Calcio
Nervi tesi in panchina, un match intenso in campo. Il Derby della Mole finisce 1-1

Un derby inedito apre il girone di ritorno delle due squadre. Con grinta la squadra di Vanoli trova un punto d’orgoglio grazie alla rete di Vlasic. Per Thiago Motta un altro pareggio, il dodicesimo in 19 gare di Serie A.
Thiago Motta da una parte è costretto a fare di necessità virtù, con Nico Gonzalez schierato come riferimento centrale, Koopmeiners alle sue spalle con la fascia da capitano, e Douglas Luiz titolare al fianco di Thuram in mediana. Vanoli risponde con un inedito 4-4-2, ricorrendo sempre alla marcatura a uomo su tutto il campo, ma cambiando sistema per cercare più equilibrio e qualità in avanti.
Animi subito molto accesi fin dall’inizio, con la Juve che cerca di spegnere l’entusiasmo del Toro con un possesso palla lento ma ragionato. In assenza di Vlahovic, il gioco spalle alla porta è affidato a Nico Gonzalez, che fin dalle prime battute ingaggia un duello con Maripan, una specie di replay di quanto successo nell’ultima Copa America. A rompere l’equilibrio ci pensa Yildiz: all’ottavo minuto controlla il pallone, salta due avversari e scarica un mancino rasoterra su cui Milinkovic non può arrivare. Il colpo di genio, il guizzo di uno dei talenti più grezzi, il quarto centro in campionato del turco sblocca il derby e presenta ancor di più quanto la rottura degli schemi siano la chiave di volta della gara. Il Toro flirta con il pareggio al 13′, con Linetty che si trova la palla tra i piedi, dopo una serie di colpi di testa su un corner, ma calcia alto sopra la traversa. Motta cerca di eludere i riferimenti scambiando continuamente Mbangula e Yildiz ma il Torino alza il baricentro e rinchiude la Juve nella propria metà campo. Coco segue a uomo Koopmeiners in giro per il campo, e in ripartenza la Juve cerca sempre Nico Gonzalez, le cui sponde aprono il campo agli incursori. Il Toro sembra soffrire questo duello contro i contropiedisti bianconeri e al 20′ la Juve trova il raddoppio in contropiede con Nico Gonzalez, rete subito annullata dall’arbitro per fuorigioco dell’argentino nel momento del taglio verso la porta. Tanta qualità nel palleggio da parte della Juve, molto lucido e preciso e ordinato in ogni transizione, il Toro comincia a innervosirsi e aumenta l’intensità nei contrasti. Il Toro la pareggia al tramonto del primo tempo, con Karamoh che apparecchia per Vlasic, bravissimo nel controllare con il destro e calciare forte con il mancino, conclusione di controbalzo perfetta su cui Di Gregorio può solo gettare lo sguardo. È il ruggito di cui il Toro aveva bisogno per rimettere in equilibrio la gara, rispondendo a tono al gol bellissimo di Yildiz.
Nessun cambio all’intervallo, il cambiamento principale arriva dalla sponda granata. Il Toro approccia la ripresa con coraggio e subito con tanta intensità e un baricentro subito alto. Come nel primo tempo, nel momento in cui il Torino aumenta l’intensità comincia a mettere alle strette la difesa tutta la Juve. Di Gregorio si sporca i guanti al 50′ quando intercetta una girata volante di Maripan, intervento tutt’altro che semplice visto il capannello di giocatori intorno al difensore cileno. La tensione del derby si accentua anche in panchina, con un parapiglia che porta all’espulsione di entrambi gli allenatori, rei di aver innescato il diverbio tra le due panchine in seguito a un contatto tra Savona e Karamoh, su cui il Torino protestava e chiedeva il cartellino rosso. Intervento al limite del terzino italiano, ma per sua fortuna sul pallone. Al 65′ la Juve si riversa in avanti, Koopmeiners riceve un pallone sputato fuori da Maripan, controlla con il petto e calcia forte, conclusione centrale su cui Milinkovic risponde con i pugni. Cambiaso rileva uno stanco Savona al 70′, mentre Tameze rimpiazza l’ammonito Linetty. Due cambi che evidenziano quanto il primo pensiero vada all’equilibrio piuttosto che alla spregiudicatezza. Al 70′ Mbangula sguscia via e cerca verso il secondo palo Nico Gonzalez che calcia al volo, provvidenziale Milinkovic nel respingere la conclusione strozzata dell’argentino. Nel finale il Toro sembra averne di più, la spinta dell’Olimpico Grande Torino accende agonisticamente il finale, la cui ultima occasione è una conclusione al volo di Thuram su cui Milinkovic Savic non fatica particolarmente, chiudendo un derby intenso sul risultato di parità.
Una Juve che comincia il proprio girone di ritorno come aveva concluso l’andata. L’emergenza offensiva ha costretto Thiago a una formazione conservativa che non ha permesso ai bianconeri di spingersi particolarmente in avanti, mentre in mezzo al campo segnali molto positivi da Douglas Luiz, autore di una grande prestazione in cabina di regia al posto dello squalificato Locatelli. L’ennesimo pareggio allontana ancora di più la Juventus dalla vetta, e adesso Atalanta-Juve di martedì diventa lo spartiacque definitivo della stagione della Vecchia Signora.
Esperimento riuscito per Vanoli, che può ritenersi soddisfatto dell’impiego della difesa a quattro. La reazione dei granata dopo il gol subito è stata importante, e il capolavoro di Vlasic ha rimesso in equilibrio la partita. Il 4-4-2 può essere la chiave di volta della stagione del Toro, al momento all’undicesimo posto a quota 22 punti.
Calcio
Tsunami Blues: il Chelsea travolge il Betis in rimonta e vince la sua prima Conference League

La Conference League è finalmente giunta al suo atto conclusivo. La finale di Breslavia porta in scena Chelsea e Real Betis (alla prima finale europea della sua storia) per contendersi, sul campo, il titolo di quarti campioni della Conference. La squadra di Pellegrini, dopo un inizio di stagione non brillantissimo, da gennaio in poi ha cambiato totalmente rotta, risultando come una delle squadre più in forma d’Europa, meritevole di approdare in finale per affrontare la compagine favorita della competizione.
