del primo tempo. La reazione di Inzaghi al gol subito degli ospiti è un mix tra rabbia e paura per i minuti successivi poiché, nelle ultime due gare di campionato, i nerazzurri hanno dimostrato un netto calo di concentrazione tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo, riuscendo anche a subire gol. Il possibile allentamento della prestazione viene però immediatamente smentito dai padroni di casa, che prima ottengono un calcio d’angolo su un tiro ravvicinato di Dimarco deviato da Caprile, per poi trovare la terza rete della giornata sugli sviluppi del calcio d’angolo battuto da Dimarco e finalizzato con l’imperioso colpo di testa di Bisseck. Dopo il terzo gol dell’Inter, il Cagliari esce completamente dalla gara, rendendosi pericoloso solamente con il tiro di Piccoli salvato quasi sulla linea da un intervento di puro istinto conservativo di De Vrij.
Il successo dei nerazzurri permette a Inzaghi di arrivare al meglio alle prossime sfide, dove i nerazzurri sono chiamati a giocarsi tutte le competizioni nel giro di pochi giorni, affrontando rispettivamente Bayern Monaco, Bologna, Milan e Roma. L’ennesima scelta di Inzaghi di schierare dal primo minuto Arnautovic ripaga nuovamente: il serbo in appena ventidue presenze, si è distinto riuscendo a segnare sette gol (alcuni di questi piuttosto pesanti), e due assist. Nonostante la sedicesima sconfitta in trentadue giornate, il Cagliari rimane ampiamente a +6 rispetto al diciottesimo posto. La squadra di Nicola, nelle prossime giornate, è chiamata a invertire questo trend che vede i sardi molto incostanti nei risultati e poco lucidi sotto porta, proprio come accaduto nella sfida contro l’Inter.
Juventus-Lecce (A cura di Dennis Rusignuolo)
Sofferenza nel finale, ma tre punti da zona Champions. Vlahovic, Yildiz e Koop regalano a Tudor il secondo successo casalingo
Sciolti gli ultimi dubbi di formazione, con Tudor che ormai sembra aver trovato i suoi fedelissimi: prosegue la migrazione di Nico Gonzalez, che dopo aver giocato nella trequarti all’Olimpico contro la Roma, torna nella fascia destra al posto di Weah. Ritorna Teun Koopmeiners dal primo minuto, mentre altra chance dal 1′ per Vlahovic. Il Lecce cambia modulo per la prima volta dall’arrivo di Giampaolo: 3-4-3 con Jean insieme ai pilastri Baschirotto e Gaspar, mentre trova spazio Danilo Veiga nella fascia destra. Confermato il tridente Pierotti-Krstovic-Morente. Fin dal primo pallone giocato si vede come la Juve cerchi lo sviluppo sulla fascia sinistra, ed è da sinistra che i bianconeri stappano subito la gara: secondo minuto, palla su Vlahovic, attivo fin dai primi movimenti, filtrante preciso del serbo per l’inserimento di Koopmeiners, l’olandese ha tanto da farsi perdonare e il bel diagonale con cui batte Falcone può essere un primo squillo per una definitiva crescita. La reazione del Lecce non tarda ad arrivare, ovviamente da Nikola Krstovic. Il montenegrino recupera palla al limite dell’area e non esita a calciare forte, palo pieno con Di Gregorio in traiettoria, l’azione prosegue e il numero 9 calcia nuovamente forte verso lo stesso palo, opposizione con i pugni da parte del portiere bianconero. Ormai il dettame tattico di Tudor su questa Juve è chiaro: fraseggio ragionato in fase di impostazione e attacco codificato della profondità, guidato da Vlahovic e seguito da tutti gli incursori. Giampaolo rischia di dover abbandonare subito il piano iniziale della gara a causa dell’infortunio di Jean. Il francese esce addirittura in barella dopo un contrasto con Vlahovic e Pierret (torsione innaturale del ginocchio sinistro); al suo posto Tiago Gabriel, all’esordio in Serie A. Eccezion fatta per le due conclusioni di Krstovic, la Juve è padrona del campo e del possesso del pallone, il Lecce cerca di pressare alto per non farsi schiacciare troppo ma i bianconeri trovano sempre il modo per eludere il pressing. Al 20′ Renato Veiga riceve palla da Yildiz, bravo a sgusciare a Veiga dopo un corner, il portoghese calcia a botta sicura e Gaspar mette un rammento decisivo per negare il raddoppio. Alla mezz’ora i bianconeri vanno in ripartenza, Thuram guida la cavalcata con la sua solita falcata, scambia con Yildiz e va da Vlahovic, altra sponda intelligente del serbo e piazzato del numero 10 alle spalle di Falcone. Particolarmente attivo Dusan Vlahovic, autore dei due assist in 33 minuti. L’attaccante bianconero è sempre pimpante vicino alla porta, dove pecca di precisione, ma è lucido nel gioco con i compagni. Nella parte finale del primo tempo i bianconeri si limitano alla gestione del risultato e delle energie, fino all’intervallo che riserva alla squadra di Tudor applausi scroscianti, come non si sentivano da tanto tempo dalle parti dell’Allianz. Nessun cambio da parte di Tudor; Giampaolo invece ne cambia due: fuori Gallo e a sorpresa chiamato in panchina anche Krstovic, dentro Marco Sala e Rebic. I nuovi interpreti, più congeniali al gioco scelto da Giampaolo, portano più equilibrio e compattezza tra i reparti, tutti fattori che non si erano visti nel primo tempo e che avevano favorito il dominio incontrastato dei bianconeri. Come nel primo tempo, anche nella ripresa la Juve gioca sul velluto. L’idea propositiva e aggressiva di Tudor sembra già ben impiantata in ogni singolo giocatore, e lo si evince dalla voglia con cui recuperano il pallone e dall’insistenza con cui attaccano la porta cercando di scambiarsi ripetutamente il pallone. Il Lecce prova a regalarsi una mezz’ora orgogliosa con due lampi di Veiga e Baschirotto, brava la difesa bianconera nel respingere in entrambi i casi. Tudor decide di giocare le prime sostituzioni: Kolo Muani, Weah e Cambiaso al posto di Vlahovic, Koopmeiners e McKennie. Rinviato l’esperimento del doppio centravanti, già preannunciato da Tudor che in conferenza aveva escluso temporaneamente questa soluzione. Tra i nuovi innesti Weah è quello più cercato, ma è Cambiaso che sfiora il gol, con un mancino a giro che impegna Falcone in tuffo, costretto a usare i pugni per spedire il pallone fuori dalla porta. Prima del corner Tudor sostituisce Nico Gonzalez con Conceicao, emblematici gli applausi dello Stadium per entrambi i giocatori (due componenti che hanno avuto un impatto opposto con Thiago Motta, e anche adesso con Tudor). Con tutte le sostituzioni adoperate dai due allenatori, la gara perde ritmo e questo non fa altro che assecondare l’idea della Juve per gestire il risultato. All’83’ Di Gregorio mette la sua firma alla partita: primo vero errore di Thuram nella partita, che sbaglia in uscita e manda Rebic a tu per tu con il portiere bianconero, bravo a sbarrare la strada con il corpo e negare al Lecce la possibilità di riaprire la gara. Il gol dei salentini è rimandato solamente di qualche minuto, perché al minuto 87 Baschirotto svetta più in alto di tutti, riceve il cross di Helgason e gela lo Stadium. Secondo gol consecutivo per il capitano del Lecce, che nel finale sembra avere una marcia in più dal punto di vista emotivo. Per evitare spiacevoli fantasmi del passato Tudor scegliere di utilizzare l’ultimo cambio per rinforzare la difesa: fuori Yildiz e dentro Savona. Nei tre minuti di recupero la Juve soffre ma riesce a blindare i tre punti, che garantiscono per questa giornata l’ingresso di zona Champions. L’occasione era ghiotta, in vista dello scontro tra Atalanta e Bologna, e grazie a un primo tempo quasi perfetto, la squadra di Tudor mangia due pedine in una sola mossa. I due assist di un ritrovato Vlahovic e i gol di Yildiz e Koopmeiners permettono alla Juve di seguire attivamente il treno della Champions. Si prolunga a otto gare la striscia nera del Lecce. Giampaolo aveva cercato di approcciare la gara in maniera diversa, schierandosi quasi a specchio, ma la partenza sprint dei bianconeri, e l’infortunio di Jean hanno scombinato una soluzione che già era provvisoria. Con la vittoria del Venezia sul Monza, la salvezza diventa accesa oltre ogni limite, e i salentini hanno l’obbligo di interrompere subito questa striscia.
