Calcio
Il Supercommento della 33ª giornata di Serie A

Il commento completo di tutte le partite, con la Top 11 alla fine, della trentatreesima giornata di Serie A
Lecce-Como (A cura di Dennis Rusignuolo)
Nico Paz inventa, Diao fa doppietta: il Como consolida la salvezza, il Lecce ora è nei guai
Fabregas va alla ricerca del terzo successo consecutivo in Serie A, che ai lariani non riesce da 73 anni, e si affida nuovamente a Douvikas. Il greco si è sbloccato contro il Torino e ritrova nuovamente una maglia da titolare al centro dell’attacco, sorretto dai soliti Paz-Diao e Ikoné (sempre più in alto nelle gerarchie del tecnico spagnolo). Giampaolo conferma la formazione dell’Allianz Stadium, ritornando però alla difesa a quattro. Il copione della gara del Como è praticamente lo stesso da inizio anno, con i lariani alla ricerca del dominio del gioco attraverso il possesso costante del pallone. Fondamentale il ritorno di Nico Paz dal primo minuto per la manovra offensiva della squadra di Fabregas. Primo squillo salentino dopo il quarto d’ora con una splendida girata di Morente che Butez mette in angolo. Dopo l’inizio in apnea i salentini riprendono fiato e coraggio e il match diventa più equilibrato. Gaspar non arriva su una palla vagante davanti a Butez perdendo una grande chance per il vantaggio interno. La replica è di Perrone con un tiro al volo dal limite di poco alto. Alla mezz’ora grandissima occasione per Douvikas che solo davanti a Falcone incrocia troppo il diagonale mettendo a lato di un soffio. Al 33′ passa il Como: Nico Paz accelera, tocco sotto per saltare Ramadani, lancio che mette Diao solo davanti a Falcone. Rasoterra che porta avanti i lariani, ma il guardalinee alza la bandierina per segnalare il fuorigioco del marcatore. Ci vuole l’intervento del Var per convalidare il vantaggio della squadra di Fabregas. Settimo gol per uno straripante Assiane Diao, arrivato nel mercato di gennaio e già in cima alla classifica dei marcatori del Como. Nel secondo tempo il Lecce ci prova, ma la porta di Butez sembra stregata: al 51′ Krstovic non riesce a superare Goldaniga dopo un’uscita a vuoto di Butez su palla inattiva. Poi Gaspar non arriva di testa per un soffio sulla punizione tagliata di Morente. I giallorossi prendono coraggio e spingono, e all’ora di gioco Butez arriva con la mano aperta a mettere in angolo il gran tiro da fuori di Morente indirizzato sotto la traversa. Fondamentali gli interventi del portiere francese, che permettono al Como di mantenere il vantaggio, fino a quando la girandola di cambi di Fabregas ribalta nuovamente l’inerzia della gara. Il ritmo si smorza improvvisamente, e questa condizione non fa altro che giovare alla strategia del Como, ma i lariani a ridosso del novantesimo chiudono la pratica: al minuto 88 Da Cunha mette in mezzo un gran cross verso il centro, Goldaniga stacca di testa e buca Falcone. Torna al gol il difensore italiano (ammonito durante la gara, salterà la prossima), dopo un digiuno che durava da ormai cinque anni. Nel recupero mette un altro sigillo lo scatenato Diao, servito dal grande ex Strefezza, lo spagnolo firma la doppietta e consolida la salvezza del Como. Sembra ormai cosa fatta per la squadra di Fabregas, che nelle ultime gare è riuscita ad abbinare il proprio gioco spregiudicato e intenso con i tre punti. Tre successi di fila non si verificavano da 73 anni, e già nella prossima gara contro il Genoa la salvezza può essere aritmetica. Il Lecce di Marco Giampaolo, contestato dalla tifoseria al triplice fischio, continua la propria caduta libera: l’ultima vittoria risale al 31 gennaio a Parma. Per ritrovare un sorriso tra le mura amiche, i giallorossi devono risalire addirittura al 2-1 sul Monza di metà dicembre, e adesso si comincia a sentire il fiato sul collo di Venezia ed Empoli. L’ennesima prestazione altamente insufficiente è già un campanello d’allarme per il finale di stagione, ma è nella sterilità offensiva che il Lecce preoccupa e non poco i propri tifosi. La sensazione è che l’unica scossa possa arrivare sempre dai piedi di Krstovic, che non ci sarà a Bergamo per squalifica, e adesso per evitare di sprofondare ulteriormente Giampaolo chiede gol e presenza dai vari Pierotti, Tete Morente, Banda e Rebic.
Monza-Napoli (A cura di Tommaso Patti)
Un solo gol che vuol dire aggancio alla vetta. Il Napoli passa di misura contro il Monza
Nella sfida che può far agganciare il Napoli al primo posto per ventiquattr’ore, Conte schiera la miglior formazione (esclusi gli assenti per infortunio) per fronteggiare un Monza sempre più in crisi di risultati e sempre più vicino al baratro.
Nonostante l’evidente differenza della rosa e degli obiettivi, sia il Napoli che il Monza riescono a rendere piacevole un match che per molti poteva sembrare a senso unico. Seppur senza particolari occasioni concrete, il Monza riesce a creare qualche problema al Napoli quando è in fase di palleggio. Il primo guizzo dei partenopei arriva al quarto d’ora inoltrato, quando sul calcio di punizione battuto da McTominay, Turati si fa trovare pronto e riesce a respingere la conclusione potente ma centrale dell’ex Manchester United. Il buon periodo del centrocampista scozzese viene evidenziato un giro d’orologio successivo, quando su una ripartenza, il numero otto azzurro riesce a far salire la squadra per poi essere invitato al tiro dall’assist di Spinazzola, conclusione che viene murata in corner da un ottimo intervento di Caldirola. Sul conseguente calcio d’angolo battuto da Gilmour, il colpo di testa di Rrahamani indirizzato sul secondo palo termina di poco a lato. Sulla battuta di un altro corner, è nuovamente McTominay a sfiorare il gol del vantaggio, rete mancata per un soffio dopo il tentativo di mettere il pallone in porta in allungo. La migliore occasioni della prima frazione però è a tinte biancorosse: su un cross che pesca la corsa di Castrovilli, l’ex centrocampista di Lazio e Fiorentina riesce a continuare il possesso palla, saltare Rafa Marin per poi calciare in porta dopo un’azione pazzesca, spedendo però fuori il pallone del possibile uno a zero del Monza. Prima del duplice fischio, un tiro di Bianco da fuori area deviato accidentalmente verso la porta da Dany Mota mette paura al Napoli, che va al riposo con tanto nervosismo vista la poca lucidità sotto porta, e le troppe occasioni concesse al Monza. Nella ripresa, la prima occasione arriva a favore degli uomini di Nesta con il colpo di testa di Caldirola. La risposta degli azzurri arriva qualche minuto più avanti con una conclusione ad incrociare di Politano che costringe Turati ad effettuare una grande parata. Dopo settanta minuti di equilibrio, il Napoli passa in vantaggio con McTominay, che riceve perfettamente il cross di Raspadori, e anticipa con un colpo di testa l’uscita maldestra di Turati. Il terzo gol consecutivo dello scozzese scalda il Napoli, pericoloso a dieci minuti dalla fine con il tiro di Raspadori che viene murato e rischia di diventare nocivo per Turati, che riesce a evitare il gol allungando le mani. La conclusione pericolosa di Simeone è l’ultimo acuto di una partita bella, equilibrata e combattuta, vinta dagli uomini di Conte con tenacia e forza di volontà. Seppur di misura, il successo contro il Monza ridà al Napoli la continuità giusta per inseguire il sogno scudetto. Il decimo gol di McTominay fa sprofondare sempre di più il Monza che, con soli 15 punti, si trova a undici punti dalla zona salvezza, che ormai è solamente un miraggio.