Speranza e Realtà
In uno stadio quasi interamente biancoverde, il fischio d’inizio viene anticipato dalla consueta cerimonia d’apertura, che porta sul manto verde i volti dei protagonisti di questo ultimo atto. Il Betis non esita a partire subito con la marcia ingranata, portando in scena uno stile di gioco immediatamente arrembante e offensivo. Dopo appena otto minuti, la squadra di Pellegrini va in vantaggio grazie al colpo da biliardo di El Zazzouli, che riceve, al limite dell’area, un pallone magico da Isco e calcia a incrociare, battendo Jorgensen. Nonostante la sicurezza del gol del vantaggio, i biancoverdi non smettono di pressare e proporre diverse manovre offensive nei minuti immediatamente successivi, con Bartra che arriva addirittura a sfiorare un clamoroso gol da 35 metri. Il Chelsea sembra essere sulle gambe, probabilmente per la tensione del momento e per un approccio alla gara non proprio sereno; dal 35’ in poi, però, la squadra di Maresca riesce a trovare un suo equilibrio e si difende egregiamente limitando i movimenti del Betis. Nel secondo tempo l’inversione di marcia è pressoché totale: i Blues cominciano a pressare e a proporsi insistentemente, fino ad arrivare ad un dominio totale. Al 65’ Palmer sale in cattedra, e dopo una gestione palla magistrale in mezzo al campo, fa partire un cross preciso per Enzo Fernandez, che si trasforma in un gigante e di testa buca Adriàn, riportando tutto in parità. Non passano neanche quattro minuti, e un’altra, magica, invenzione di Cole Palmer dall’out di destra trova in area Nicholas Jackson, che anticipa tutti e ribalta le sorti del match, portando avanti i Blues. Il Betis è in balia dell’onda blu che lo sta travolgendo, e il Chelsea, dal canto suo, è bravo ad approfittare degli errori avversari, soprattutto in fase difensiva. All’83’, un liscio di Sabaly favorisce Reece James, che stoppa il pallone e, con diverso tempo per prepararsi, calcia sul secondo palo e insacca il pallone all’incrocio dei pali, chiudendo la partita con un epilogo degno delle più belle favole. Nel recupero si unisce alla festa anche Caicedo, che dal limite dell’area calcia all’angolino basso, bucando Adriàn per la quarta volta e siglando il gol del definitivo 4-1, che manda in paradiso la squadra di Maresca.
Illusione
Per 65 minuti, il Betis ha creduto di potercela fare, di poter mettere piede nell’Olimpo dei vincitori Europei, portando un gioco convincente e aggressivo, che sembrava stare immobilizzando una delle regine del calcio inglese. Nonostante la volontà, la voglia e la speranza, il grande dispendio fisico, a lungo andare, si è rivelato un’arma a doppio taglio. Nel secondo tempo il crollo prestazionale è inevitabile, i Blues prendono il sopravvento e gli ultimi venticinque minuti non lasciano spazio ad interpretazioni. Il 4-1 finale è immagine di un Betis coraggioso, audace, ma che non è riuscito a reggere la richiesta fisica di un match per cui, il Chelsea, era sicuramente più preparato.
Calcio
Il Supercommento della 38ª giornata di Serie A

Con il weekend che si apre il 24 e si chiude il 26 maggio, giunge al termine anche questa stagione di Serie A che, come al solito, al suo atto conclusivo ha saputo regalarci diversi verdetti tra salvezza, accesso in Europa e, soprattutto, l’assegnazione dello Scudetto.
Ecco il commento completo, con la Top 11 alla fine, dell’ultima giornata di Serie A.
Napoli-Cagliari
Alla battuta finale di questo campionato, e con un’intera città al suo ascolto, il Napoli batte 2-0 il Cagliari con una prestazione di cuore e di squadra, e soprattuto con i due uomini simbolo di questo campionato, che portano in terra partenopea il quarto scudetto azzurro.
Como-Inter
Vincere a volte non è abbastanza. Con gli occhi costantemente puntati al Maradona, l’Inter batte il Como per 2-0, ma al triplice fischio viene pervaso dall’amarezza. Nonostante i tre punti, la vittoria del Napoli annulla ogni speranza dei nerazzurri, autori di un campionato assolutamente meritevole.
Bologna-Genoa (A cura di Tommaso Patti)
Doppietta all’esordio dal 1’, Venturino trascina e incanta il Genoa
La prima delle due partite dell’ultimo sabato di Serie A 202/4/25, vede sfidarsi Bologna e Genoa. Dopo la meritata ovazione ricevuta dai felsinei da parte dei propri tifosi dopo lo storico successo in finale di Coppa Italia contro il Milan, la gara comincia ma si dimostra subito in salita per la formazione di Vincenzo Italiano: dopo l’immediata occasione conclusa con il tiro a giro largo di Ndoye, il Genoa passa in vantaggio dagli sviluppi di un calcio d’angolo, che trova successo grazie alla rete di Vitinha su cross di Martin. La seconda rete in campionato dell’attaccante portoghese, oltre a mandare avanti il grifone, carica la squadra in virtù di una sfida molto importante, seppur le due squadre hanno già conquistato i propri obiettivi. Qualche minuto più tardi, il sole del Dall’Ara bacia i piedi di Venturino, schierato a sorpresa dal primo minuto da Vieira e autore di uno splendido gol dopo venticinque minuti. La commozione è tanta, ma il classe 2006 riesce a trasformarla in forza e, poco prima dell’intervallo, riceve palla da un ispiratissimo Vitinha e firma la sua prima e storica doppietta in Serie A. Con il risultato sullo 0-3, il Genoa abbassa i toni e lascia più spazio di giocata al Bologna. Nella ripresa, la squadra di Italiano prova in tutti i modi a rientrare in partita, andandoci vicino con il colpo di testa di De Silvestri, e accorciando le distanze con l’ennesimo gol capolavoro di Orsolini. Grazie al quindicesimo gol in questo campionato dell’ormai idolo indiscusso di Bologna, i padroni di casa giocano con più convinzione, ma sbattono più volte contro la difesa avversaria e pagano dazio con le diverse conclusioni imprecise, che non cambiano il parziale e fanno terminare la gara 1-3. Nonostante la sconfitta e il nono posto il Bologna può sentirsi pienamente soddisfatto del rendimento in campionato. Stesso discorso per il grifone, che mette in bacheca la decima vittoria in stagione e sale a quota 43 punti, concludendo la stagione ampiamente sopra la zona retrocessione.