Atalanta-Bologna (A cura di Tommaso Patti)
Sotto il segno del solito Retegui. La dea vince e allunga sulle pretendenti
Nel tentativo di sfatare il tabù casalingo che vede i nerazzurri non vincitori in campionato dalla sfida contro l’Empoli di fine Dicembre, Gasperini non rinuncia alla contemporanea titolarità di Lookman, Pasalic e Retegui. Quest’ultimo protagonista dell’immediato gol del vantaggio dopo appena due minuti, rete nata dal filtrante di Pasalic per Bellanova, che scatta sulla fascia e pesca a centro area Retegui, al suo ventitreesimo gol in campionato. La rete del capocannoniere accende l’animo del Gewiss, consapevole di non poter vedere più la propria squadra vincere il campionato, ma consapevole anche quest’anno del grandissimo lavoro fatto dalla società, dall’allenatore e dai giocatori. Con il passare dei minuti, il Bologna prova ad alzare la testa, scontrandosi però con un’attenta retroguardia di casa. Al ventesimo minuto, un’altra grandissima giocata di Retegui rimane impressa nel tabellino. L’attaccante azzurro prima lotta e vince il duello contro Lucumi, e poi innesca il cross valido per il tap-in vincente a centro area di Pasalic. La superiorità dei nerazzurri è evidente e l’errore sotto porta di Ederson (nato da un ennesimo duello vinto) ne è la prova. Nonostante il doppio svantaggio, la squadra di Italiano ci ha già più volte dimostrato la tenacia nel lottare soprattutto nei momenti di difficoltà, mettendo in pratica questo concetto a dieci minuti dalla fine del primo tempo, quando su uno schema nato da un calcio di punizione, Ndoye calcia di potenza da fuori area ma trova l’opposizione di Carnesecchi, aiutato anche dal palo. Nella ripresa l’Atalanta abbassa il ritmo, il Bologna cresce ma spesso deve fare i conti con Carnesecchi, che si conferma la miglior sorpresa di questa dea per costanza. La parabola pericolosa di Miranda e il grave errore sotto porta di Casale, descrivono esattamente il pomeriggio del Bologna, cioè una squadra che costruisce tanto ma spreca tutto sotto porta. Nel finale, Gasperini perde per infortunio Kolasinac, uno dei pilastri di questa annata, out per almeno sei mesi data la rottura del crociato. Il pareggio di Roma e Lazio, permette alla dea di avere quasi la certezza di rientrare nei primi quattro posti in campionato, validi per la prossima Champions League. La vittoria della Juve contro il Lecce e il passo falso del Bologna, permette ai bianconeri di superare e andare a +2 sulla squadra di Italiano, che nel prossimo turno affronterà l’Inter.
Fiorentina-Parma
Noia e reti bianche: Fiorentina e Parma non vanno oltre lo 0-0
Messo da parte (momentaneamente) lo Celje, Palladino sposta il focus sulla sfida casalinga con il Parma di Chivu, che sembra essere ritornato sul binario per uno sprint finale con un solo obbiettivo: la salvezza. Sul settore sinistro del campo il Parma inizia sin da subito a spingere con Valeri che fa sua la fascia e indirizza subito un cross al centro dell’area, impattato da Bernabè che trova la grande risposta di De Gea, bravo a bloccare e neutralizzare anche la conclusione di Keita pochi istanti più tardi. Nel primo tempo la Fiorentina risulta essere totalmente assente, con Suzuki spettatore non pagante. Un presunto tocco di mano di Valenti fa scorrere un brivido lungo la schiena della viola, che però tira un sospiro di sollievo in seguito ad un rapido check del VAR che scagiona il giocatore di Palladino. La seconda metà di gara riparte con la Fiorentina in controllo e con una clamorosa occasione per Kean che sfrutta l’imbucata di Mandragora e si trova a tu per tu con Suzuki, con il pallone che però termina fuori di poco. Appena tre minuti più tardi arriva un’altra, enorme, occasione per la squadra di Palladino, che con Fagioli colpisce la traversa, con un tiro su punizione che da posizione defilata impensierisce e non poco l’estremo difensore ducale, che deve appoggiarsi alla traversa per evitare insidiose respinte. La squadra di Chivu, però, non sembra voler mollare e al 62′ si spinge in avanti con il pallone, sui piedi di Bonny, che viene incredibilmente salvato, ancora una volta, da De Gea, migliore in campo. Ad un quarto d’ora dalla fine Richardson riesce effettivamente a battere Suzuki, con il gol che però viene annullato per fuorigioco, nonostante l’iniziale esultanza del centrocampista marocchino. Con questa ultima occasione, e poche altre ababstanza timide, il match termina con un pareggio e le squadre che si sono perfettamente equivalse sul piano del gioco. Il Parma guadagna un punto e allunga sulla zona salvezza, mentre Palladino adesso dovrà concentrarsi sul ritorno di Conference League contro lo Celje.
Torino-Como (A cura di Marco Rizzuto)
Luci e ombre al Sinigaglia: Douvikas firma il successo, il VAR cancella la beffa granata
Il Como scende in campo con una formazione priva della sua stella: Nico Paz parte infatti dalla panchina. Fabregas opta per una maggiore copertura a centrocampo, inserendo Perrone al posto dell’argentino. Sul fronte granata, Vanoli schiera Linetty per sopperire alla squalifica di Ricci. In avanti si torna al doppio centravanti, con Sanabria al fianco di Adams. Dopo un avvio poco entusiasmante, il primo squillo del match arriva al 12’ proprio dai ragazzi di Vanoli, che sfiorano il vantaggio con un colpo di testa di Linetty: il polacco, liberatosi bene da Da Cunha e Vojvoda, non riesce però a inquadrare la porta. Nei minuti successivi si assiste a un dominio crescente del Como. La squadra di Fabregas prende le misure agli avversari, controlla il gioco per gran parte del primo tempo e crea diverse occasioni da gol. Alla mezz’ora, su punizione dal limite, Da Cunha calcia a giro con il mancino e impegna seriamente Milinkovic-Savic, bravo a deviare in angolo. La pressione crescente dei lariani mette in grande difficoltà il Torino, costretto nella propria metà campo e incapace di ripartire. Al 37’ arriva il meritato vantaggio comasco: splendida azione sulla destra, Ikoné serve in corsa Vojvoda che crossa al centro per Douvikas, il quale insacca di testa firmando il suo secondo gol in Serie A. Nonostante i frequenti cambi nel reparto offensivo nelle ultime partite, la squadra di Fabregas mostra una notevole solidità, riuscendo a ruotare efficacemente gli interpreti. Douvikas sembra essersi integrato perfettamente negli schemi dello spagnolo, mettendo pressione su Cutrone, autore di una brillante prima parte di stagione. Anche Ikoné, al momento, appare imprescindibile: l’ex Fiorentina ha scalzato la concorrenza e si è guadagnato un posto fisso tra i titolari, relegando Strefezza alla seconda panchina consecutiva. Il Como chiude il primo tempo in attacco, costringendo Vanoli a riflettere su eventuali cambi per ridare ritmo ai suoi. La ripresa comincia senza sostituzioni, ma si percepisce subito un atteggiamento più deciso da parte del Torino. I primi dieci minuti offrono spettacolo con occasioni da entrambe le parti, e al 57’ il Toro sfiora il pari con Gineitis: imbucata alta che sorprende la difesa, ma il numero 66 non riesce a segnare per via di un tempestivo intervento di piede di Butez. Dal 60’ in poi le gerarchie si ribaltano: il Torino prende in mano la partita e schiaccia il Como nella propria metà campo. Fabregas corre ai ripari, inserendo Strefezza e Sergi Roberto per aggiungere qualità ed esperienza a centrocampo. A un quarto d’ora dal termine, il Como torna a farsi vedere: sul corner battuto da Strefezza, Goldaniga impatta bene di testa, ma Milinkovic-Savic vola a deviare sopra la traversa, tenendo vive le speranze granata. Nel finale, il Como rischia grosso: Elmas, dopo aver recuperato palla in area sul tentativo di Sanabria, salta Butez ma perde l’attimo per calciare, venendo murato da Kempf, decisivo nell’intervento. In pieno recupero il Torino pareggia con una conclusione potente dal limite di Ilic, che fa esplodere il settore ospiti del Sinigaglia. Tuttavia, dopo un controllo al VAR, la rete viene annullata per un doppio tocco irregolare di Biraghi al momento della battuta del corner. Scampato il pericolo, il Como può festeggiare la sua nona vittoria in campionato, portandosi a quota 35 punti e staccando di quattro lunghezze il Verona, quattordicesimo. Il Torino, nonostante un ottimo secondo tempo, cade nuovamente in Serie A: non succedeva dal 14 febbraio, anche in quell’occasione con Ricci assente. Una sconfitta amara ma non troppo per i granata, che restano comunque tranquilli al decimo posto a quota 40 punti, in compagnia dell’Udinese.