Roma-Hellas Verona (A cura di Tommaso Patti)
La Roma non molla e sogna la Champions. La rete di Shomurodov stende il Verona.
Nella giornata che vede impegnate tutte le pretendenti della Champions in gare molto complicate, la Roma è chiamata a fare una grandissima prestazione contro il Verona, inbattuta nelle ultime quattro gare. Dopo la bellissima atmosfera del derby, anche contro il Verona, l’Olimpico si veste del miglior abito per spingere il giallorossi al successo. La prima occasione della gara è a favore dei veneti, che vanno vicini al gol del vantaggio con Sarr, che viene lanciato verso la porta ma spreca un enorme opportunità. Alla grande occasione da gol sbagliata da Sarr, la Roma risponde colpendo in contropiede, riuscendo a trovare la rete dell’1-0 con una grandissima azione nata da un lancio millimetrico di Cristante per Soulé, che stoppa il pallone, salta due avversari e imbuca per Shomurodov, autore del gol del vantaggio dopo appena quattro minuti. L’uomo che è riuscito a raddrizzare le ultime partite da subentrato, riesce a ripagare la fiducia di Ranieri trovando la sua quarta rete in stagione. Il botta e risposta tra la Roma e il Verona continua sotto il segno di Mosquera e Sarr, autori di un ottimo fraseggio che mette in pericolo la difesa giallorossa. Nella stessa azione, Ghilardi riceve palla da Amin Sarr e calcia di prima intenzione, ma la sua conclusione termina alta. Dopo lo scampato spavento, la Roma reagisce con l’uomo più in forma: dopo l’eurogol segnato nel derby e l’assist vincente per Shomurodov, Soulé punta Bradaric e calcia di potenza sul primo palo, trovando però l’opposizione di Montipò. Dopo un finale di primo tempo poco avvincente e con poche azioni pericolose, Hellas Verona ritorna a farsi vedere nella metà campo avversaria grazie al duello vinto da Mosquera contro Mancini, terminata con la conclusione dell’attaccante colombiano che viene deviata in calcio d’angolo. La conclusione di Baldanzi al 53’ e la girata quasi vincente di Dovbyk, sono gli ultimi due squilli di una partita con poche occasioni ed emozioni. Nonostante una partita al di sotto delle aspettative (dato l’ottimo periodo di forma), la Roma può rendersi soddisfatta per l’ennesima prestazione positiva di Svilar e Shomurodov. Se i tre punti avvicinano la Roma alla zona Champions League, la sconfitta del Verona risuona più forte nell’aria poiché arriva dopo gli ottimi risultati ottenuti contro Genoa, Torino, Parma e Udinese.
Empoli-Venezia (A cura di Dennis Rusignuolo)
Dalla noia ai fuochi d’artificio, ma il pareggio non “salva” nessuna delle due
DiFra rivoluziona va alla ricerca di un successo da sei punti, e lo fa rinunciando un po’ a sorpresa a Oristanio. Il fantasista italiano parte dalla panchina, al suo posto viene avanzato Busio alle spalle di Gytkjaer. Nei toscani Fazzini ed Esposito agiscono alle spalle di Colombo, per il resto il modulo e gli interpreti sono sempre gli stessi. L’Empoli fa la partita in avvio, ma sono i toscani che rischiano su una punizione di Nicolussi Caviglia al 13’, bravo Vasquez a ribattere con i pugni. Al ventesimo l’Empoli sfonda per la prima volta con Fazzini, ma Marcandalli è prodigioso nel recupero sul centrocampista toscano. I lagunari rischiano grosso al minuto 24: su un pallone messo in mezzo da Cacace, Radu rinvia a pugni chiusi, ma la successiva respinta di Candé carambola su Doumbia, che sfiora il clamoroso autogol. Il quasi autogol del centrocampista del Venezia è di fatto la migliore occasione del primo tempo dei toscani, mentre per il Venezia i pericoli principali arrivano sempre dalla stessa fonte: Nicolussi Caviglia. Il centrocampista azzurro impegna di nuovo Vasquez, che sul cross dalla destra di Zerbin per Doumbia costringe il numero uno colombiano a una respinta-capolavoro. Tutta un’altra storia dopo l’intervallo. Pronti, via e dopo ottanta secondi l’accelerazione di Colombo costringe Marcandalli al fallo, quando l’attaccante era ormai lanciato a rete. Cartellino giallo, fra le proteste dei toscani che avrebbero voluto l’espulsione, ma il provvedimento non viene cambiato in quanto Marcandalli non era l’ultimo uomo. La gara si sblocca al minuto 59 con il primo gol stagionale di Jacopo Fazzini, che batte Radu al termine di un’azione favorita da un errore di Busio, con il successivo cross preciso di Henderson in area, il trequartista dell’Empoli brucia Idzes e porta in vantaggio l’Empoli. Galvanizzati dal vantaggio, i ragazzi di D’Aversa sfiorano il raddoppio con Esposito, ma il Venezia trova una scintilla che riapre la partita: corner teso di Nicolussi Cavigliasul secondo palo, grave l’errore di lettura di Vasquez, che esce a vuoto e regala a Yeboah la zampata vincente a porta vuota. Pareggio che rimette in equilibrio la gara, anche se il Venezia acquisisce nuova linfa dalla girandola dei cambi. I fuochi d’artificio vengono accesi definitivamente a cinque dalla fine: all’85’ Busio trova il colpo da biliardo sul cross di Yeboah, poi arriva il pareggio di Tino Anjorin. Il centrocampista inglese -una delle sorprese del campionato nel girone d’andata- vince un contrasto, supera un avversario e batte Radu con un destro a giro meraviglioso. La perla di Anjorin è l’ultima scintilla di un match che si è acceso sempre di più verso la fine, ma che termina con un nulla di fatto. Un bottino praticamente vuoto per entrambe le squadre, perché l’occasione di uscire dalla zona retrocessione era ghiottissima e con il pari la situazione rimane invariata. L’Empoli rimane al penultimo posto, ma sembra aver ritrovato conferme importanti per il rush finale, a cominciare dai gol di Fazzini e Anjorin. Dall’altra parte il Venezia presenta una versione piuttosto inconsueta di sé stessa: da una parte di due gol realizzati, in risposta alla sterilità offensiva che ha condizionato il girone di ritorno dei lagunari; da sottolineare, però, anche i due gol subiti da Radu. La duttilità del muro difensivo aveva permesso al Venezia di conquistare risultati importanti, e adesso il focus si concentra sulla prossima gara, per mostrare effettivamente che Venezia affronterà le ultime gare per cercare una salvezza vicina, ma al momento ancora lontana.