Milan-Monza (A cura di Tommaso Patti)
Vittoria nel silenzio. Il Milan supera 2-0 il Monza
In una cornice calda e piena di tensioni, il Milan ospita un Monza già retrocesso. Durante la settimana sono state molteplici le contestazioni del tifo organizzato rossonero, nel mirino società e dirigenza. Il primo squillo della gara arriva dopo tre minuti, quando su un passaggio brillante di Rejnders, Joao Felix scatta in profondità e arriva alla conclusione, trovando però l’opposizione di Pizzignacco. Due minuti più tardi, su un calcio di punizione battuto da Pavlovic, Pizzignacco si supera e salva miracolosamente il Monza. Con il passare dei minuti, entrambe le squadre non riescono a prendere campo e a sorprendere l’avversario. Poco prima dell’intervallo, su un’azione prolungata di Pulisic, João Félix riceve palla e calcia da fuori aria, spedendo la sfera di poco a lato la porta difesa da Pizzignacco. Nella ripresa parte meglio il Milan, sfiorando due volte il vantaggio prima con Pulisic e poi con Chukwueze. Se nel primo tempo il Monza subiva svariate occasioni ma senza lasciare il totale dominio di gioco al Milan, dopo la traversa colpita da João Félix al 63º, la squadra di Nesta esce totalmente dalla gara. Un minuto più tardi, sugli sviluppi di un corner battuto da Chukwueze, Gabbia salta più in alto di tutti e spinge di testa il pallone in porta, trovando il gol del vantaggio a meno di mezz’ora dalla fine. A circa un quarto d’ora alla fine invece, è João Félix a regalare l’ultima “gioia” della pessima stagione del Milan, con un calcio di punizione preciso e angolato. L’ultima occasione pericolosa del campionato del Monza arriva sul colpo di testa di Akpa Akpro, conclusione pericolosa ma ribattuta da un ottimo riflesso di Maignan. Al fischio finale, entrambe le squadre salutano una stagione totalmente deludente e al di sotto delle aspettative. Se da una parte il Monza aveva già capito l’antifona della stagione, il Milan con il passare delle giornate ha perso sempre più certezze, soprattutto dopo gli ultimi due k.o. in finale di Coppa Italia col Bologna e nella trasferta persa contro la Roma, sconfitte che hanno dato la matematica certezza al Milan di non partecipare in nessuna competizione europea la prossima stagione.
Atalanta-Parma (A cura di Dennis Rusignuolo)
Una rimonta alla Chivu salva il Parma. Ondrejka e Hainaut ribaltano la Dea nel secondo tempo
Una serata dal carico emotivo indescrivibile, per l’ennesimo step di crescita di una realtà che migliora di anno in anno, come il miglior rosso presente in cantina. Al Gewiss l’Atalanta chiude la propria stagione e probabilmente chiude un ciclo irripetibile, perché il futuro di Gasperini va ancora decifrato ma sembra destinato a terminare, così come termina questa sera l’avventura orobica di Rafael Toloi. Lo storico capitano brasiliano, uno dei pilastri storici di questa squadra, ha scelto di tornare in Brasile e concludere la sua avventura italiana. Sotto gli occhi di un altro capolavoro tattico del Gasp, Hans Hateboer, l’Atalanta ospita un Parma alla ricerca del gran finale per concludere al meglio la stagione da neopromossa. Chivu mantiene stabile il blocco visto con il Napoli, quell’undici che ormai è un’emblema di solidità e praticità; dall’altra parte Gasperini rinuncia a Lookman e Zappacosta per dare continuità a Daniel Maldini e Marco Palestra, protagonisti nella precedente gara di Genova. Pronti, via, e il Parma è costretto a rivedere le proprie strategie. Mandela Keita subisce un colpo al ginocchio e deve alzare subito bandiera bianca, al suo posto dentro Bernabè. La prima occasione della gara è dei crociati, con Bonny che cerca di sfondare lateralmente con la sua qualità, il francese riesce anche a calciare, ma la botta è solo potente e Carnesecchi centralmente respinge. Il ritmo della partita è alto, e il Parma ci prova in tutti i modi, ma Carnesecchi alza il muro e chiude la porta. Alla mezz’ora emerge la Dea e si porta avanti: Bellanova accompagna l’azione, cerca in mezzo Retegui ma trova l’inserimento di Maldini sul secondo palo. Secondo gol consecutivo per Daniel Maldini, che non perde tempo per mettere in fondo al sacco anche il terzo sigillo. Dopo nemmeno sessanta secondi Retegui appoggia, forse involontariamente, all’indietro, Maldini arriva in corsa e calcia meravigliosamente a giro. 2-0 in meno di due minuti e partita in ghiaccio. La squadra di Chivu accusa terribilmente il colpo, e le offensive dei crociati perdono smalto con il passare dei minuti. Ciò che non perde pulizia e il tocco di Bonny, che sembra l’unico in grado di poter creare concretamente qualcosa nel Parma, e ci prova sempre il francese a dimezzare lo svantaggio, ma ancora una volta la porta è sbarrata. Due mosse per parte all’intervallo: Gasperini richiama Maldini e Palestra, sostituiti da Lookman e Posch; il Parma invece aumenta il peso all’attacco con Ondrejka e Hainaut per Hernani e Valeri. La mossa paga subito, dopo meno di quattro minuti: triangolo favorito dai due subentrati e Pellegrino, la difesa dell’Atalanta non chiude bene ed Hainaut sfonda la porta e riaccende la gara. La Dea ha subito l’occasione per rimettere due gol di vantaggio, ma Sulemana calcia malissimo a un passo da Suzuki. Gasperini opta per l’esperienza e la gestione di Ederson e Pasalic, entrati al posto di Sulemana e Brescianini. È un Parma nettamente più acceso, e trova il pareggio con l’altro subentrato: Ondrejka scatta alle spalle di Bellanova, si prepara il tiro e lo piazza alle spalle di Carnesecchi. Pareggio riacciuffato ed è un risultato pesantissimo visti i risultati degli altri campi. Pellegrino ha il pallone del 2-3 tra i piedi, ma Carnesecchi ancora una volta è formidabile nel chiudere lo specchio al centravanti del Parma. La salvezza si ufficializza al primo minuto di recupero, perché Chivu ancora una volta è riuscito a ribaltare tutto con i cambi: Bernabé allarga verso Ondrejka, lo svedese calcia bene con il sinistro, ma è la deviazione di Hien che manda fuori giri Carnesecchi e blinda la permanenza in Serie A dei crociati. Una salvezza conquistata dopo un percorso ricco di insidie e difficoltà. La gestione Chivu ha portato un vento nuovo a Parma, dopo che il ciclo Pecchia aveva raggiunto il suo termine, e il gioco cinico e pratico del romeno sono stati fondamentali per mantenere i crociati a debita distanza dalla retrocessione. Le varie rimonte perpetrate in questo finale sono merito di una lettura precisa della partita, in cui il Parma era andato spesso in svantaggio, ma grazie al coraggio delle idee e nella visione di Chivu, i crociati giocheranno ancora in Serie A. Sponda Atalanta si attendono aggiornamenti per il futuro di Gasperini, e a giudicare dagli striscioni dei tifosi Bergamo chiede a gran voce la permanenza dell’uomo che ha trascinato la Dea verso un paradiso sempre più limpido.