Verona-Genoa (A cura di Marco Rizzuto)
Occasioni sprecate e assedio sterile: al Verona manca solo il gol
Zanetti ancora privo di Tengstedt e Suslov, riconferma l’undici titolare sceso in campo contro Parma e Torino. Dawidowicz nuovamente adattato al fianco di Duda. Nella trequarti Bernede a supporto del tandem composto da Sarr e Mosquera. Anche il Genoa scende in campo con diverse assenze, su tutti Malinowski e Friendrup. Al loro posto Badelj e Masini fanno coppia nella mediana, con Vitinha che torna nel trio offensivo a supporto di Pinamonti unica punta. Non si assiste ad un avvio particolarmente acceso, la prima occasione arriva al 20′ minuto sponda grifone, con Vitinha che salta Bernede per poi calciare dal limite dell’area senza però impensierire Montipò. L’equilibrio fa da padrone alla prima frazione che fatica a decollare, fin quando Mosquera riesce ad agganciare un pallone complicato scodellato direttamente da Valentini dalla propria metà campo: il numero 35 riesce a controllare la sfera calciando a incrociare, Leali riesce ad evitare il gol dando un po’ di spettacolo a questo incontro giocato a rilento. Arrivati alla ripresa, il mister Zanetti prova a cambiare qualcosa per dare una scossa, e inserisce Livramento per Sarr, autore di una gara dimenticabile. Nessun cambio per il Genoa che rientra in campo con l’undici iniziale. Già dai primi minuti gli scaligeri appaiono molto più offensivi, ai danni di un Genoa molto sciapo. I padroni di casa cercano il vantaggio in diverse occasioni, la più eclatante arriva al 58′: Bradaric riesce a far passare il pallone tra due avversari servendo Bernede, che rapidamente alza la testa e scodella in mezzo per Mosquera. Il colombiano schiaccia troppo con la testa fallendo un’occasione d’oro. Vieira capisce la necessità di cambiare qualcosa data la pericolosità del Verona, inserendo in una botta sola Ekuban, Onana e Messias. La situazione però non cambia, e il secondo tempo è un dominio totale dei ragazzi di Zanetti che non riescono però a bucare la porta di Leali. Al 67′ De Winter e Vasquez pasticciano lasciando sfilare un pallone sanguinoso conquistato da Livramento, che prende il tempo a Leali. Con la punta Livramento non riesce a spedire in rete e il recupero del difensore messicano è provvidenziale ai fini del risultato. Sul finale gli scaligeri assediano l’area di rigore avversaria senza però calciare pericolosamente verso la porta. Il fischio finale chiude una gara quasi soporifera che consegna un punto a testa alle due squadre. Il Genoa guadagna un punto importante per la corsa al decimo posto, accorciando e andando a -1 da Udinese e Torino. Il Verona con un po’ di rammarico sale a quota 32 lunghezze, otto punti sopra la zona rossa della classifica
Lazio-Roma (A cura di Dennis Rusignuolo)
Lazio e Roma si annullano a vicenda e sul campo dell’Olimpico non si va oltre l’1-1. Ranieri chiude la carriera con zero derby persi, e insacca il sedicesimo risultato utile consecutivo, mentre Baroni deve fare di più per acciuffare la zona Champions
Napoli-Empoli
Scottish pride: il Napoli vola sulle ali di McTominay
Conte sorride nel posticipo del lunedì sera, il suo Napoli vince, convince e prova a rimanere attaccato al treno scudetto. I Partenopei, sin da subito, occupano la zona avanzata del terreno di gioco, proponendo una fase offensiva lucida e concreta che, alla fine, porta a trovare la via del gol. Al 17′ minuto, il lavoro sporco di Lukaku, che serve McTominay, viene ripagato dalla rete dello scozzese che calcia, in corsa, dal limite dell’area e buca Vasquez, che avrebbe potuto fare qualcosa in più. L’Empoli, timidamente, prova a reagire, con il cross di Pezzella che pesca a centro area Gyasi, il cui colpo di testa termina alto di molto. Prima Politano, poi Neres, nella seconda metà del primo tempo gli azzurri cercano spasmodicamente il raddoppio, sbattendo doppiamente su un ottimo Vasquez. Al 39′ una sponda di Gyasi, arriva direttamente dal rinvio del portiere, trova Esposito che da lontanissimo calcia al volo, impegnano e non poco Meret. Un Napoli fievole al concludersi del primo tempo si riaccende subito nel secondo e non perde tempo a trovare il raddioppio: al 56′ Olivera trova tra le linee Lukaku, che insacca prodigiosamente il gol del 2-0. Non passano nemmeno quattro minuti, e ancora grazie ad un assist di Lukaku, McTominay colpisce di testa e batte Vasquez per la terza volta, sigillando definitivamente la partita, in un Maradona gremito che impazzisce di gioia. Cinque minuti più tardi, l’asse McTominay-Lukaku rischia di trovare addirittura la terza combinazione, con la sponda del belga che viene sfruttata dalla conclusione a rete dell’ex United, la quale si infrange pienamente sul palo, graziando la squadra di D’Aversa. Senza altre particolari occasioni, si conclude un match a senso unico che ha visto la squadra di Conte dominare sotto ogni punto di vista, mentre la squadra di D’Aversa osserva impotente dal basso del suo, sempre più fisso, diciannovesimo posto.
Calcio
Tsunami Blues: il Chelsea travolge il Betis in rimonta e vince la sua prima Conference League

La Conference League è finalmente giunta al suo atto conclusivo. La finale di Breslavia porta in scena Chelsea e Real Betis (alla prima finale europea della sua storia) per contendersi, sul campo, il titolo di quarti campioni della Conference. La squadra di Pellegrini, dopo un inizio di stagione non brillantissimo, da gennaio in poi ha cambiato totalmente rotta, risultando come una delle squadre più in forma d’Europa, meritevole di approdare in finale per affrontare la compagine favorita della competizione.
Speranza e Realtà
In uno stadio quasi interamente biancoverde, il fischio d’inizio viene anticipato dalla consueta cerimonia d’apertura, che porta sul manto verde i volti dei protagonisti di questo ultimo atto. Il Betis non esita a partire subito con la marcia ingranata, portando in scena uno stile di gioco immediatamente arrembante e offensivo. Dopo appena otto minuti, la squadra di Pellegrini va in vantaggio grazie al colpo da biliardo di El Zazzouli, che riceve, al limite dell’area, un pallone magico da Isco e calcia a incrociare, battendo Jorgensen. Nonostante la sicurezza del gol del vantaggio, i biancoverdi non smettono di pressare e proporre diverse manovre offensive nei minuti immediatamente successivi, con Bartra che arriva addirittura a sfiorare un clamoroso gol da 35 metri. Il Chelsea sembra essere sulle gambe, probabilmente per la tensione del momento e per un approccio alla gara non proprio sereno; dal 35’ in poi, però, la squadra di Maresca riesce a trovare un suo equilibrio e si difende egregiamente limitando i movimenti del Betis. Nel secondo tempo l’inversione di marcia è pressoché totale: i Blues cominciano a pressare e a proporsi insistentemente, fino ad arrivare ad un dominio totale. Al 65’ Palmer sale in cattedra, e dopo una gestione palla magistrale in mezzo al campo, fa partire un cross preciso per Enzo Fernandez, che si trasforma in un gigante e di testa buca Adriàn, riportando tutto in parità. Non passano neanche quattro minuti, e un’altra, magica, invenzione di Cole Palmer dall’out di destra trova in area Nicholas Jackson, che anticipa tutti e ribalta le sorti del match, portando avanti i Blues. Il Betis è in balia dell’onda blu che lo sta travolgendo, e il Chelsea, dal canto suo, è bravo ad approfittare degli errori avversari, soprattutto in fase difensiva. All’83’, un liscio di Sabaly favorisce Reece James, che stoppa il pallone e, con diverso tempo per prepararsi, calcia sul secondo palo e insacca il pallone all’incrocio dei pali, chiudendo la partita con un epilogo degno delle più belle favole. Nel recupero si unisce alla festa anche Caicedo, che dal limite dell’area calcia all’angolino basso, bucando Adriàn per la quarta volta e siglando il gol del definitivo 4-1, che manda in paradiso la squadra di Maresca.
Illusione
Per 65 minuti, il Betis ha creduto di potercela fare, di poter mettere piede nell’Olimpo dei vincitori Europei, portando un gioco convincente e aggressivo, che sembrava stare immobilizzando una delle regine del calcio inglese. Nonostante la volontà, la voglia e la speranza, il grande dispendio fisico, a lungo andare, si è rivelato un’arma a doppio taglio. Nel secondo tempo il crollo prestazionale è inevitabile, i Blues prendono il sopravvento e gli ultimi venticinque minuti non lasciano spazio ad interpretazioni. Il 4-1 finale è immagine di un Betis coraggioso, audace, ma che non è riuscito a reggere la richiesta fisica di un match per cui, il Chelsea, era sicuramente più preparato.