Bologna-Inter (A cura di Tommaso Patti)
Fatal Bologna per l’Inter. La magia di Orsolini stende i nerazzurri
Nella domenica di Pasqua, va in scena la partita di cartello della trentatreesima giornata di Serie A, la super sfida tra Bologna e Inter, valida sia per la Champions League sia per l’apertissima lotta scudetto. I quaranta giorni di fuoco dei nerazzurri partono proprio dal Dall’Ara, dove Simone Inzaghi decide di non attuare turnover nonostante l’imminente sfida in Coppa Italia contro il Milan. La prima palla gol della partita arriva su un’imbucata di Çalhanoğlu per Lautaro Martínez, che scappa alla stretta marcatura di Lucumi, e prova a sorprendere Ravaglia con un tocco morbido, ma la conclusione del capitano dell’Inter viene deviata dal portiere rossoblu in corner. Sugli sviluppi del calcio d’angolo battuto da un ispirato Çalhanoğlu, Carlos Augusto riesce a liberarsi dalle marcature e a colpire indisturbato la sfera, terminata di poco al lato. Dopo aver subito due pericolose azioni da gol nel giro di tre minuti, il Bologna risponde con un’azione in solitaria di Ndoye, conclusa dall’esterno svizzero con un tiro insidioso e angolato. Proprio dai piedi di Ndoye, il Bologna costruisce l’azione più pericolosa del primo tempo: dopo aver superato con uno scatto in velocità Acerbi, la freccia felsinea scarica un cross arretrato per Dallinga, che calcia di prima intenzione, ma non trova la gioia del gol a causa di un salvataggio miracoloso di Pavard. L’assenza in attacco di Turan, sostituito da Correa, non dai i propri frutti, e di conseguenza l’Inter prova a colpire i padroni di casa tramite calci piazzati. L’ennesimo gol sfiorato dall’Inter con il colpo di testa di Bastoni che terminata alto, è l’ennesima prova di una squadra che riesce a imporre il proprio gioco, nonostante le difficoltà. Nella ripresa però, complice la stanchezza, il nervosismo e anche tanto merito del Bologna, l’Inter si spegne e lascia prendere il domino del gioco ai padroni di casa, che vanno vicini al gol dell’uno a zero con il tiro a giro di Dominguez. Ad una manciata di minuti dalla fine, l’Inter si rende per la prima volta pericolosa nella ripresa grazie ad una rimessa laterale battuta verso l’interno dell’area di rigore avversaria da Carlos Augusto, che obbliga l’uscita con i pugni di Ravaglia, disturbato in maniera irregolare da Lautaro, che fa terminare il pallone sul palo per poi essere recapitato e spinto in porta dal tap-in di Taremi, ma l’intervento miracoloso di Miranda salva la difesa di casa. Con il trascorrere del tempo, gli innesti di Simone Inzaghi non danno i frutti sperati, mentre quelli di Vincenzo italiano iniziano a produrre qualcosa di importante negli ultimi istanti di gara. Il colpo di testa di Cambiaghi, dimenticato totalmente dalla retroguardia nerazzurra, è solamente uno dei primi fatali errori della difesa nerazzurra negli ultimi minuti di gioco. Al terzo dei quattro minuti di recupero, nel tentativo di Bisseck di spazzare il pallone, Orsolini raccoglie l’involontario assist del tedesco e lo spedisce dritto in porta con una giocata mozzafiato che regala i tre punti al Bologna. Dopo aver fermato i nerazzurri in lotta per lo scudetto già nella stagione 2021/22, i felsinei frenano nuovamente la formazione allenata da Simone Inzaghi. Con la vittoria sui nerazzurri, il Bologna può sognare ancora più concretamente un piazzamento che vale la partecipazione alla prossima Champions League. L’eurogol di “Orsonaldo”, costringe l’Inter a non fare più passi falsi per continuare a rimanere in lotta per lo scudetto.
Milan-Atalanta (A cura di Simone Scafidi)
Ederson gela San Siro, l’Atalanta brilla a Milano
Con la corsa per la Champions ancora apertissima, l’Atalanta deve cercare di portare a casa il maggior numero di punti possibili, per lasciare indietro le contendenti, mentre il Milan deve cercare di risvegliarsi per sollevare il finale di una stagione di Serie A tutt’altro che positiva. La prima metà del primo tempo presenta una fase di stallo abbastanza monotona, durante la quale le due squadre tardano a compiere la prima mossa, in attesa di un varco attraverso il quale sferrare il loro primo colpo. Al 24’ Pasalic e Cuardado scambiano sul settore destro avanzato del rettangolo di gioco, con il fraseggio che termina con il cross al centro per Retegui, la cui girata termina a lato della porta di Maignan. I rossoneri, dopo venti minuti, rispondono con Jovic, che a sua volta si gira all’interno dell’area cercando una conclusione forte che però non impensierisce Carnesecchi, spettatore della traiettoria fuoriuscente del pallone. Nel secondo tempo il Milan sembra iniziare meglio, per poi lasciare spazio però all’azione decisiva della squadra di Gasperini. Dai piedi di Lookman parte un precisissimo cross per Bellanova, che di testa inserisce un pallone all’interno dell’area sul quale si avventa Ederson, che con la testa insacca Maignan e porta in vantaggio l’Atalanta. Appena otto minuti dopo Lookman prova a raddoppiare, sterzando sul suo solito destro ma calciando alto sopra la porta rossonera. La vera occasione per il raddoppio arriva al 74’ con Retegui che colpisce a botta sicura senza però inquadrare lo specchio della porta. Con questa occasione e poco altro, e con un Milan probabilmente conservativo in vista del Derby di Coppa Italia, si conclude un match praticamente a senso unico, che vede l’Atalanta avvicinarsi sempre di più alla qualificazione in Champions League.
Cagliari-Fiorentina (A cura di Marco Rizzuto)
La Fiorentina si impone in rimonta, Cagliari k.o. all’Unipol Domus
Con il ritorno in campo all’Unipol Domus, gli isolani cercano la vittoria tra le mura amiche. Per raggiungerla, Nicola opta per una formazione più offensiva rispetto a quella vista contro l’Inter. Tornano titolari Viola e Luvumbo, mentre Coman torna ad essere un’arma da sfruttare a gara in corso. In casa viola, Palladino ritrova Gosens, ma deve rinunciare a Keanper motivi familiari.
Il Cagliari dà il via a un inizio scoppiettante, trovando il vantaggio dopo appena sei minuti: Zito crossa in mezzo, De Gea cerca di allontanare il pallone coi pugni ma serve involontariamente Piccoli, che insacca col sinistro a porta semi-sguarnita da vero rapace d’area. Il dominio sulle fasce è netto, e i rossoblù sfiorano il raddoppio con Zortea, fermato solo dal palo. Dopo il primo quarto d’ora, la Fiorentina comincia a rialzare la testa e spaventa per la prima volta Caprile su calcio piazzato. Mandragora calcia da lontano e colpisce in pieno il legno. Il gol non arriva, ma da quel momento i viola crescono, ritrovando quella lucidità mancata nei minuti iniziali. Il Cagliari continua ad attaccare con generosità, ma concede troppo dietro. I toscani ne approfittano al 35’: Mandragora rifinisce una manovra palla a terra servendo Gosens, che calcia d’esterno sul secondo palo disegnando una traiettoria imprendibile per Caprile. Il finale del primo tempo è vibrante e carico di tensione. In area, Luvumbo si libera con un doppio passo e sfugge a Pongracic, che tenta di rimediare con un intervento in scivolata per intercettare il cross. Il pallone resta lì e il contatto tra i due appare evidente. L’arbitro assegna il rigore senza esitazioni, ma dopo il check al VAR torna sui suoi passi e annulla la decisione. La ripresa si apre con il botto: dopo appena due minuti, Gudmundsson apre per la corsa di Dodô, che crossa al centro per Beltrán. L’argentino svetta di testa e completa la rimonta, coronando una prestazione di grande sacrificio nella prima frazione. Il Cagliari, ferito ma non domo, si riversa nella metà campo avversaria alla ricerca del pari. La Fiorentina però regge l’urto, aiutata anche dalle sostituzioni mirate di Palladino (Parisi per Gosens, Richardson per Fagioli). Dopo una lunga fase di possesso, i padroni di casa riescono finalmente a concludere: Zappa crossa al centro, Mandragora devia male e serve involontariamente Marin, che calcia potente dal limite. De Gea si riscatta, salvando il risultato con un grande intervento. Nel finale, la Fiorentina va vicina all’1-3 con Zaniolo, che calcia forte da pochi passi trovando però un attento Caprile, bravo a deviare in angolo. Dopo sette minuti di recupero, Marinelli fischia tre volte decretando il trionfo Viola e l’inseguimento al sogno europeo. La squadra di Palladino è imbattuta dalla trasferta di Napoli del 9 marzo e ora conta 56 punti in classifica: quattro in più del Milan, nono, e altrettanti di distanza dal Bologna quarto. Sul fronte rossoblù, la sconfitta può essere considerata accettabile, ma Nicola dovrà evitare di giocare col fuoco, il calendario degli solani è pieno di scontri diretti, e l’ultima giornata sarà in casa del Napoli, ancora in piena lotta per il titolo.