Venezia-Juventus (A cura di Dennis Rusignuolo)
La Juve vola in Champions grazie al rigore di Locatelli. Il Venezia saluta la Serie A
L’ultimo ostacolo per conquistare l’obiettivo prefissato. Tudor arriva al Penzo con quasi tutto il pacchetto difensivo acciaccato: ai soliti assenti Bremer e Cabal si aggiungono i problemi di Veiga e Gatti, recuperati ma non al meglio per poter cominciare dal primo minuto. La scelta del tecnico bianconero un reparto inedito: Kelly al centro, Alberto Costa alla sua destra e ancora una volta Savona sulla sinistra. Per il resto il blocco juventino è ormai il solito, e sono gli stessi che hanno battuto settimana scorsa l’Udinese. Il Venezia cerca l’ultima palina per ormeggiare la propria imbarcazione in Serie A, ma solo un gran risultato può permettere una salvezza che profumerebbe di impresa. La sconfitta di Cagliari ha fatto sprofondare la squadra di Di Francesco al penultimo posto, ma per la gara del Penzo i lagunari devono fare a meno del loro baluardo difensivo, perché manca Idzes per squalifica. In mezzo al campo DiFra sceglie Doumbia al posto di Kike Perez, mentre in avanti Yeboah fa coppia con Fila. Per l’ultima gara il tecnico del Venezia sceglie un attaccante di statura e sostanza al posto del doppio attaccante mobile, anche se la scelta è influenzata dal problema di Oristanio (recuperato in extremis per la panchina). Fin dal primissimo pallone giocato il Venezia prova a fare la voce grossa. Di Francesco cerca di smuovere le pedine bianconere con la costruzione dal basso, e la tattica è subito vincente: al secondo minuto la Juve è sfilacciata, il Venezia muove bene la palla sulla sinistra con Doumbia e Haps, cross dell’esterno e zampata vincente di Fila, al secondo gol in campionato. La Juve non perde tempo per reagire, e pareggia dopo sessanta secondi con una perla di Alberto Costa. Il portoghese calcia un missile in controbalzo che si insacca all’incrocio dei pali, ma il check del VAR riaccende l’entusiasmo del Penzo, perché nella preparazione del tiro Costa tocca la palla con il braccio. Lo shock è palpabile tra i bianconeri, che cercano di alzare il baricentro con un maggior possesso, ma il Venezia in mezzo al campo ha una marcia in più grazie alle geometrie di Nicolussi Caviglia. La notizia del vantaggio della Roma a Torino gioca a favore del Venezia, perché la Juve mentalmente è sconnessa, come si è mai vista dall’arrivo di Tudor, e i lagunari giocano sui nervi e sulle difficoltà dei bianconeri. Nel buio emerge il Diez, perché Yildiz rimette in equilibrio la gara: Cambiaso batte rapidamente la rimessa, si rifugia dal turco che pettina un paio di volte il pallone, prima di sistemarsi la sfera sul mancino e indirizzarla in fondo al sacco, con una sporcatura di Radu. Di colpo la partita si ribalta completamente, il Venezia non esce più e la Juve ne approfitta subito con Kolo Muani. Altra pressione alta dei bianconeri, questa volta fatta con i tempi giusti, Alberto Costa si getta in avanti e non permette l’intervento alla difesa lagunare, Kolo Muani raccoglie la sfera e incrocia, ancora una volta Radu tocca ma non basta. Alla mezz’ora la Juve torna avanti e rimette momentaneamente a posto le cose. La partita è molto tesa e nervosa, certificata dall’ammonizione per proteste di Tudor, ma anche dall’energia con cui le due squadre lottano su ogni pallone. Il Venezia viaggia a folate, e dopo il doppio schiaffo alza di nuovo il proprio baricentro per rintanare nella propria metà campo la Juve, che in questa prima frazione non ha ostentato particolare solidità e bilanciamento difensivo. Al 41′ Yeboah sfiora l’eurogol con il mancino, conclusione a giro praticamente perfetta che esce di poco alla destra di Di Gregorio. Si va all’intervallo con la Juve in vantaggio, e virtualmente in Champions League, ma al Penzo può succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Tudor sceglie subito Renato Veiga per la ripresa, sebbene il portoghese non sia al meglio la sua presenza è fondamentale per gli ultimi 45′. Fuori Alberto Costa, il cui primo tempo è stato un vero e proprio rollercoaster (gol annullato, ammonizione e serie di svarioni difensivi). Si riparte con il Venezia in avanti, ma la Juve ci mette grande qualità nell’uscita e nella gestione del pallone nella zona calda, e questo non permette ai lagunari di trovare molto spazio per attaccare, se non in ripartenza. La squadra di Di Francesco è più viva che mai, e trova il pareggio al minuto 57: Doumbia si getta in avanti, apparecchia all’indietro verso Haps che arriva in corsa e calcia male, ma una deviazione di Savona permette al pallone di insaccarsi sotto la traversa. Ancora una volta la Juve è costretta a ricostruire la propria qualificazione, anche perché da Torino arrivano notizie poco confortanti data la vittoria della Roma. Conceição va