Calcio
Il Supercommento della 38ª giornata di Serie A

Con il weekend che si apre il 24 e si chiude il 26 maggio, giunge al termine anche questa stagione di Serie A che, come al solito, al suo atto conclusivo ha saputo regalarci diversi verdetti tra salvezza, accesso in Europa e, soprattutto, l’assegnazione dello Scudetto.
Ecco il commento completo, con la Top 11 alla fine, dell’ultima giornata di Serie A.
Napoli-Cagliari
Alla battuta finale di questo campionato, e con un’intera città al suo ascolto, il Napoli batte 2-0 il Cagliari con una prestazione di cuore e di squadra, e soprattuto con i due uomini simbolo di questo campionato, che portano in terra partenopea il quarto scudetto azzurro.
Como-Inter
Vincere a volte non è abbastanza. Con gli occhi costantemente puntati al Maradona, l’Inter batte il Como per 2-0, ma al triplice fischio viene pervaso dall’amarezza. Nonostante i tre punti, la vittoria del Napoli annulla ogni speranza dei nerazzurri, autori di un campionato assolutamente meritevole.
Bologna-Genoa (A cura di Tommaso Patti)
Doppietta all’esordio dal 1’, Venturino trascina e incanta il Genoa
La prima delle due partite dell’ultimo sabato di Serie A 202/4/25, vede sfidarsi Bologna e Genoa. Dopo la meritata ovazione ricevuta dai felsinei da parte dei propri tifosi dopo lo storico successo in finale di Coppa Italia contro il Milan, la gara comincia ma si dimostra subito in salita per la formazione di Vincenzo Italiano: dopo l’immediata occasione conclusa con il tiro a giro largo di Ndoye, il Genoa passa in vantaggio dagli sviluppi di un calcio d’angolo, che trova successo grazie alla rete di Vitinha su cross di Martin. La seconda rete in campionato dell’attaccante portoghese, oltre a mandare avanti il grifone, carica la squadra in virtù di una sfida molto importante, seppur le due squadre hanno già conquistato i propri obiettivi. Qualche minuto più tardi, il sole del Dall’Ara bacia i piedi di Venturino, schierato a sorpresa dal primo minuto da Vieira e autore di uno splendido gol dopo venticinque minuti. La commozione è tanta, ma il classe 2006 riesce a trasformarla in forza e, poco prima dell’intervallo, riceve palla da un ispiratissimo Vitinha e firma la sua prima e storica doppietta in Serie A. Con il risultato sullo 0-3, il Genoa abbassa i toni e lascia più spazio di giocata al Bologna. Nella ripresa, la squadra di Italiano prova in tutti i modi a rientrare in partita, andandoci vicino con il colpo di testa di De Silvestri, e accorciando le distanze con l’ennesimo gol capolavoro di Orsolini. Grazie al quindicesimo gol in questo campionato dell’ormai idolo indiscusso di Bologna, i padroni di casa giocano con più convinzione, ma sbattono più volte contro la difesa avversaria e pagano dazio con le diverse conclusioni imprecise, che non cambiano il parziale e fanno terminare la gara 1-3. Nonostante la sconfitta e il nono posto il Bologna può sentirsi pienamente soddisfatto del rendimento in campionato. Stesso discorso per il grifone, che mette in bacheca la decima vittoria in stagione e sale a quota 43 punti, concludendo la stagione ampiamente sopra la zona retrocessione.
Milan-Monza (A cura di Tommaso Patti)
Vittoria nel silenzio. Il Milan supera 2-0 il Monza
In una cornice calda e piena di tensioni, il Milan ospita un Monza già retrocesso. Durante la settimana sono state molteplici le contestazioni del tifo organizzato rossonero, nel mirino società e dirigenza. Il primo squillo della gara arriva dopo tre minuti, quando su un passaggio brillante di Rejnders, Joao Felix scatta in profondità e arriva alla conclusione, trovando però l’opposizione di Pizzignacco. Due minuti più tardi, su un calcio di punizione battuto da Pavlovic, Pizzignacco si supera e salva miracolosamente il Monza. Con il passare dei minuti, entrambe le squadre non riescono a prendere campo e a sorprendere l’avversario. Poco prima dell’intervallo, su un’azione prolungata di Pulisic, João Félix riceve palla e calcia da fuori aria, spedendo la sfera di poco a lato la porta difesa da Pizzignacco. Nella ripresa parte meglio il Milan, sfiorando due volte il vantaggio prima con Pulisic e poi con Chukwueze. Se nel primo tempo il Monza subiva svariate occasioni ma senza lasciare il totale dominio di gioco al Milan, dopo la traversa colpita da João Félix al 63º, la squadra di Nesta esce totalmente dalla gara. Un minuto più tardi, sugli sviluppi di un corner battuto da Chukwueze, Gabbia salta più in alto di tutti e spinge di testa il pallone in porta, trovando il gol del vantaggio a meno di mezz’ora dalla fine. A circa un quarto d’ora alla fine invece, è João Félix a regalare l’ultima “gioia” della pessima stagione del Milan, con un calcio di punizione preciso e angolato. L’ultima occasione pericolosa del campionato del Monza arriva sul colpo di testa di Akpa Akpro, conclusione pericolosa ma ribattuta da un ottimo riflesso di Maignan. Al fischio finale, entrambe le squadre salutano una stagione totalmente deludente e al di sotto delle aspettative. Se da una parte il Monza aveva già capito l’antifona della stagione, il Milan con il passare delle giornate ha perso sempre più certezze, soprattutto dopo gli ultimi due k.o. in finale di Coppa Italia col Bologna e nella trasferta persa contro la Roma, sconfitte che hanno dato la matematica certezza al Milan di non partecipare in nessuna competizione europea la prossima stagione.
Atalanta-Parma (A cura di Dennis Rusignuolo)
Una rimonta alla Chivu salva il Parma. Ondrejka e Hainaut ribaltano la Dea nel secondo tempo
Una serata dal carico emotivo indescrivibile, per l’ennesimo step di crescita di una realtà che migliora di anno in anno, come il miglior rosso presente in cantina. Al Gewiss l’Atalanta chiude la propria stagione e probabilmente chiude un ciclo irripetibile, perché il futuro di Gasperini va ancora decifrato ma sembra destinato a terminare, così come termina questa sera l’avventura orobica di Rafael Toloi. Lo storico capitano brasiliano, uno dei pilastri storici di questa squadra, ha scelto di tornare in Brasile e concludere la sua avventura italiana. Sotto gli occhi di un altro capolavoro tattico del Gasp, Hans Hateboer, l’Atalanta ospita un Parma alla ricerca del gran finale per concludere al meglio la stagione da neopromossa. Chivu mantiene stabile il blocco visto con il Napoli, quell’undici che ormai è un’emblema di solidità e praticità; dall’altra parte Gasperini rinuncia a Lookman e Zappacosta per dare continuità a Daniel Maldini e Marco Palestra, protagonisti nella precedente gara di Genova. Pronti, via, e il Parma è costretto a rivedere le proprie strategie. Mandela Keita subisce un colpo al ginocchio e deve alzare subito bandiera bianca, al suo posto dentro Bernabè. La prima occasione della gara è dei crociati, con Bonny che cerca di sfondare lateralmente con la sua qualità, il francese riesce anche a calciare, ma la botta è solo potente e Carnesecchi centralmente respinge. Il ritmo della partita è alto, e il Parma ci prova in tutti i modi, ma Carnesecchi alza il muro e chiude la porta. Alla mezz’ora emerge la Dea e si porta avanti: Bellanova accompagna l’azione, cerca in mezzo Retegui ma trova l’inserimento di Maldini sul secondo palo. Secondo gol consecutivo per Daniel Maldini, che non perde tempo per mettere in fondo al sacco anche il terzo sigillo. Dopo nemmeno sessanta secondi Retegui appoggia, forse involontariamente, all’indietro, Maldini arriva in corsa e calcia meravigliosamente a giro. 2-0 in meno di due minuti e partita in ghiaccio. La squadra di Chivu accusa terribilmente il colpo, e le offensive dei crociati perdono smalto con il passare dei minuti. Ciò che non perde pulizia e il tocco di Bonny, che sembra l’unico in grado di poter creare concretamente qualcosa nel Parma, e ci prova sempre il francese a dimezzare lo svantaggio, ma ancora una volta la porta è sbarrata. Due mosse per parte all’intervallo: Gasperini richiama Maldini e Palestra, sostituiti da Lookman e Posch; il Parma invece aumenta il peso all’attacco con Ondrejka e Hainaut per Hernani e Valeri. La mossa paga subito, dopo meno di quattro minuti: triangolo favorito dai due subentrati e Pellegrino, la difesa dell’Atalanta non chiude bene ed Hainaut sfonda la porta e riaccende la gara. La Dea ha subito l’occasione per rimettere due gol di vantaggio, ma Sulemana calcia malissimo a un passo da Suzuki. Gasperini opta per l’esperienza e la gestione di Ederson e Pasalic, entrati al posto di Sulemana e Brescianini. È un Parma nettamente più acceso, e trova il pareggio con l’altro subentrato: Ondrejka scatta alle spalle di Bellanova, si prepara il tiro e lo piazza alle spalle di Carnesecchi. Pareggio riacciuffato ed è un risultato pesantissimo visti i risultati degli altri campi. Pellegrino ha il pallone del 2-3 tra i piedi, ma Carnesecchi ancora una volta è formidabile nel chiudere lo specchio al centravanti del Parma. La salvezza si ufficializza al primo minuto di recupero, perché Chivu ancora una volta è riuscito a ribaltare tutto con i cambi: Bernabé allarga verso Ondrejka, lo svedese calcia bene con il sinistro, ma è la deviazione di Hien che manda fuori giri Carnesecchi e blinda la permanenza in Serie A dei crociati. Una salvezza conquistata dopo un percorso ricco di insidie e difficoltà. La gestione Chivu ha portato un vento nuovo a Parma, dopo che il ciclo Pecchia aveva raggiunto il suo termine, e il gioco cinico e pratico del romeno sono stati fondamentali per mantenere i crociati a debita distanza dalla retrocessione. Le varie rimonte perpetrate in questo finale sono merito di una lettura precisa della partita, in cui il Parma era andato spesso in svantaggio, ma grazie al coraggio delle idee e nella visione di Chivu, i crociati giocheranno ancora in Serie A. Sponda Atalanta si attendono aggiornamenti per il futuro di Gasperini, e a giudicare dagli striscioni dei tifosi Bergamo chiede a gran voce la permanenza dell’uomo che ha trascinato la Dea verso un paradiso sempre più limpido.