Genoa-Lazio (A cura di Marco Rizzuto)
La coppia Taty-Dia espugna il Ferraris: La Lazio passa a Genoa e sogna la Champions
L’avvio di gara al Ferraris è tutto a tinte rossoblù, con un Genoa propositivo ma un Pinamonti dai ferri bagnati sotto porta. Al 12′ Friendrup strappa via la sfera a Guendouzie innesca un pericoloso 2 contro 1: serve Pinamonti che, solo davanti a Mandas, si fa ipnotizzare e spreca una clamorosa occasione per il vantaggio. Dopo qualche minuto di sospensione a causa dei fumogeni lanciati in campo dai tifosi del Grifone, il gioco può riprendere. La Lazio prova a graffiare al 20′ direttamente dal rinvio lungo di Mandas, Castellanos aggancia con classe, serve poi la corsa di Zaccagni, ma il numero 20 viene steso da Otoa, all’esordio in Serie A. L’arbitro non ha dubbi: fallo da ultimo uomo e rosso diretto per il giovane difensore genoano. Con l’uomo in meno il Genoa fatica a tenere botta alle incursioni dei biancocelesti, che alla mezz’ora trovano il vantaggio con il capolavoro al volo di Castellanos, che buca Leali dall’area piccola. Nonostante l’espulsione, Vieira non effettua cambi immediati, e la Lazio chiude il primo tempo in pieno controllo. La ripresa ricalca l’andamento della seconda parte del primo tempo. I biancocelesti sfiorano il raddoppio al 57’: Pellegrini sfonda sulla fascia e serve Rovella, che in allungo non riesce a spingere la palla in rete. Il raddoppio, però, è solo rimandato. Al 65’, Rovella taglia fuori difesa e centrocampo con un filtrante perfetto per Dia che incrocia col mancino spedendo la sfera sul secondo palo chiudendo i giochi. Con due reti di vantaggio la Lazio addormenta la gara approfittando di un genoa non pervenuto. Al 70′, Thorsby interviene in scivolata su Belahyane, strappandogli il pallone. Il centrocampista biancoceleste, però, lo calpesta in modo ritenuto pericoloso dall’arbitro, che dopo il controllo al VAR estrae il cartellino rosso, ristabilendo la parità numerica. Nel finale non si registrano particolari emozioni. La Lazio porta a casa tre punti preziosi nella corsa Champions, approfittando del passo falso della Juventus a Parma. Per il Genoa, una sconfitta indolore, i ragazzi di Vieira navigano già da tempo in acque tranquille e l’obiettivo ora è chiudere la stagione nella top 10.
Torino-Udinese (A cura di Simone Scafidi)
Adams e Dembelè fanno sorridere Vanoli, Udinese battuta
Torino e Udinese, ormai aritmeticamente salve e senza particolari ambizioni, scendono in campo all’Olimpico nel match di recupero della 33ª giornata di campionato. Il match comincia e prosegue a tinte granata sin dal decimo minuto, in cui su situazione di corner Okoye è costretto ad uscire e smanacciare il pallone per evitare ulteriori rischi. Tredici minuti dopo, sempre su situazione di corner, che in questo match l’Udinese sembra patire particolarmente, Maripàn svetta di testa indirizzando il pallone verso la porta, con Ehizibue che si immola e intercetta la sfera praticamente sulla linea. L’Udinese appare distratta e superficiale e al 38’, sfruttando un errore difensivo dei bianconeri, Ricci calcia dalla distanza, con Okoye che interviene anche su Linetty, per poi doversi arrendere al definitivo gol di Che Adams, lasciato totalmente libero di calciare a porta sguarnita. All’inizio del secondo tempo l’Udinese sfrutta un brutto passaggio verticale di Hermès per provare a dare una scossa alla sua partita, con l’azione che termina con il tiro di Atta respinto da Milinkovic-Savic, spettatore non pagante della prima metà di gara. Gli uomini di Runjaic continuano a spingere, dando vita ad un’occasione a dir poco limpida, con un cross di Payero sul quale Lovric non riesce ad arrivare, nonostante la porta davanti a lui fosse praticamente vuota, sprecando così la prima vera chance di pareggiare. Nel corso del secondo tempo, il Torino scompare praticamente dal campo, con l’Udinese che la fa da padrona sul piano del gioco ma che non riesce ad impensierire seriamente l’estremo difensore granata, autore di un paio di interventi molto semplici. Nonostante ciò, a sei minuti dal novantesimo il Toro riesce a mettere il definitivo lucchetto alla partita, con il primo gol in Serie A di Ali Dembelè, che buca un imperfetto Okoye sul primo palo e assicura i tre punti alla squadra di Vanoli. Al triplice fischio il Torino stacca di tre punti l’Udinese, rimanendo fisso al decimo posto.