vicino al nuovo vantaggio dopo un solo minuto dal pari, ma il suo mancino termina di poco fuori. La squadra di Tudor sembra sulle gambe dopo il pareggio, incapace di reagire e spingersi stabilmente nella metà campo del Venezia. In contropiede i padroni di casa sfiorano il nuovo vantaggio con Haps, che termina in quell’azione la benzina ed esce tra gli applausi di tutto il Penzo. Al suo posto entra Kike Perez, e nel frattempo DiFra sceglie Gytkjaer al posto di Fila. Al 70′ Di Gregorio salva miracolosamente su Doumbia, e sul ribaltamento Conceição salta Nicolussi Caviglia e viene colpito dallo stinco del centrocampista, calcio di rigore. Dagli undici metri si presenta Manuel Locatelli, che apre il piatto e la piazza all’incrocio dei pali. Freddezza e leadership assolute per il capitano bianconero, che ha preso in mano il pallone più pesante della stagione e l’ha insaccato alle spalle di Radu per la terza volta. Le sostituzioni di Tudor arrivano allo scoccare del 75′: fuori Kolo Muani e Cambiaso, dentro Vlahovic e McKennie; Di Francesco risponde con Oristanio e Marcandalli. Locatelli sfiora il match-point con il destro a giro, palla che si avvicina all’incrocio dei pali ma non scende abbastanza. L’intento di Tudor è chiaro: smorzare il ritmo del Venezia con le sostituzioni, e restituire atletismo e brillantezza fisica con i nuovi ingressi. Il croato sostituisce Nico Gonzalez con un centometrista come Weah e compatta la difesa e il blocco centrale. Di Francesco sceglie Maric come ultima mossa, e per rispondere ai centimetri dell’attaccante croato, Tudor sceglie Gatti. Il difensore italiano entra al posto di Conceição, uscito con i crampi, e si affianca a Renato Veiga per blindare la zona centrale della difesa. Nel recupero mezza Juve è in preda ai crampi, si corre e si difende con tutte le ultime energie rimaste, anche se il Venezia non impensierisce Di Gregorio. Lacrime da una parte e dall’altra, perché la Juve riesce a concludere al quarto posto in campionato, conquistando l’ultimo posto disponibile per la Champions League. Il rigore decisivo di capitan Locatelli regala a Tudor la prima vittoria in trasferta, la più importante e la più preziosa. Il Venezia saluta la Serie A dopo una sola stagione, e le lacrime di Eusebio Di Francesco sono l’emblema di una squadra che ha lottato fino all’ultimo con un proprio ideale calcistico e con coraggio spropositato, ma non è bastato per mantenere la categoria. Adesso per la Juve si aprono le porte della Champions League, anche se l’estate bianconera sarà riempita dal mondiale per club. Alla guida ci sarà sicuramente Igor Tudor, che è riuscito a conquistare l’obiettivo prefissato, in futuro…chissà!
Udinese-Fiorentina
La Fiorentina chiude la pratica, Palladino si prende la Conference all’ultimo respiro
Al Bluenergy Stadium l’Udinese, ormai certa della salvezza da diverse giornate, ospita la Fiorentina di Palladino, che riesce, all’ultimo respiro, a conquistare l’ultimo spot disponibile per l’Europa, accedendo così alla prossima edizione di Conference League. Poco dopo la metà del primo tempo, la squadra di Runjaic trova il gol del vantaggio, grazie ad una precisa conclusione rasoterra di Lucca che, dal centro dell’area, beffa De Gea per la gioia dei tifosi di casa. Pochi istanti dopo la viola prova a farsi vedere con Kean, la cui conclusione termina alta, per poi rimanere in superiorità numerica a causa dell’ ingenuità di Bijol che entra duramente in scivolata su Pablo Marì procurandosi così il secondo giallo. Nel secondo tempo la Fiorentina scende in campo con una mentalità totalmente diversa, e sin dal primo minuto arremba sulla fascia destra con Dodò, il cui cross pesca Fagioli, che, dopo ben tre tentativi consecutivi da fuori area, riesce finalmente a battere Okoye, trovando il gol del pareggio. Dieci minuti dopo arriva il gol che ribalta la partita: dopo la grande discesa sulla fascia di Richardson, il pallone arriva a Beltran, che colpisce di tacco e batte nuovamente Okoye, preso in controtempo. I friulani però non mollano e riescono, al 60′ spaccato, a trovare il gol del pareggio su situazione di corner, sulla quale, nella mischia in area di rigore, Kabasele sbuca trovando la rete del pareggio. Dopo ciò, l’assedio viola si intensifica, per la necessità dei tre punti e la voglia di entrare nella zona europea. Le occasioni sono diverse, ma non particolarmente lampanti, con i tentativi di Kean e di Gudmundson, appena entrato. All’82’ però, la fortuna arride alla viola, che con Kean, e favorita da una deviazione, riesce a trovare il gol vittoria a pochi minuti dalla fine. Palladino, alla fine dei giochi, riesce a conquistare l’accesso in Conference, mentre Runjaic, alla sua prima stagione in Serie A, conquista una salvezza tranquilla, con l’augurio di poter fare qualcosa di più l’anno prossimo.