Venezia-Juventus (A cura di Dennis Rusignuolo)
La Juve vola in Champions grazie al rigore di Locatelli. Il Venezia saluta la Serie A
L’ultimo ostacolo per conquistare l’obiettivo prefissato. Tudor arriva al Penzo con quasi tutto il pacchetto difensivo acciaccato: ai soliti assenti Bremer e Cabal si aggiungono i problemi di Veiga e Gatti, recuperati ma non al meglio per poter cominciare dal primo minuto. La scelta del tecnico bianconero un reparto inedito: Kelly al centro, Alberto Costa alla sua destra e ancora una volta Savona sulla sinistra. Per il resto il blocco juventino è ormai il solito, e sono gli stessi che hanno battuto settimana scorsa l’Udinese. Il Venezia cerca l’ultima palina per ormeggiare la propria imbarcazione in Serie A, ma solo un gran risultato può permettere una salvezza che profumerebbe di impresa. La sconfitta di Cagliari ha fatto sprofondare la squadra di Di Francesco al penultimo posto, ma per la gara del Penzo i lagunari devono fare a meno del loro baluardo difensivo, perché manca Idzes per squalifica. In mezzo al campo DiFra sceglie Doumbia al posto di Kike Perez, mentre in avanti Yeboah fa coppia con Fila. Per l’ultima gara il tecnico del Venezia sceglie un attaccante di statura e sostanza al posto del doppio attaccante mobile, anche se la scelta è influenzata dal problema di Oristanio (recuperato in extremis per la panchina). Fin dal primissimo pallone giocato il Venezia prova a fare la voce grossa. Di Francesco cerca di smuovere le pedine bianconere con la costruzione dal basso, e la tattica è subito vincente: al secondo minuto la Juve è sfilacciata, il Venezia muove bene la palla sulla sinistra con Doumbia e Haps, cross dell’esterno e zampata vincente di Fila, al secondo gol in campionato. La Juve non perde tempo per reagire, e pareggia dopo sessanta secondi con una perla di Alberto Costa. Il portoghese calcia un missile in controbalzo che si insacca all’incrocio dei pali, ma il check del VAR riaccende l’entusiasmo del Penzo, perché nella preparazione del tiro Costa tocca la palla con il braccio. Lo shock è palpabile tra i bianconeri, che cercano di alzare il baricentro con un maggior possesso, ma il Venezia in mezzo al campo ha una marcia in più grazie alle geometrie di Nicolussi Caviglia. La notizia del vantaggio della Roma a Torino gioca a favore del Venezia, perché la Juve mentalmente è sconnessa, come si è mai vista dall’arrivo di Tudor, e i lagunari giocano sui nervi e sulle difficoltà dei bianconeri. Nel buio emerge il Diez, perché Yildiz rimette in equilibrio la gara: Cambiaso batte rapidamente la rimessa, si rifugia dal turco che pettina un paio di volte il pallone, prima di sistemarsi la sfera sul mancino e indirizzarla in fondo al sacco, con una sporcatura di Radu. Di colpo la partita si ribalta completamente, il Venezia non esce più e la Juve ne approfitta subito con Kolo Muani. Altra pressione alta dei bianconeri, questa volta fatta con i tempi giusti, Alberto Costa si getta in avanti e non permette l’intervento alla difesa lagunare, Kolo Muani raccoglie la sfera e incrocia, ancora una volta Radu tocca ma non basta. Alla mezz’ora la Juve torna avanti e rimette momentaneamente a posto le cose. La partita è molto tesa e nervosa, certificata dall’ammonizione per proteste di Tudor, ma anche dall’energia con cui le due squadre lottano su ogni pallone. Il Venezia viaggia a folate, e dopo il doppio schiaffo alza di nuovo il proprio baricentro per rintanare nella propria metà campo la Juve, che in questa prima frazione non ha ostentato particolare solidità e bilanciamento difensivo. Al 41′ Yeboah sfiora l’eurogol con il mancino, conclusione a giro praticamente perfetta che esce di poco alla destra di Di Gregorio. Si va all’intervallo con la Juve in vantaggio, e virtualmente in Champions League, ma al Penzo può succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Tudor sceglie subito Renato Veiga per la ripresa, sebbene il portoghese non sia al meglio la sua presenza è fondamentale per gli ultimi 45′. Fuori Alberto Costa, il cui primo tempo è stato un vero e proprio rollercoaster (gol annullato, ammonizione e serie di svarioni difensivi). Si riparte con il Venezia in avanti, ma la Juve ci mette grande qualità nell’uscita e nella gestione del pallone nella zona calda, e questo non permette ai lagunari di trovare molto spazio per attaccare, se non in ripartenza. La squadra di Di Francesco è più viva che mai, e trova il pareggio al minuto 57: Doumbia si getta in avanti, apparecchia all’indietro verso Haps che arriva in corsa e calcia male, ma una deviazione di Savona permette al pallone di insaccarsi sotto la traversa. Ancora una volta la Juve è costretta a ricostruire la propria qualificazione, anche perché da Torino arrivano notizie poco confortanti data la vittoria della Roma. Conceição va vicino al nuovo vantaggio dopo un solo minuto dal pari, ma il suo mancino termina di poco fuori. La squadra di Tudor sembra sulle gambe dopo il pareggio, incapace di reagire e spingersi stabilmente nella metà campo del Venezia. In contropiede i padroni di casa sfiorano il nuovo vantaggio con Haps, che termina in quell’azione la benzina ed esce tra gli applausi di tutto il Penzo. Al suo posto entra Kike Perez, e nel frattempo DiFra sceglie Gytkjaer al posto di Fila. Al 70′ Di Gregorio salva miracolosamente su Doumbia, e sul ribaltamento Conceição salta Nicolussi Caviglia e viene colpito dallo stinco del centrocampista, calcio di rigore. Dagli undici metri si presenta Manuel Locatelli, che apre il piatto e la piazza all’incrocio dei pali. Freddezza e leadership assolute per il capitano bianconero, che ha preso in mano il pallone più pesante della stagione e l’ha insaccato alle spalle di Radu per la terza volta. Le sostituzioni di Tudor arrivano allo scoccare del 75′: fuori Kolo Muani e Cambiaso, dentro Vlahovic e McKennie; Di Francesco risponde con Oristanio e Marcandalli. Locatelli sfiora il match-point con il destro a giro, palla che si avvicina all’incrocio dei pali ma non scende abbastanza. L’intento di Tudor è chiaro: smorzare il ritmo del Venezia con le sostituzioni, e restituire atletismo e brillantezza fisica con i nuovi ingressi. Il croato sostituisce Nico Gonzalez con un centometrista come Weah e compatta la difesa e il blocco centrale. Di Francesco sceglie Maric come ultima mossa, e per rispondere ai centimetri dell’attaccante croato, Tudor sceglie Gatti. Il difensore italiano entra al posto di Conceição, uscito con i crampi, e si affianca a Renato Veiga per blindare la zona centrale della difesa. Nel recupero mezza Juve è in preda ai crampi, si corre e si difende con tutte le ultime energie rimaste, anche se il Venezia non impensierisce Di Gregorio. Lacrime da una parte e dall’altra, perché la Juve riesce a concludere al quarto posto in campionato, conquistando l’ultimo posto disponibile per la Champions League. Il rigore decisivo di capitan Locatelli regala a Tudor la prima vittoria in trasferta, la più importante e la più preziosa. Il Venezia saluta la Serie A dopo una sola stagione, e le lacrime di Eusebio Di Francesco sono l’emblema di una squadra che ha lottato fino all’ultimo con un proprio ideale calcistico e con coraggio spropositato, ma non è bastato per mantenere la categoria. Adesso per la Juve si aprono le porte della Champions League, anche se l’estate bianconera sarà riempita dal mondiale per club. Alla guida ci sarà sicuramente Igor Tudor, che è riuscito a conquistare l’obiettivo prefissato, in futuro…chissà!