Parma-Juventus (A cura di Dennis Rusignuolo)
Sprofondo Champions della Juve a Parma. Chivu guida l’impresa e inchioda un’altra big
La corsa Champions dei bianconeri pende dal match del Tardini, e Tudor cerca di mettere subito ulteriore pepe a una sfida dal peso enorme: fuori Yildiz e Koopmeiners (non convocato dopo i problemi accusati contro il Lecce), al suo posto Kolo Muani e Cambiaso. Esordio dal primo minuto per entrambi i giocatori, che nelle ultime gare avevano cominciato sempre dalla panchina. Dall’altra parte Chivu ormai sembra aver trovato il suo scacchiere modello: 3-5-2 con Bonny e Pellegrino in avanti. Dopo il pari di Firenze, e il pareggio in rimonta contro l’Inter (costruito proprio attorno al cambio modulo del tecnico romeno), i crociati cercano di fermare l’ennesima big. Meno di trenta secondi e Locatelli sfiora subito l’eurogol, il capitano bianconero calcia a giro da fuori area, ma il suo esterno destro termina di poco a lato. La gestione Tudor impone nei giocatori della Juve un maggiore agonismo e un pressing feroce a tutto campo, e il Parma cerca di farsi trovare subito pronto. Il ritmo non è particolarmente alto nei primi minuti, la Juve forza subito la giocata verso Vlahovic che inizialmente viene schermato bene dai centrali crociati, anche se il possesso palla nelle prime battute è in mano alla squadra di Chivu. Con Kolo Muani alla ricerca della posizione più ottimale nella parte sinistra, la Juve cerca verticalità nell’attacco alla parte destra del campo. La prima progressione di Nico Gonzalez regala un corner ai bianconeri, ma nella rincorsa il Parma perde Vogliacco per un problema di natura muscolare. Ha dell’incredibile quanto succede al Tardini, perché oltre a Vogliacco, anche Bernabè alza bandiera bianca: Chivu inserisce Estevez e Hainaut ma adesso il copione della gara è tutto da ricostruire. Sponda Juve, invece, le idee sembrano ben chiare, così come gli interpreti. Il jolly tattico di Tudor si conferma Pierre Kalulu, sempre utile con i suoi movimenti in avanti, preziosi per costruire l’offensiva bianconera e mandare fuori giri il pressing crociato. Al ventesimo Nico Gonzalez recupera palla a centrocampo, Kalulu segue l’azione sulla corsia di destra e l’argentino lo serve. Il difensore prosegue palla al piede e alla fine crossa verso il cuore dell’area gialloblù dove c’è Vlahovic che col destro (tentando un colpo di tacco che però non gli riesce) conclude sul primo palo, palla fuori di poco. Il Parma viene fuori grazie al pressing alto voluto da Chivu, e nella parte centrale i crociati hanno due occasioni tra i piedi, una per Bonny e una per il partner Pellegrino, entrambe però non vengono tramutate in rete per centimetri. Al tramonto del primo tempo la maledizione degli infortuni continua a imperversare sul Parma, perché anche Estevez non sembra in grado di proseguire la gara. Chivu sceglie di non sostituire l’argentino e arrivare fino all’intervallo per non sprecare lo slot, e con il Parma in “dieci uomini e mezzo” trova la giocata per stappare la partita: Valeri disegna uno dei suoi soliti cross, potenti e precisi verso il centro, Pellegrino sale in cielo e anticipa i difensori bianconeri, l’incornata dell’argentino è potentissima e Di Gregorio non può fare altro che osservare la palla entrare in rete. Due mosse all’intervallo, una per parte: oltre al cambio annunciato Estevez-Hernani, esce dal campo anche Dusan Vlahovic, rilevato da Conceição. Il primo responso sul cambio è una sostituzione legata ad un problema alla coscia, anche se nel corso della prima frazione il serbo è risultato praticamente assente, sempre ostacolato in maniera eccellente da Leoni. Al rientro dagli spogliatoi, la Juve attacca a testa bassa, approfittando di un blocco molto basso voluto da Chivu per non concedere troppo spazio in profondità a Kolo Muani e alla trequarti bianconera. Tudor non perde molto tempo e prima dell’ora di gioco spende il secondo cambio nella trequarti: fuori McKennie e dentro Yildiz, con solito scivolamento in fascia di Nico Gonzalez. La qualità del numero dieci turco è indispensabile per riaccendere una Juve che sembra peccare di inventiva e lucidità. Il Parma gestisce in maniera perfetta il risultato, e i concetti di Chivu ormai sembrano ben consolidati all’interno dello scacchiere dei crociati. La pressione e il fraseggio codificato mascherano completamente la posizione in classifica del Parma. A un quarto d’ora dal termine Chivu regala a Pellegrino la standing ovation del Tardini, sostituito da Man. La Juve cerca di provare a costruirsi qualcosa nel finale, ma la difesa del Parma non concede nemmeno un centimetro. Al minuto 85 entrambi gli allenatori chiudono i cambi: Tudor ne cambia tre (Douglas Luiz, Weah e Alberto Costa per Nico Gonzalez, Kelly e Locatelli), mentre Chivu sostituisce uno stremato Bonny con Almqvist. Nei minuti finali la Juve va all’assalto della porta di Suzuki, sempre prezioso con le sue uscite. Allo scoccare del novantesimo Conceição cerca il palo lontano con un mancino rasoterra e per poco non trova il jolly. La difesa arcigna del Parma resiste anche alle ultime offensive, poco concrete, della Juve fino al minuto 95, quando il fischio finale di Chiffi fa esplodere il Tardini. Un’impresa a tutto tondo quella compiuta dalla squadra di Chivu, adesso sempre più indirizzata verso la permanenza in Serie A. Dopo aver bloccato Inter e Fiorentina sul pari, il Parma fa la voce grossa contro la Juve con una prestazione praticamente perfetta sotto ogni punto di vista. Nonostante i tre infortuni nel primo tempo, l’organizzazione difensiva e le ripartenze sempre lucide e ragionate hanno messo in seria difficoltà la Juve. Prima sconfitta per Tudor sulla panchina bianconera, al termine di una prestazione insufficiente sotto ogni punto di vista. La mancanza di qualità e inventiva nel primo tempo hanno indirizzato la gara a favore del Parma, e nemmeno le sostituzioni hanno potuto evitare l’ennesima brutta sconfitta di questa stagione. Crociati che salgono a quota 31 punti in classifica, al quindicesimo posto; bianconeri che abbandonano il quarto posto in favore del Bologna, avanti di un punto grazie al successo sull’Inter. Il calendario della Juve si infittisce di scontri diretti con Bologna e Lazio, ma prima Tudor ha l’obbligo di riportare i tre punti contro l’ultimissimo Monza.
LA TOP11 DELLA 33ª GIORNATA
Calcio
Spalletti saluta con una vittoria, ma l’Italia non gira. 2-0 a Reggio Emilia tra mugugni e difficoltà

L’Italia vince in casa contro la Moldova e cerca di recuperare il gap con la Norvegia. La pesante sconfitta di Oslo lascia i propri strascichi, con Luciano Spalletti che lascia la panchina della nazionale con una vittoria troppo stretta e ostica, sigillata dai due gol di Raspadori e Dimarco.
Le scelte per l’ultima di Spalletti
Dopo la figuraccia di Oslo, Luciano Spalletti è stato sollevato dall’incarico di commissario tecnico. Ha del surreale l’annuncio di tale notizia, comunicata proprio dallo stesso Spalletti in conferenza stampa, seguita dall’annuncio della sua presenza in panchina per questa gara. Per la sua ultima panchina in Azzurro, Spalletti non stravolge la formazione, ma si limita a qualche cambio. Tornano Cambiaso e Dimarco negli esterni, mentre in difesa fa il suo esordio assoluto il capitano della Fiorentina, Luca Ranieri.
ITALIA: Donnarumma, Di Lorenzo, Bastoni, Ranieri, Cambiaso, Frattesi, Ricci, Tonali, Dimarco, Raspadori, Retegui.
Il Mapei Stadium cerca di mascherare questa cornice surreale, e fin dai primi minuti il tifo azzurro è attivo e caloroso. L’Italia cerca di rispondere con una maggiore incisività nel possesso e nel palleggio, anche se tutta la Moldova si muove seguendo un blocco compatto e unito. Al decimo minuto gli ospiti trovano addirittura il vantaggio, ancora una volta l’Italia è troppo leggera nel ripiegamento, le marcature sono leggere, a tal punto che il numero 9 Nicolaescu trova di testa il vantaggio. Il Mapei rimane in assoluto silenzio, ma a rianimare il pubblico ci pensa -per nostra fortuna- il VAR, che annulla la rete per un fuorigioco quasi millimetrico dell’attaccante moldavo. Il primo ruggito verso la porta è un tiraccio di Tonali, il centrocampista del Newcastle cerca il palo lontano, ma trova la parte centrale della Tribuna Sud. Pochi minuti più tardi gli Azzurri sfiorano il vantaggio su calcio piazzato: Retegui viene randellato al suolo da un difensore moldavo, Raspadori disegna un ottimo cross al centro, ed è anche pregevole la girata di testa di Ranieri, sfortunato nell’esito perché il pallone impatta sulla traversa. Vicino al gol all’esordio il capitano della Fiorentina, che continua a confermarsi pericoloso nel gioco aereo. La linea di pressione degli azzurri è alta, ma continua a mancare la giocata tra le linee. Non è una pressione incisiva e precisa, e la Moldova quando riparte fa sempre paura, non tanto per la qualità dei singoli ma per le voragini che la difesa dell’Italia concede. A ridosso della mezz’ora i moldavi protestano per un fallo in area di rigore di Dimarco, ma l’arbitro giudica regolare il recupero, rischiosissimo, dell’esterno dell’Inter. Al 31′ Retegui si trova per la prima volta dentro l’area senza un moldavo attaccato, il centravanti dell’Atalanta riceve un pallone sporcato da Frattesi e cerca la soluzione mancina di prima intenzione, il portiere Avram si tuffa in anticipo e respinge senza troppi problemi. Il ritmo degli Azzurri comincia a crescere, e le occasioni cominciano ad arrivare con più regolarità. Al 36′ Dimarco si getta in area ma il suo diagonale non trova la porta di Avram. Da sinistra si comincia a sfilacciare la difesa moldava, e su quel versante Dimarco arriva al cross sul primo palo, Retegui va in anticipo ma ci va di stinco, palla fuori di poco. Il muro moldavo crolla al minuto 40: Ranieri chiede, e ottiene, il triangolo da Dimarco, mette in mezzo un buon cross respinto di testa da Ionita, in anticipo su Tonali, e sulla respinta Raspadori calcia di prima intenzione, destro potente e preciso sul primo palo, Avram non accenna nemmeno l’intervento e siamo avanti. Il vantaggio rischia di durare meno di un minuto, perché la Moldova arriva al tiro da fuori con Reabcuk, Donnarumma interviene con i pugni ma il primo ad avventarsi è Ionita, vecchia conoscenza della Serie A, il capitano moldavo calcia con il mancino e la palla sibila con il palo e termina fuori. Tanti, troppi, errori dell’Italia in un primo tempo che lascia più ombre che luci, nonostante il vantaggio all’intervallo.