Lazio-Lecce
Fortezza Salentina, un Lecce stoico batte la Lazio e conquista la salvezza
La squadra di Giampaolo giunge all’Olimpico con l’unico obiettivo di vincere, per portare a casa una salvezza che saprebbe di storia. Nella battaglia dell’Olimpico, i Salentini si salvano e conquistano, per la prima volta, la terza salvezza consecutiva, guadagnandosi così il diritto di partecipare al campionato di Serie A per il quarto anno di fila. Per quasi tutto il primo tempo, il match affronta una fase di stallo, con le due squadre che appaiono restie dall’affondare il colpo. Al 43′, però, il Lecce prende coraggio, e con un incursione coraggiosa di Lassana Coulibaly, che si avventa sul pallone, riesce a siglare il gol del vantaggio che trascina i Salentini al di fuori della zona retrocessione. Nei tre minuti di recupero, la Lazio, inizialmente, va vicina al pareggio con la botta di Castellanos, salvata da Falcone, e poi si ritrova un superiorità numerica a causa dell’espulsione di Pierotti per somma di ammonizioni, che lascia i giallorossi in dieci uomini nel momento più delicato della partita. Nel secondo tempo, inevitabilmente, il dominio biancoceleste é pressoché totale, ma il Lecce non demorde. La squadra di Baroni, specialmente sulla fascia di sinistra, crea tantissime occasioni grazie alle sgasate e alle invenzioni di Nuno Tavares, che spesso pesca dei compagni in area , i quali trovano sempre l’opposizione di uno straordinario Falcone. Al 79′, su un meraviglioso cross di Pellegrini, Vecino si avventa sul pallone e scheggia l’incrocio. Ci prova diverse volte Pedro, ci prova anche Guendouzi, ma i biancocelesti non riescono a trovare la via del gol. Il Lecce si difende egregiamente e, sullo scadere, arriva anche il rosso per Romagnoli, che commette un fallo di nervosismo e viene punito con il rosso diretto dal direttore di gara. Si conclude così il campionato arduo del Lecce, che conquista la salvezza, così come si conclude anche quello della Lazio, che nel corso dell’anno é stata davvero troppo discontinua, dovendo così pagare il prezzo dell’esclusione dalle competizioni europee.
Empoli-Hellas Verona
Rammarico Azzurro, l’Empoli retrocede in Serie B per mano di un crudele Verona
In un Castellani gremito più che mai, l’Empoli giunge all’atto conclusivo di questa stagione come uno dei grandi fallimenti. In Zona Retrocessione piena, la squadra di D’Aversa arriva all’ultima giornata con il compito di accaparrarsi l’ennesima salvezza insperata, contro un Verona determinato, nonostante tutto, a vincere. In appena tre minuti e venti il Verona riesce a sbloccarla: la rimessa laterale battuta da Tchatchoua arriva, alla fine, tra i piedi di Serdar, che dal limite dell’area calcia e buca un imperfetto Vasquez, portando avanti l’Hellas, subito arrembante. Con due calci di punizione di Esposito e un tiro dalla distanza di Fazzini, abbastanza insidiosi, l’Empoli impensierisce e non poco Perilli, la cui porta viene finalmente violata al 43′, quando la respinta proprio dell’estremo difensore scaligero finisce sui piedi proprio di Fazzini, che in tuffo arriva sulla sfera e, pizzicando la traversa, insacca il gol del pareggio che rialza il morale azzurro. Il secondo tempo comincia esattamente come il primo, nonostante un atteggiamento leggermente più conservatore da parte di entrambe le compagini, il Verona gestisce il gioco e, al 69′, arriva il gol del 2-1. Un ennesimo cross di Tchatchoua dal settore destro del campo pesca l’inserimento di Bradaric, che, totalmente da solo, batte Vasquez e riporta avanti l’Hellas per quello che sarà il definitivo 2-1. Negli istanti conclusivi del match, com’è ovvio che sia, l’Empoli prova un forcing disperato, cercando la conclusione da qualsiasi angolo e con qualsiasi soluzione, senza però riuscire a trovare la via del gol e venendo così condannato ad un’amara e, per quelle che erano le premesse di inizio stagione, inaspettata e crudele retrocessione, per mano di un Verona che vince e si salva matematicamente all’ultima giornata.
Torino-Roma
L’ultima danza di Ranieri é perfetta, ma invano. Niente Champions per i giallorossi.
All’Olimpico grande Torino, Toro e Roma arrivano per mettere un sigillo definitivo alla stagione 2024/2025. L’ultima danza di un meraviglioso Claudio Ranieri va in pista con l’obbligo di vincere, sperando in quella che sarebbe una clamorosa debacle della Juventus per una qualificazione in Champions apparentemente impossibile ad inizio stagione. I Giallorossi partono subito forte e nei primi cinque minuti un palo esterno di Shomurodov e una traversa alta scheggiata da Paredes spaventano la squadra di Vanoli. Al 15′ minuto Saelemekers viene stesso al limite dell’area e l’arbitro assegna il tiro dagli undici metri alla Roma, perfettamente realizzato da Paredes per il gol sell’1-0, quasi raddoppiato, pochi istanti dopo, da un tiro di Koné ironicamente salvato da Shomurodov che devia in rimessa dal fondo. Né nel primo, né nel secondo tempo, il Torino sembra scendere il campo, lasciando il pallino del gioco totalmente nelle mani dei giallorossi, che al 53′ ne approfittano raddoppiando con Saelemekers, che, totalmente da solo, viene pescato da Soulé con un cross precisissimo, che gli consente di colpire di testa spiazzando Milinkovic-Savic. Al 65′ Soulé viene raggiunto con un lancio lungo sull’out di destra e, rientrando, cerca un sinistro a giro, che però si infrange sulla traversa scheggiandola e mantenendo il risultato invariato. Nel quarto d’ora finale il Torino prova timidamente a farsi vedere, ma un paio di semplicissimi interventi di Svilar fanno svanire ogni speranza, con la Roma che torna ad attaccare. A circa sette minuti dal termine Cristante sigla anche il gol del 3-0, annullato però per il fuorigioco iniziale di El Shaarawy che viene punito. Dopo il triplice fischio, l’Olimpico Grande Torino si scioglie in un “abbraccio” per Claudio Ranieri, inquadrato, nel finale di gara, durante un emozionante abbraccio con Paulo Dybala. A lui il merito di aver portato, molto vicino alla Champions League, una Roma che ad inizio stagione pareva disastrata, compiendo, così, l’ultimo dei suoi grandi miracoli.