Udinese-Fiorentina
La Fiorentina chiude la pratica, Palladino si prende la Conference all’ultimo respiro
Al Bluenergy Stadium l’Udinese, ormai certa della salvezza da diverse giornate, ospita la Fiorentina di Palladino, che riesce, all’ultimo respiro, a conquistare l’ultimo spot disponibile per l’Europa, accedendo così alla prossima edizione di Conference League. Poco dopo la metà del primo tempo, la squadra di Runjaic trova il gol del vantaggio, grazie ad una precisa conclusione rasoterra di Lucca che, dal centro dell’area, beffa De Gea per la gioia dei tifosi di casa. Pochi istanti dopo la viola prova a farsi vedere con Kean, la cui conclusione termina alta, per poi rimanere in superiorità numerica a causa dell’ ingenuità di Bijol che entra duramente in scivolata su Pablo Marì procurandosi così il secondo giallo. Nel secondo tempo la Fiorentina scende in campo con una mentalità totalmente diversa, e sin dal primo minuto arremba sulla fascia destra con Dodò, il cui cross pesca Fagioli, che, dopo ben tre tentativi consecutivi da fuori area, riesce finalmente a battere Okoye, trovando il gol del pareggio. Dieci minuti dopo arriva il gol che ribalta la partita: dopo la grande discesa sulla fascia di Richardson, il pallone arriva a Beltran, che colpisce di tacco e batte nuovamente Okoye, preso in controtempo. I friulani però non mollano e riescono, al 60′ spaccato, a trovare il gol del pareggio su situazione di corner, sulla quale, nella mischia in area di rigore, Kabasele sbuca trovando la rete del pareggio. Dopo ciò, l’assedio viola si intensifica, per la necessità dei tre punti e la voglia di entrare nella zona europea. Le occasioni sono diverse, ma non particolarmente lampanti, con i tentativi di Kean e di Gudmundson, appena entrato. All’82’ però, la fortuna arride alla viola, che con Kean, e favorita da una deviazione, riesce a trovare il gol vittoria a pochi minuti dalla fine. Palladino, alla fine dei giochi, riesce a conquistare l’accesso in Conference, mentre Runjaic, alla sua prima stagione in Serie A, conquista una salvezza tranquilla, con l’augurio di poter fare qualcosa di più l’anno prossimo.
Lazio-Lecce
Fortezza Salentina, un Lecce stoico batte la Lazio e conquista la salvezza
La squadra di Giampaolo giunge all’Olimpico con l’unico obiettivo di vincere, per portare a casa una salvezza che saprebbe di storia. Nella battaglia dell’Olimpico, i Salentini si salvano e conquistano, per la prima volta, la terza salvezza consecutiva, guadagnandosi così il diritto di partecipare al campionato di Serie A per il quarto anno di fila. Per quasi tutto il primo tempo, il match affronta una fase di stallo, con le due squadre che appaiono restie dall’affondare il colpo. Al 43′, però, il Lecce prende coraggio, e con un incursione coraggiosa di Lassana Coulibaly, che si avventa sul pallone, riesce a siglare il gol del vantaggio che trascina i Salentini al di fuori della zona retrocessione. Nei tre minuti di recupero, la Lazio, inizialmente, va vicina al pareggio con la botta di Castellanos, salvata da Falcone, e poi si ritrova un superiorità numerica a causa dell’espulsione di Pierotti per somma di ammonizioni, che lascia i giallorossi in dieci uomini nel momento più delicato della partita. Nel secondo tempo, inevitabilmente, il dominio biancoceleste é pressoché totale, ma il Lecce non demorde. La squadra di Baroni, specialmente sulla fascia di sinistra, crea tantissime occasioni grazie alle sgasate e alle invenzioni di Nuno Tavares, che spesso pesca dei compagni in area , i quali trovano sempre l’opposizione di uno straordinario Falcone. Al 79′, su un meraviglioso cross di Pellegrini, Vecino si avventa sul pallone e scheggia l’incrocio. Ci prova diverse volte Pedro, ci prova anche Guendouzi, ma i biancocelesti non riescono a trovare la via del gol. Il Lecce si difende egregiamente e, sullo scadere, arriva anche il rosso per Romagnoli, che commette un fallo di nervosismo e viene punito con il rosso diretto dal direttore di gara. Si conclude così il campionato arduo del Lecce, che conquista la salvezza, così come si conclude anche quello della Lazio, che nel corso dell’anno é stata davvero troppo discontinua, dovendo così pagare il prezzo dell’esclusione dalle competizioni europee.
Empoli-Hellas Verona
Rammarico Azzurro, l’Empoli retrocede in Serie B per mano di un crudele Verona
In un Castellani gremito più che mai, l’Empoli giunge all’atto conclusivo di questa stagione come uno dei grandi fallimenti. In Zona Retrocessione piena, la squadra di D’Aversa arriva all’ultima giornata con il compito di accaparrarsi l’ennesima salvezza insperata, contro un Verona determinato, nonostante tutto, a vincere. In appena tre minuti e venti il Verona riesce a sbloccarla: la rimessa laterale battuta da Tchatchoua arriva, alla fine, tra i piedi di Serdar, che dal limite dell’area calcia e buca un imperfetto Vasquez, portando avanti l’Hellas, subito arrembante. Con due calci di punizione di Esposito e un tiro dalla distanza di Fazzini, abbastanza insidiosi, l’Empoli impensierisce e non poco Perilli, la cui porta viene finalmente violata al 43′, quando la respinta proprio dell’estremo difensore scaligero finisce sui piedi proprio di Fazzini, che in tuffo arriva sulla sfera e, pizzicando la traversa, insacca il gol del pareggio che rialza il morale azzurro. Il secondo tempo comincia esattamente come il primo, nonostante un atteggiamento leggermente più conservatore da parte di entrambe le compagini, il Verona gestisce il gioco e, al 69′, arriva il gol del 2-1. Un ennesimo cross di Tchatchoua dal settore destro del campo pesca l’inserimento di Bradaric, che, totalmente da solo, batte Vasquez e riporta avanti l’Hellas per quello che sarà il definitivo 2-1. Negli istanti conclusivi del match, com’è ovvio che sia, l’Empoli prova un forcing disperato, cercando la conclusione da qualsiasi angolo e con qualsiasi soluzione, senza però riuscire a trovare la via del gol e venendo così condannato ad un’amara e, per quelle che erano le premesse di inizio stagione, inaspettata e crudele retrocessione, per mano di un Verona che vince e si salva matematicamente all’ultima giornata.
Torino-Roma
L’ultima danza di Ranieri é perfetta, ma invano. Niente Champions per i giallorossi.
All’Olimpico grande Torino, Toro e Roma arrivano per mettere un sigillo definitivo alla stagione 2024/2025. L’ultima danza di un meraviglioso Claudio Ranieri va in pista con l’obbligo di vincere, sperando in quella che sarebbe una clamorosa debacle della Juventus per una qualificazione in Champions apparentemente impossibile ad inizio stagione. I Giallorossi partono subito forte e nei primi cinque minuti un palo esterno di Shomurodov e una traversa alta scheggiata da Paredes spaventano la squadra di Vanoli. Al 15′ minuto Saelemekers viene stesso al limite dell’area e l’arbitro assegna il tiro dagli undici metri alla Roma, perfettamente realizzato da Paredes per il gol sell’1-0, quasi raddoppiato, pochi istanti dopo, da un tiro di Koné ironicamente salvato da Shomurodov che devia in rimessa dal fondo. Né nel primo, né nel secondo tempo, il Torino sembra scendere il campo, lasciando il pallino del gioco totalmente nelle mani dei giallorossi, che al 53′ ne approfittano raddoppiando con Saelemekers, che, totalmente da solo, viene pescato da Soulé con un cross precisissimo, che gli consente di colpire di testa spiazzando Milinkovic-Savic. Al 65′ Soulé viene raggiunto con un lancio lungo sull’out di destra e, rientrando, cerca un sinistro a giro, che però si infrange sulla traversa scheggiandola e mantenendo il risultato invariato. Nel quarto d’ora finale il Torino prova timidamente a farsi vedere, ma un paio di semplicissimi interventi di Svilar fanno svanire ogni speranza, con la Roma che torna ad attaccare. A circa sette minuti dal termine Cristante sigla anche il gol del 3-0, annullato però per il fuorigioco iniziale di El Shaarawy che viene punito. Dopo il triplice fischio, l’Olimpico Grande Torino si scioglie in un “abbraccio” per Claudio Ranieri, inquadrato, nel finale di gara, durante un emozionante abbraccio con Paulo Dybala. A lui il merito di aver portato, molto vicino alla Champions League, una Roma che ad inizio stagione pareva disastrata, compiendo, così, l’ultimo dei suoi grandi miracoli.