Nella ripresa Spalletti muove subito la panchina: escono Dimarco e Ricci, dentro Orsolini e Barella. L’esterno del Bologna si piazza sulla destra, ed è subito decisivo nell’azione che porta al raddoppio. Al 50′ Orsolini salta il diretto avversario, arriva sul fondo e mette un buon cross rasoterra con il destro, Frattesi mastica la conclusione ma a convertire in rete ci pensa il destro di Cambiaso, tiro centrale su cui Avram non fa una bella figura. È un’altra Italia quella scesa in campo nella ripresa, più pimpante e concentrata rispetto al primo tempo, ricco di errori e rischi. Il gap da colmare con i norvegesi è alto, e segnare quante più reti possibili diventa l’obiettivo prioritario, a tal punto che gli Azzurri sono sbilanciati in avanti, e per fortuna i moldavi non sono pericolosi come nel primo tempo. All’ora di gioco ci prova ancora una volta Tonali, questa volta il suo destro è potente ma centrale, Avram risponde con i pugni. Ai tre cambi della Moldova, Spalletti risponde con la staffetta tra Retegui e Lucca. Per l’ultima volta Spalletti decide di non schierare il doppio centravanti, fondamentale che in alcuni momenti del ciclo azzurro, che si conclude oggi, forse sarebbe stato utile. L’ingresso dell’attaccante dell’Udinese regala centimetri importanti per l’attacco, anche se la scheggia impazzita rimane sulla destra Orsolini, l’unico che concretamente si concede il dribbling e la giocata imprevedibile. Anche gli ultimi due cambi di Spalletti non lasciano trasparire una voglia concreta di attaccare a testa bassa, perché entrano Daniel Maldini e Coppola al posto di Raspadori e Ranieri (uscito malconcio dopo un duro scontro con un giocatore moldavo), ma la musica non cambia: encefalogramma quasi piatto e tanti errori banali in impostazione. All’87’ ci prova Orsolini, favorito da una buona triangolazione degli altri due nuovi entrati, Lucca e Maldini, il tiro dell’esterno del Bologna è sul primo palo e Avram non ha problemi a respingere con i pugni. Nel finale la Moldova attacca a testa bassa, e l’Italia cerca in tutti i modi di subire un gol che gli avversari meritano ampiamente. Donnarumma rischia l’harakiri ma rimedia, e la partita si conclude con i moldavi in assedio della nostra area di rigore, un’immagine emblematica del ciclo di Spalletti che termina dopo sei minuti di recupero.
Alla vigilia Spalletti ha detto di voler salutare con una prestazione di livello, e con una vittoria. La vittoria è arrivata, ma si può essere tutto tranne che soddisfatti di quanto visto a Reggio Emilia. Lenti, macchinosi e ancora una volta terribilmente sbilanciati e sconnessi tra i reparti. La decina di tiri effettuati dalla Moldova fanno riflettere parecchio e per colui che arriverà sulla panchina azzurra (il favorito è Claudio Ranieri) adesso bisognerà ricostruire il muro difensivo che tanto ci ha contraddistinto nella nostra storia. L’attacco necessita di maggiore presenza, perché anche oggi Retegui è stato ingabbiato dai difensori avversari, e chissà che adesso si riparta dal doppio centravanti, che Spalletti ha scelto apertamente di non utilizzare. Si conclude con una vittoria l’esperienza di Luciano Spalletti sulla panchina dell’Italia, che ha sbagliato tanto nel corso della sua esperienza da c.t, ma adesso il calcio italiano attende il suo successore per cercare di colmare il gap con la Norvegia ed evitare lo spauracchio dello spareggio per andare al mondiale. Appuntamento al 5 settembre in casa contro l’Estonia.
Ci sarà un nuovo allenatore, e si spera ci sia una nuova Italia…
Calcio
Tracollo Azzurro in Norvegia, a Oslo termina 3-0. Mondiale subito a rischio?

Disastro Azzurro sotto la pioggia di Oslo. L’Italia cade rovinosamente contro la Norvegia e complica subito il proprio percorso verso il mondiale. Ancora una volta gli Azzurri subiscono tre gol nel primo tempo, e nel secondo tempo non riescono a reagire.
La formazione degli Azzurri è ritoccata in quasi ogni reparto, principalmente in difesa dove mancano quasi tutti i centrali regolarmente utilizzati dal c.t. La scelta di Spalletti è l’esordiente Diego Coppola al centro della retroguardia, affiancato da Di Lorenzo e Bastoni. Sugli esterni giocano Zappacosta e Udogie, mentre in avanti ancora una volta giocano Retegui e Raspadori.
Nei primi minuti l’Italia prova a gestire il possesso del pallone, cercando di sfruttare anche la velocità di circolazione della sfera grazie alla pioggia che si abbatte su Oslo. I norvegesi sono uniti e compatti, e il blocco disegnato da Solbakken non lascia particolari spazi agli Azzurri. Fin dalla vigilia tutta l’attenzione mediatica si è concentrata sul potenziale duello Coppola-Haaland, ma nessuno ha preso in considerazione gli altri due attaccanti della Norvegia. Già, perché fin dal primo scatto in avanti, la sensazione è che sia Nusa da una parte, che Sorloth dall’altra, siano un pericolo di gigantesca dimensione per i difensori italiani. Al primo affondo la Norvegia va in vantaggio: Nusa è un treno sulla fascia sinistra, il classe 2005 si accentra e trova un gran passante alle spalle dei difensori azzurri, Sorloth raccoglie l’invito, si presenta davanti a Donnarumma e lo batte in uscita. Vantaggio per i padroni di casa, e la gara si mette subito in salita. Ed è una strada che diventa sempre più insormontabile, perché gli affondi dell’Italia, principalmente dei lanci lunghi verso Retegui, sono preda facile dei due pilastri difensivi norvegesi, Heggem e Ajer, ed è sui centimetri dei propri giocatori che la Norvegia trova grandi spazi e vantaggi per colpire un’Italia che non sembra particolarmente in giornata. Il più ispirato di tutti è sicuramente Antonio Nusa, e dopo aver regalato un grande assist per il vantaggio, mette anche il suo sigillo a un primo tempo a senso unico. Minuto 34, rinvio di Nyland verso Thorsby che controlla agevolmente la sfera, a causa di una marcatura leggera di Rovella, la palla rimane vicino al giocatore del Genoa e diventa di possesso di Nusa, serpentina tra Rovella e Di Lorenzo e destro potente alle spalle di Donnarumma. Una rete meravigliosa di una gemma assoluta della scuola calcistica norvegese, che sta seminando il panico tra le maglie azzurre. Il primo tempo è unicamente a tinte rosso e blu, i colori della Norvegia, e i ragazzi di Solbakken trovano anche il terzo sigillo di giornata, con la stessa giocata che l’Italia sembra non riuscire a leggere: la palla in verticale tra i due difensori. A due minuti dall’intervallo Tonali perde palla in mezzo al campo, Odgaard porta palla e pesca il taglio di Haaland tra Coppola e Bastoni, il bomber del Manchester City è solo davanti Donnarumma e non ha particolari difficoltà nel superare il capitano azzurro e depositare in rete il pallone del 3-0.