Calcio
L’Inter vince ma non basta. Il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta

L’apertura dell’ultimo weekend di campionato coincide con la chiusura del discorso scudetto, perché il Napoli supera l’ostacolo Cagliari e si laurea campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia. Non basta la vittoria dell’Inter in casa del Como, perché i partenopei riescono a blindare il successo grazie alle reti di McTominay e Lukaku.
Il racconto di un finale di stagione al cardiopalma, come non si viveva da quasi quindici anni.
Un finale dai tanti significati e dalle mille sfaccettature, due cornici che definire splendide è riduttivo. Da una parte un palcoscenico unico, in quel ramo del lago di Como; dall’altra il Diego Armando Maradona di Napoli, il catino nel quartiere di Fuorigrotta che ribolle di passione ed energia per una delle serate più attese e intense degli ultimi anni.
Napoli-Cagliari
Novanta minuti per coronare un sogno, una città intera riversata per le strade e nei seggiolini del Maradona. Tutta Napoli è in campo e fuori dal campo per l’ultimo atto, il più atteso. Conte, squalificato (come Inzaghi a Como) e sostituito dal vice Stellini, non ha particolari dubbi per gli undici che scendono in campo: con Buongiorno e Lobotka ancora una volta acciaccati, la scelta ricade nuovamente su Olivera e Gilmour. Quarto gettone al centro della difesa per Mati Olivera, sempre più in confidenza con il ruolo, mentre lo scozzese fa reparto insieme al connazionale McTominay e Anguissa. In avanti Raspadori e Lukaku ormai fanno coppia fissa, mentre Neres parte dalla panchina ma sicuramente troverà spazio a gara in corso. Il Cagliari schiera gli uomini migliori, anche se i sardi arrivano al Maradona con un paio di assenze importanti (Luvumbo, Pavoletti, Caprile e Gaetano su tutti).
NAPOLI: Meret, Di Lorenzo, Rrahmani, Olivera, Spinazzola, Gilmour, Anguissa, McTominay, Politano, Raspadori, Lukaku
CAGLIARI: Sherri, Zappa, Mina, Luperto, Zortea, Adopo, Makoumbou, Deiola, Augello, Viola, Piccoli
Tra le note splendide di Live is Life il Maradona cerca di vivere una di quelle sere che viveva regolarmente ai tempi di Diego, una magia che non si basa sul prestigio del mago ma sul cinismo dei duellanti. Non è cambiata la passione e l’energia di uno stadio che trasuda calcio, tutto colorato di quell’azzurro “Ca rassumiglia ‘o cielo e ‘o mare ‘e sta città”.

Foto: X Lega Serie A
|| PRIMO TEMPO ||
Al fischio iniziale di La Penna tutta la letteratura si concentra sul rettangolo verde. Napoli subito in pressione altissima sui portatori di palla, il Cagliari accoppia Mina a Lukaku, e quei due si daranno battaglia fino all’ultimo secondo. Due pilastri, i due riferimenti e i due leader tecnici ed emotivi. Fin dai primi minuti McTominay è praticamente l’attaccante aggiunto, ma ormai non è più una sorpresa, e i cross sono la soluzione preferita dei partenopei. Si gioca fin da subito in una sola metà campo, e Raspadori spaventa la porta di Sherri con un diagonale mancino che sibila con il palo sinistro. In avvio tutti i palloni indirizzati verso il centro dell’area trovano un gigante colombiano a svettare, Yerry Mina domina in avvio e il Napoli trova l’occasione principale in ripartenza, quando il difensore rossoblù è nell’area azzurra e i partenopei ripartono con la velocità di Spinazzola e l’inserimento di Gilmour, provvidenziale l’uscita di Sherri. I maggiori corridoi il Napoli li trova a destra, con Politano e Raspadori in costante proiezione offensiva. Gli azzurri sono costantemente in forcing offensivo, e al 13′ Sherri sbarra la strada al destro -a botta sicura- di Rrahmani. L’Inter va in vantaggio al Sinigaglia, ma il copione della gara del Napoli non sembra subire variazioni, il ritmo si mantiene altissimo e al riaggressione dei giocatori di Conte è furibonda, si viaggia su binari altissimi. Lukaku cerca di riconsegnare il primato momentaneo ma Sherri e Mina si oppongono, il belga trova lo spazio per calciare ma il suo mancino è stoppato dalla scivolata del colombiano. I toni agonistici sono alti sopra ogni limite, a tal punto che La Penna sceglie il pugno di ferro: dopo un primo accenno di rissa, ammoniti sia Makoumbou che Politano. Le proteste del Napoli sono per una manata del centrocampista rossoblù su Raspadori. Ci sono problemi di comunicazione tra l’arbitro e il VAR, e per riprendere il gioco ci vogliono quasi cinque minuti, ma la decisione rimane quella di campo. Il Cagliari nel primo tempo alza il muro per grandi meriti di Sherri, impreciso in uscita ma prezioso nelle respinte con le mani, come quella su Spinazzola a cinque dagli spogliatoi. Lo sbarramento rossoblù crolla al minuto 41, quando McTominay si inventa il gol dell’anno: cross morbido a girare di Politano, McTominay decide di regalare un’immagine da “album Panini” e in semi-rovesciata batte Sherri. Un gol meraviglioso di un giocatore maestoso, l’uomo in più in questa stagione azzurra. Dal Maradona non si alza solo un urlo liberatorio, ma una nebbia sempre più fitta causata dai fumogeni del tifo partenopeo. All’intervallo si va sull’1-0 e adesso è tutto in discesa.