Calcio
L’Inter vince ma non basta. Il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta

L’apertura dell’ultimo weekend di campionato coincide con la chiusura del discorso scudetto, perché il Napoli supera l’ostacolo Cagliari e si laurea campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia. Non basta la vittoria dell’Inter in casa del Como, perché i partenopei riescono a blindare il successo grazie alle reti di McTominay e Lukaku.
Il racconto di un finale di stagione al cardiopalma, come non si viveva da quasi quindici anni.
Un finale dai tanti significati e dalle mille sfaccettature, due cornici che definire splendide è riduttivo. Da una parte un palcoscenico unico, in quel ramo del lago di Como; dall’altra il Diego Armando Maradona di Napoli, il catino nel quartiere di Fuorigrotta che ribolle di passione ed energia per una delle serate più attese e intense degli ultimi anni.
Napoli-Cagliari
Novanta minuti per coronare un sogno, una città intera riversata per le strade e nei seggiolini del Maradona. Tutta Napoli è in campo e fuori dal campo per l’ultimo atto, il più atteso. Conte, squalificato (come Inzaghi a Como) e sostituito dal vice Stellini, non ha particolari dubbi per gli undici che scendono in campo: con Buongiorno e Lobotka ancora una volta acciaccati, la scelta ricade nuovamente su Olivera e Gilmour. Quarto gettone al centro della difesa per Mati Olivera, sempre più in confidenza con il ruolo, mentre lo scozzese fa reparto insieme al connazionale McTominay e Anguissa. In avanti Raspadori e Lukaku ormai fanno coppia fissa, mentre Neres parte dalla panchina ma sicuramente troverà spazio a gara in corso. Il Cagliari schiera gli uomini migliori, anche se i sardi arrivano al Maradona con un paio di assenze importanti (Luvumbo, Pavoletti, Caprile e Gaetano su tutti).
NAPOLI: Meret, Di Lorenzo, Rrahmani, Olivera, Spinazzola, Gilmour, Anguissa, McTominay, Politano, Raspadori, Lukaku
CAGLIARI: Sherri, Zappa, Mina, Luperto, Zortea, Adopo, Makoumbou, Deiola, Augello, Viola, Piccoli
Tra le note splendide di Live is Life il Maradona cerca di vivere una di quelle sere che viveva regolarmente ai tempi di Diego, una magia che non si basa sul prestigio del mago ma sul cinismo dei duellanti. Non è cambiata la passione e l’energia di uno stadio che trasuda calcio, tutto colorato di quell’azzurro “Ca rassumiglia ‘o cielo e ‘o mare ‘e sta città”.

Foto: X Lega Serie A
|| PRIMO TEMPO ||
Al fischio iniziale di La Penna tutta la letteratura si concentra sul rettangolo verde. Napoli subito in pressione altissima sui portatori di palla, il Cagliari accoppia Mina a Lukaku, e quei due si daranno battaglia fino all’ultimo secondo. Due pilastri, i due riferimenti e i due leader tecnici ed emotivi. Fin dai primi minuti McTominay è praticamente l’attaccante aggiunto, ma ormai non è più una sorpresa, e i cross sono la soluzione preferita dei partenopei. Si gioca fin da subito in una sola metà campo, e Raspadori spaventa la porta di Sherri con un diagonale mancino che sibila con il palo sinistro. In avvio tutti i palloni indirizzati verso il centro dell’area trovano un gigante colombiano a svettare, Yerry Mina domina in avvio e il Napoli trova l’occasione principale in ripartenza, quando il difensore rossoblù è nell’area azzurra e i partenopei ripartono con la velocità di Spinazzola e l’inserimento di Gilmour, provvidenziale l’uscita di Sherri. I maggiori corridoi il Napoli li trova a destra, con Politano e Raspadori in costante proiezione offensiva. Gli azzurri sono costantemente in forcing offensivo, e al 13′ Sherri sbarra la strada al destro -a botta sicura- di Rrahmani. L’Inter va in vantaggio al Sinigaglia, ma il copione della gara del Napoli non sembra subire variazioni, il ritmo si mantiene altissimo e al riaggressione dei giocatori di Conte è furibonda, si viaggia su binari altissimi. Lukaku cerca di riconsegnare il primato momentaneo ma Sherri e Mina si oppongono, il belga trova lo spazio per calciare ma il suo mancino è stoppato dalla scivolata del colombiano. I toni agonistici sono alti sopra ogni limite, a tal punto che La Penna sceglie il pugno di ferro: dopo un primo accenno di rissa, ammoniti sia Makoumbou che Politano. Le proteste del Napoli sono per una manata del centrocampista rossoblù su Raspadori. Ci sono problemi di comunicazione tra l’arbitro e il VAR, e per riprendere il gioco ci vogliono quasi cinque minuti, ma la decisione rimane quella di campo. Il Cagliari nel primo tempo alza il muro per grandi meriti di Sherri, impreciso in uscita ma prezioso nelle respinte con le mani, come quella su Spinazzola a cinque dagli spogliatoi. Lo sbarramento rossoblù crolla al minuto 41, quando McTominay si inventa il gol dell’anno: cross morbido a girare di Politano, McTominay decide di regalare un’immagine da “album Panini” e in semi-rovesciata batte Sherri. Un gol meraviglioso di un giocatore maestoso, l’uomo in più in questa stagione azzurra. Dal Maradona non si alza solo un urlo liberatorio, ma una nebbia sempre più fitta causata dai fumogeni del tifo partenopeo. All’intervallo si va sull’1-0 e adesso è tutto in discesa.
|| SECONDO TEMPO ||
Nessuna sostituzione da parte dei due allenatori, anche se dagli spogliatoi il Cagliari prova a uscire con maggiore coraggio e intraprendenza. I rossoblù cercano un fraseggio più ragionato e pulito, complice un blocco basso e una pressione meno intensa da parte del Napoli. Nelle uscite gli azzurri trovano più difficoltà, e la giocata codificata verso Lukaku è spesso schermata, ma quando il belga trova spazio è devastante. Al 50′ lancio lungo verso Lukaku, il numero 11 vince il contrasto con Mina e con una potenza inaudita arriva davanti a Sherri e lo buca in diagonale. Quattordicesimo centro per Lukaku, sicuramente il più importante perché con due gol di vantaggio adesso lo scudetto è tanto, tantissimo, vicino. Nicola ne cambia tre per mantenere alta la concentrazione: vanno fuori Zortea, Makoumbou e Viola, entrano Mutandwa, Palomino e Marin. La scelta di Conte invece è David Neres, scelto al posto di uno stremato Politano. Applausi scroscianti del Maradona per uno dei pretoriani fedelissimi di Conte, sempre prezioso in fase di non possesso oltre che in attacco. Il brasiliano ha subito l’occasione per mettere la firma finale, ma Sherri gli sbarra la strada al momento della conclusione. La difesa del Cagliari non riesce più a contenere Lukaku, e tutte le azioni partenopee passano dal “nuraghe” belga. La gestione del risultato diventa quasi semplice, a tal punto che il Napoli cerca di sfondare ogni volta che può, perché il Cagliari non riesce a impensierire la porta di Meret, che oggi si può considerare uno spettatore non pagante. Il Cagliari è in balia del possesso e della spinta emotiva che il Maradona fornisce agli Azzurri. Conte cerca di giocare anche con l’emotività dello stadio, e richiama fuori Lukaku per una standing ovation che riflette la stagione da leader del belga; al suo posto dentro Simeone, ex di giornata. Nel frattempo, tra le file sarde, Obert ha rilevato Augello. La girandola di sostituzioni smorza il ritmo della partita, e nel finale Nicola regala l’esordio in A per il terzo portiere Ciocci, al posto di un ottimo Sherri, prezioso con le sue parate nel primo tempo per ritardare la gioia del Maradona. Mancano solo dieci minuti e ormai tutto lo stadio si comincia a sciogliere perché la pratica è ufficiosamente chiusa. Anguissa termina la benzina e Conte ne approfitta per chiudere i cambi con Billing, Mazzocchi (per Spinazzola) e Ngonge (per Raspadori), ma ormai rimane solo l’ultimo squarcio di partita prima della festa generale.