Dagli spogliatoi Spalletti sceglie Frattesi al posto di Rovella, uno dei giocatori più in difficoltà sul piano fisico. Anche Solbakken effettua un cambio, con Berg che sostituisce l’ammonito Thorsby. Nessun cambio di modulo, stesso schieramento con il solo cambio in regia, con Barella che viene arretrato in cabina di regina. Non cambia di una virgola il copione della partita, e questo è un pessimo scenario per l’Italia, che non riesce a sviluppare una manovra offensiva degna di nota. Retegui è sempre isolato tra i giocatori norvegesi, e ogni cross è preda facile dei difensori di Solbakken. Al 65′ i padroni di casa vanno vicini addirittura al poker, con uno schema che parte dalla bandierina e termina dall’arcobaleno a giro di Berge, destro di prima intenzione che colpisce in pieno il palo. Verso il settantesimo arrivano le prime vere mosse dei due allenatori, perché Solbakken sostituisce Heggem con Ostigard, ma Spalletti rinfoltisce -finalmente- l’attacco: vanno fuori Zappacosta e Retegui, e al loro posto entrano Orsolini e Lucca. Appena entrati nell’ultimo quarto di gara l’Ullevaal Stadion si sfrega le mani per riservare la meritata standing ovation ad Antonio Nusa, sostituito da un altro gioiello della nuova scuola norvegese, Oscar Bobb. Applausi scroscianti per l’ala del Lipsia, sicuramente il migliore in campo per la qualità messa in campo e per l’incisività avuta, con un gol e un assist. Gli “olè” del pubblico norvegese al possesso ipnotico, e gli applausi al pressing asfissiante, sono le due diapositive del finale di partita, in cui l’Italia non solo non alza il baricentro, ma rischia di concedere altri corridoi ai padroni di casa, che non hanno assolutamente intenzione di fermarsi. Il primo tiro in porta dell’Italia arriva al secondo minuto di recupero, un colpo di testa di Lucca su cui Nyland non ha problemi, intervento plastico per i fotografi e prima parata della sua gara.
Si mette subito in terribile salita il cammino verso il mondiale
La partita di Oslo si mostrava complicata per una serie di molteplici motivi, ma la prestazione -se così si può definire- attuata dagli Azzurri non è all’altezza di una nazionale che ha l’obiettivo di vincere il raggruppamento e raggiungere l’America. In difficoltà dal primo all’ultimo minuto e sotto ogni punto di vista. Tatticamente i norvegesi hanno avuto l’astuzia di sfruttare una linea alta e sconnessa da parte dell’Italia, e grazie ai guizzi frizzanti di Nusa, Solbakken ha potuto contare su una scheggia impazzita che non poteva non fare male. Altro punto da analizzare è la tenuta fisica delle due nazionali, perché la Norvegia ha viaggiato a ritmi e velocità nettamente superiori, e adesso la tenuta fisico-mentale della nazionale di Spalletti è sotto banco in vista della prossima partita.
Dall’Italia…all’Italia
Contro l’Italia si è chiuso l’ultimo gettone mondiale della Norvegia, e dall’Italia può ripartire la corsa per tornare a quel mondiale che manca dal 1998. Con questo successo la nazionale di Solbakken è in cima al raggruppamento a punteggio pieno. 9 punti per Haaland e compagni, mentre l’Italia comincia il suo cammino con uno 0, e adesso ha l’obbligo di ripartire subito e rimettersi in scia per evitare l’ennesimo disastro mondiale.
Lunedì il match con la Moldavia a Reggio Emilia, con la vittoria che a questo punto diventa un imperativo!
Calcio
Una manita che vale il triplete. il PSG schianta l’Inter e vince la Champions League

Il Paris Saint-Germain vince la prima Champions League della sua storia. A Monaco di Baviera la squadra di Luis Enrique si sbarazza dell’Inter e domina dal primo all’ultimo minuto.
Il racconto della finale di Champions League 2024/2025
Triplete e tabù
Numeri e intrecci con la storia fanno da contraltare a una finale che si preannuncia scoppiettante per gli attori, pronti a prendersi la scena nel palcoscenico più importante di tutti, la finale di Champions League. Inter e Paris Saint-Germain arrivano in Baviera per aggiungere il capitolo finale alla stagione, senza dubbio il più importante. Se da una parte l’Inter deve reagire a un finale di stagione che ha sorriso al Napoli, nella lotta al campionato, il PSG va a caccia del terzo successo in tre competizioni.
Sia Inter e PSG cercano di reagire a una delusione abbastanza recente in finale di Champions, perché entrambe hanno assaporato la vetta ma si erano fermate al gradino più basso, dovendosi arrendere a Manchester City (Istanbul 2023 nel caso dell’Inter) e Bayern Monaco (Lisbona 2020 nel caso dei parigini). L’Inter, inoltre, cerca di sfatare un tabù legato alla città di Monaco di Baviera: in terra bavarese si sono disputate quattro finali -tra Coppa dei Campioni e Champions League- e tutte e quattro hanno visto trionfare una squadra al primo successo nella propria storia (va ricordato lo score del PSG in Champions League, la cui voce “titoli” al momento recita “zero”).
Le scelte
Pochissimi dubbi alla vigilia, nessuna sorpresa al momento della comunicazione delle formazioni: Inzaghi sceglie i suoi uomini migliori, tutti gli artisti che hanno contribuito a questo quadro che cerca l’ultima pennellata. L’unico ballottaggio attivo riguardava il braccetto di destra, al fianco di Acerbi e Bastoni, sciolto da Inzaghi con Pavard. Il francese, uno dei volti con più esperienza e leadership nel roster nerazzurro, scalza Bisseck e parte dal primo minuto. Tra i parigini invece il testa a testa riguardava due delle gemme più preziose sgrezzate da Luis Enrique nell’ultimo anno, Doué e Barcola. Il primo vince il duello con il connazionale e si affianca a Dembélé e Kvaratskhelia.
PSG: Donnarumma, Hakimi, Marquinhos, Pacho, Nuno Mendes, Vitinha, João Neves, Fabian Ruiz, Doué, Dembélé, Kvaratskhelia;
INTER: Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni, Dumfries, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco, Thuram, Lautaro Martinez
Due generazioni a confronto, una per blindare un ciclo sempre più crescente, l’altra per avviarne uno nuovo. Il Paris Saint-Germain vanta la squadra più giovane di tutta la competizione (età media di 24 anni e 262 giorni), mentre l’Inter la squadra più anziana (età media di 30 anni e 19 giorni).
Arbitra il rumeno Kovacs, che negli ultimi anni ha arbitrato due finali che hanno fatto sorridere il calcio italiano (il fischietto rumeno ha diretto la vittoria della Roma in Conference League e l’Atalanta nella notte di Dublino, contro il Leverkusen).