“Napule è mille culure”, una delle frasi più famose di una voce pura e limpida come il mare partenopeo. La voce di Pino Daniele presenta una varietà immensa di colori, ma questa sera Napoli si tinge di azzurro, oltre al tricolore che viene sollevato al cielo di Fuorigrotta per la quarta volta nella storia del club partenopeo. Una stagione di altissimo livello, terminata nel migliore dei modi grazie alle firme dei due working class hero voluti da Conte. La straripante forza di Lukaku, la polivalenza e il dominio del gioco di Scott McTominay sono state le chiavi principali per un successo che rimarrà nella storia azzurra. E poi c’è il comandante, la guida spirituale di questa cavalcata. Antonio Conte lo ha fatto ancora, per l’ennesima volta è sul tetto d’Italia. Una vittoria che porta la sua firma nelle modalità e nell’identità. Il tecnico leccese è riuscito a “friggere il pesce con l’acqua“, è andato contro i suoi principi basilari di gioco ed è riuscito a rendere questo Napoli un ingranaggio non sempre perfetto, ma terribilmente funzionale per raggiungere la vetta più alta della Serie A, per la quarta volta.
Meno dominante, con più pathos e meno protagonisti, ma ancora una volta Napoli è sul tetto d’Italia.
Como-Inter
Con la consapevolezza di non avere concretamente il destino nelle proprie mani, e con una finale di Champions League sullo sfondo, l’Inter cerca di chiudere con una vittoria al Sinigaglia di Como, ma la gestione è tutta finalizzata verso la gara di Monaco di Baviera. Ritornano in squadra gli acciaccati Frattesi e Lautaro Martinez, ma Inzaghi -squalificato contro la Lazio, sostituito dal vice Farris- sceglie una strategia conservativa: a riposo quasi tutti i “big”, eccezion fatta per Sommer, Calhanoglu e Dimarco, e conferme di alcuni volti che hanno ben vinto nell’ultima trasferta contro il Torino. Ancora una volta Zalewski agisce in mezzo al campo, insieme a Calhanoglu e Asllani, altra chance in cabina di regia per l’albanese. L’attacco è sorretto da Taremi e Correa, chiamati a dare un segnale per il presente, ma soprattutto per il futuro all’interno del club nerazzurro. Fabregas risponde con le sue solite scelte mirate e coraggiose, con la presenza tra i pali di Pepe Reina, all’ultima gara in carriera a 43 anni, mentre la difesa è inedita.
COMO: Reina, Van Der Brempt, Dossena, Kempf, Valle, Perrone, Da Cunha, Caqueret, Nico Paz, Strefezza, Douvikas
INTER: Sommer, Bisseck, De Vrij, Carlos Augusto, Darmian, Calhanoglu, Asllani, Zalewski, Dimarco, Correa, Taremi
Un decimo posto conquistato con un’ideale e uno spirito unico. Il Como chiude il campionato con una maglia speciale e con più risposte che domande. L’Inter invece cerca di dare un senso a questo finale di stagione, alla ricerca di una notizia sorprendente da Napoli.
|| PRIMO TEMPO ||
Si gioca subito a un ritmo altissimo, ma non era una sorpresa vista l’identità del Como e la ricerca del fraseggio da parte dell’Inter. I rischi principali per la porta di Sommer arrivano quando i lariani sono in pressione alta, e il primo brivido è un destro di Van Der Brempt su cui il portiere svizzero non ha problemi. In ripartenza l’Inter sfiora il vantaggio con la classica ricerca dei due esterni, Dimarco mette in mezzo un cioccolatino che Darmian scarta anche bene, ma non fa i conti con Perrone, provvidenziale nel salvare sulla linea. In mezzo al campo l’Inter trova le giocate per scardinare il blocco unito del Como, specialmente nella parte sinistra dove Zalewski non viene marcato bene da Nico Paz. Anche la squadra di Fabregas ha spazio tra le linee e in uno sviluppo Massa estrae il primo giallo: ammonito Calhanoglu per un intervento in netto ritardo su Perrone, il turco era diffidato e salterà la prima del prossimo campionato (o l’eventuale spareggio scudetto). Si gioca in fazzoletti di campo, e la differenza la fa la qualità dei singoli, soprattutto nella trequarti. Il Como rimane in pressione altissima, e la sensazione è quella confermata non solo alla vigilia, ma nelle ultime settimane lariane: coraggio e spregiudicatezza, contro qualsiasi avversario. L’Inter però si conferma micidiale sui piazzati, e al 20′ i nerazzurri passano in vantaggio: corner di Calhanoglu, traiettoria a uscire e incornata maestosa, ma solitaria, di Stefan De Vrij (oggi capitano). È la rete numero 26 da palla inattiva per la squadra di Inzaghi, un marchio di fabbrica a tinte nerazzurre. Il momentaneo primato non stravolge l’inerzia della partita, perché il Como non cala di intensità. Prova a riaccendersi il solito Nico Paz, sempre prezioso e intraprendente con le sue giocate da funambolo. L’Inter continua a soffrire il pallone spiovente sul secondo palo, e in questo fondamentale serve un altro intervento sicuro di Sommer per chiudere lo specchio a Van Der Brempt. In contropiede la squadra di Inzaghi ha delle praterie, ma Taremi pecca di freddezza e alla mezz’ora fallisce il raddoppio calciando addosso a Reina. Il calcio sa regalare intrecci e storie sempre più variegate, non sempre romantici come si desidera. A ridosso dell’intervallo Taremi viene steso da Reina in uscita, in prima battuta l’iraniano prosegue l’azione ma scivola subito dopo, ma il VAR richiama Massa e l’intervento del portiere spagnolo è falloso: cartellino rosso e punizione dal limite. L’immagine dell’uscita di Reina è unica, perché tutto lo stadio e gli avversari si concedono un momento di applausi e standing ovation per la carriera di un portiere, anzi un portierissimo. Al suo posto entra Butez, ed esce un anonimo Caqueret, che nel primo tempo si è visto pochissimo. La notizia del vantaggio del Napoli arriva a ridosso dell’intervallo, e la gestione emotiva della ripresa diventa l’argomento principale per l’Inter, chiamata a chiudere la partita sfruttando la superiorità numerica.
|| SECONDO TEMPO ||
Il Como cerca di far sentire la propria voce già dall’inizio, a tal punto che Da Cunha costringe De Vrij al fallo al limite dell’area. Cartellino giallo per l’olandese, che rischia di mettere in salita il suo secondo tempo. Il Como ha una marcia in più, ma l’Inter ci mette pochi minuti per raddoppiare, questa volta in ripartenza: Correa scatta sulla sinistra, splendida finta di tiro con il sinistro e destro piazzato che batte Butez. Il 2-0 indirizza la partita ma nello stesso momento il Napoli trova il raddoppio e mette in discesa il discorso scudetto. Fabregas cerca di riaccendere la miccia aumentando l’esperienza e il peso in avanti: fuori Douvikas e dentro capitan Cutrone. Bisseck accusa un problema al ginocchio e rimane a terra, Inzaghi non rischia nulla e muove la panchina con tre mosse: Barella, Acerbi e Dumfries al posto di Bisseck, Dimarco e Calhanoglu. Prime rotazioni tra le fila nerazzurre, e visto il risultato del Maradona la gestione mira alla finale di Monaco di Baviera. Il Como allenta il ritmo, anche se cerca di riaccendere la propria partita. Nico Paz cerca di mettersi in proprio in più occasioni, ma nell’ultimo passaggio lui e Cutrone peccano di lucidità e freddezza. L’Inter rallenta la partita, e con le sostituzioni cerca di smorzare il ritmo. Arnautovic rileva Taremi, ancora una volta impreciso e poco freddo. La prestazione dell’iraniano è la copertina della sua stagione, sicuramente al di sotto delle aspettative, visti i numeri strepitosi registrati nella sua precedente avventura al Porto. Inzaghi regala l’esordio in A per il giovane Topalovic, mentre tutto il Sinigaglia si concede la standing ovation per Nico Paz, il cui futuro è ancora incerto visto il pressing del Real. Entra anche Iovine, che ha deciso di chiudere questa sera la sua carriera calcistica all’età di 33 anni. Nel finale ormai non c’è più nulla da difendere, né da attaccare, e dopo tre minuti di recupero Massa fischia la fine.
L’Inter conclude il suo campionato con una vittoria, ma non basta per tentare il sorpasso miracoloso. Non è bastato un successo costruito e ottenuto con la solita lucidità e praticità, perché il Napoli ha fatto il suo dovere, ma la stagione della squadra di Inzaghi rimane di alto livello, anche se la finale di Champions diventa lo spartiacque per valutare al meglio la stagione nerazzurra. Il Como saluta due pilastri come Reina e Iovine, e adesso il futuro è tutto da scrivere, anche se la prima penna mostrata quest’anno è stata certamente di livello.
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