Alle 21.01 il fischietto di Kovacs emette il primo suono, comincia la finale!
||PRIMO TEMPO ||
Curiosa la battuta dei parigini, che lanciano in rimessa laterale il primo pallone della gara. Subito chiaro l’intento della squadra di Luis Enrique, quello di non far sviluppare dal basso l’Inter. Il possesso è in mano ai parigini, soprattutto nelle fasi iniziali della gara. La squadra di Inzaghi cerca di giocare sulle lunghe leve di Dumfries, in netto vantaggio fisico su Nuno Mendes, ma il recupero palla del Paris è molto efficace. Non vi erano dubbi sul coraggio e sulla qualità dei francesi, ciò che risalta comunque all’occhio è l’approccio della gara da parte dei campioni di Francia, padroni assoluti del possesso. Il primo squillo è proprio di Doué, un destro potente e angolato su cui Sommer non ha difficoltà. Il dominio è evidente e il vantaggio arriva al minuto 11. Il gioco si sviluppa prevalentemente a destra, ma al primo affondo a sinistra il Paris sfonda: palla magica di Vitinha alle spalle della difesa, Doué è pronto per calciare verso la porta ma il francese è bravissimo nel servire in mezzo Hakimi, il marocchino ha la porta spalancata e non può fallire il più classico dei gol dell’ex. Vantaggio francese e finale subito in salita per la squadra di Inzaghi. Lo svantaggio appesantisce le gambe dei giocatori dell’Inter, e la corsa interminabile dei parigini non lascia respirare i nerazzurri, che cercano rifugio in Sommer. Le difficoltà dell’Inter sono evidenti, così come emerge l’agonismo e la freschezza dei francesi. Al 20′ arriva il raddoppio: l’azione comincia nell’area francese, con Barella troppo leggero nella protezione di un corner, in cui l’Inter sa sempre rendersi pericolosa; Pacho evita il giro dalla bandierina e il PSG va subito in contropiede: Dembélé chiama a sé la difesa nerazzurra e poi cambia gioco, Doué controlla e spara il destro verso la porta, convertito in rete dalla deviazione di Dimarco che manda fuori giri Sommer. Venti minuti maestosi della squadra di Luis Enrique, ma dall’altra parte l’Inter non sembra essere scesa in campo. Non si registrano occasioni per la squadra di Inzaghi, anche se la pressione del PSG si affievolisce leggermente dopo il doppio vantaggio, e questo favorisce una crescita -timida- dei nerazzurri. I movimenti dei francesi sono di un’armonia e una pulizia a dir poco pregevole, e la lettura difensiva dell’Inter soffre terribilmente questo continuo scambio di posizioni, in ogni zona del campo. Al 37′, dalla bandierina l’Inter si costruisce la prima -vera- occasione della sua gara, con il solito cross preciso di Calhanoglu indirizzato sul secondo palo, lì Thuram prende il tempo su Kvaratskhelia ma il suo colpo di testa termina di poco a lato. È il momento di spinta massima dell’Inter, favorito da una piccola fase di allentamento del Paris, subito richiamato a voce alta da Luis Enrique, che impone lucidità e maggior qualità. All’ultimo pallone del primo tempo Kvaratskhelia impensierisce ancora una volta Sommer. È l’ultimo squillo di un primo tempo a tinte uniche blu e rosse, con il Paris Saint Germain meritatamente in vantaggio. Un dominio schiacciante nel primo tempo, ma occhio a mantenere la partita in bilico, perché l’Inter si può riaccendere da un momento all’altro.
||SECONDO TEMPO ||
Nessun cambio all’intervallo, i riparte dagli stessi ventidue. L’Inter appare subito più coraggiosa e intraprendente, anche se era prevedibile visto il brutto primo tempo. Kvara prova a chiudere subito i conti ma il suo mancino termina in curva. In quel momento l’Inter capisce che per riaccendere la miccia serve maggiore qualità e incisività da destra, e lo sviluppo dell’Inter verte sempre dalla parte di Dumfries, favorito da un maggiore apporto alla manovra da parte di Thuram. Inzaghi è il primo a muovere la panchina con Bisseck e Zalewski al posto di Pavard e Dimarco. Il polacco viene subito ammonito per un fallo in attacco, ma il segnale è quello di alzare l’agonismo e il ritmo. Dopo pochi minuti la panchina dell’Inter viene mobilitata nuovamente perché Bisseck cade male a terra ed è costretto a uscire subito per un problema al flessore. Al suo posto Carlos Augusto, oltre a Darmian per Mkhitaryan. In mezzo alle sostituzioni il PSG mette il lucchetto alla finale: ancora una volta Dembélé domina il gioco a suo piacimento, e attira a sé i difensori dell’Inter, il francese imbuca per Vitinha che porta palla per metà campo, prima di appoggiare verso Doué, destro piazzato sul primo palo e discorso archiviato. Prestazione totale del gioiello francese, che esce qualche minuto dopo, accompagnato dalla standing ovation del suo pubblico e dal cinque di Barcola, pronto a seminare ulteriormente il panico tra le maglie nerazzurre. Inzaghi termina le sostituzioni con Asllani al posto di Calhanoglu, uscito acciaccato per un problema fisico. L’Inter si sgretola con il passare dei minuti, e il nervosismo comincia a prevalere sulla ragione, a tal punto che Kovacs mette mano al taschino più volte. Al 73′ i parigini debordano con Kvaratskhelia: l’azione parte dal basso, e il fraseggio porta fuori la linea di difesa dell’Inter -stranamente alta, il solito Dembélé dipinge calcio a tutto tondo, filtrante per Kvara che arriva fino all’area piccola, il mancino del georgiano buca Sommer sul primo palo. 4-0 PSG, dominio assoluto. L’Inter cerca il gol della bandiera, e in quel momento emerge l’altro top player del roster parigino: Gigio Donnarumma. Il portiere italiano mette i suoi guanti su un destro piazzato di Thuram, e nega il gol della bandiera al francese. Nelle retrovie l’Inter fa sempre più acqua, a tal punto che Barcola semina i difensori come se fossero birilli, ma davanti a Sommer calcia clamorosamente fuori, a due passi dalla porta. Con la gara in cassaforte -già dal decimo minuto in verità- Luis Enrique adopera tre cambi, che ancora una volta danno frutti meravigliosi. A cinque dal termine i parigini muovono palla attorno all’area, Barcola imbuca per il neo-entrato Mayulu che calcia forte e batte Sommer per la quinta volta. CINQUE a zero, un risultato clamoroso.
Un dominio incontrastato, dal primo all’ultimo minuto. Il PSG è stato superiore in tutto, dalla gestione tattica al controllo emotivo della gara. Con la forza delle idee, coordinato da un’insieme di perle preziose, Luis Enrique si conferma ancora una volta una garanzia per questa competizione. Il tecnico spagnolo non ha mai perso una finale in carriera, e il modo con cui il Paris Saint-Germain si è sbarazzato dell’Inter rimarrà negli annali della Champions League. Prima coppa in bacheca per il club francese, che quest’anno chiude la stagione con il triplete, dopo i successi in Ligue 1 e Coupe De France. Dall’altra parte l’Inter esce fracassata dal prato di Monaco di Baviera, per una sconfitta che peserà tantissimo per le modalità e per l’approccio alla partita. Un’Inter irriconoscibile, che però si è dovuto arrendere di fronte alla freschezza e alla qualità incredibile del Paris Saint-Germain. Stagione da zero tituli, per dirla alla Mourinho, per la squadra di Inzaghi, che adesso dovrà sciogliere le riserve sul proprio futuro. Sipario per un’altra grande stagione di calcio europeo, con la nuova edizione della Champions che ha aggiunto all’albo un nuovo vincitore e uno spettacolo sempre più appassionante.
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