|| SECONDO TEMPO ||
Nessuna sostituzione da parte dei due allenatori, anche se dagli spogliatoi il Cagliari prova a uscire con maggiore coraggio e intraprendenza. I rossoblù cercano un fraseggio più ragionato e pulito, complice un blocco basso e una pressione meno intensa da parte del Napoli. Nelle uscite gli azzurri trovano più difficoltà, e la giocata codificata verso Lukaku è spesso schermata, ma quando il belga trova spazio è devastante. Al 50′ lancio lungo verso Lukaku, il numero 11 vince il contrasto con Mina e con una potenza inaudita arriva davanti a Sherri e lo buca in diagonale. Quattordicesimo centro per Lukaku, sicuramente il più importante perché con due gol di vantaggio adesso lo scudetto è tanto, tantissimo, vicino. Nicola ne cambia tre per mantenere alta la concentrazione: vanno fuori Zortea, Makoumbou e Viola, entrano Mutandwa, Palomino e Marin. La scelta di Conte invece è David Neres, scelto al posto di uno stremato Politano. Applausi scroscianti del Maradona per uno dei pretoriani fedelissimi di Conte, sempre prezioso in fase di non possesso oltre che in attacco. Il brasiliano ha subito l’occasione per mettere la firma finale, ma Sherri gli sbarra la strada al momento della conclusione. La difesa del Cagliari non riesce più a contenere Lukaku, e tutte le azioni partenopee passano dal “nuraghe” belga. La gestione del risultato diventa quasi semplice, a tal punto che il Napoli cerca di sfondare ogni volta che può, perché il Cagliari non riesce a impensierire la porta di Meret, che oggi si può considerare uno spettatore non pagante. Il Cagliari è in balia del possesso e della spinta emotiva che il Maradona fornisce agli Azzurri. Conte cerca di giocare anche con l’emotività dello stadio, e richiama fuori Lukaku per una standing ovation che riflette la stagione da leader del belga; al suo posto dentro Simeone, ex di giornata. Nel frattempo, tra le file sarde, Obert ha rilevato Augello. La girandola di sostituzioni smorza il ritmo della partita, e nel finale Nicola regala l’esordio in A per il terzo portiere Ciocci, al posto di un ottimo Sherri, prezioso con le sue parate nel primo tempo per ritardare la gioia del Maradona. Mancano solo dieci minuti e ormai tutto lo stadio si comincia a sciogliere perché la pratica è ufficiosamente chiusa. Anguissa termina la benzina e Conte ne approfitta per chiudere i cambi con Billing, Mazzocchi (per Spinazzola) e Ngonge (per Raspadori), ma ormai rimane solo l’ultimo squarcio di partita prima della festa generale.
“Napule è mille culure”, una delle frasi più famose di una voce pura e limpida come il mare partenopeo. La voce di Pino Daniele presenta una varietà immensa di colori, ma questa sera Napoli si tinge di azzurro, oltre al tricolore che viene sollevato al cielo di Fuorigrotta per la quarta volta nella storia del club partenopeo. Una stagione di altissimo livello, terminata nel migliore dei modi grazie alle firme dei due working class hero voluti da Conte. La straripante forza di Lukaku, la polivalenza e il dominio del gioco di Scott McTominay sono state le chiavi principali per un successo che rimarrà nella storia azzurra. E poi c’è il comandante, la guida spirituale di questa cavalcata. Antonio Conte lo ha fatto ancora, per l’ennesima volta è sul tetto d’Italia. Una vittoria che porta la sua firma nelle modalità e nell’identità. Il tecnico leccese è riuscito a “friggere il pesce con l’acqua“, è andato contro i suoi principi basilari di gioco ed è riuscito a rendere questo Napoli un ingranaggio non sempre perfetto, ma terribilmente funzionale per raggiungere la vetta più alta della Serie A, per la quarta volta.
Meno dominante, con più pathos e meno protagonisti, ma ancora una volta Napoli è sul tetto d’Italia.
Como-Inter
Con la consapevolezza di non avere concretamente il destino nelle proprie mani, e con una finale di Champions League sullo sfondo, l’Inter cerca di chiudere con una vittoria al Sinigaglia di Como, ma la gestione è tutta finalizzata verso la gara di Monaco di Baviera. Ritornano in squadra gli acciaccati Frattesi e Lautaro Martinez, ma Inzaghi -squalificato contro la Lazio, sostituito dal vice Farris- sceglie una strategia conservativa: a riposo quasi tutti i “big”, eccezion fatta per Sommer, Calhanoglu e Dimarco, e conferme di alcuni volti che hanno ben vinto nell’ultima trasferta contro il Torino. Ancora una volta Zalewski agisce in mezzo al campo, insieme a Calhanoglu e Asllani, altra chance in cabina di regia per l’albanese. L’attacco è sorretto da Taremi e Correa, chiamati a dare un segnale per il presente, ma soprattutto per il futuro all’interno del club nerazzurro. Fabregas risponde con le sue solite scelte mirate e coraggiose, con la presenza tra i pali di Pepe Reina, all’ultima gara in carriera a 43 anni, mentre la difesa è inedita.
COMO: Reina, Van Der Brempt, Dossena, Kempf, Valle, Perrone, Da Cunha, Caqueret, Nico Paz, Strefezza, Douvikas
INTER: Sommer, Bisseck, De Vrij, Carlos Augusto, Darmian, Calhanoglu, Asllani, Zalewski, Dimarco, Correa, Taremi
Un decimo posto conquistato con un’ideale e uno spirito unico. Il Como chiude il campionato con una maglia speciale e con più risposte che domande. L’Inter invece cerca di dare un senso a questo finale di stagione, alla ricerca di una notizia sorprendente da Napoli.
|| PRIMO TEMPO ||
Si gioca subito a un ritmo altissimo, ma non era una sorpresa vista l’identità del Como e la ricerca del fraseggio da parte dell’Inter. I rischi principali per la porta di Sommer arrivano quando i lariani sono in pressione alta, e il primo brivido è un destro di Van Der Brempt su cui il portiere svizzero non ha problemi. In ripartenza l’Inter sfiora il vantaggio con la classica ricerca dei due esterni, Dimarco mette in mezzo un cioccolatino che Darmian scarta anche bene, ma non fa i conti con Perrone, provvidenziale nel salvare sulla linea. In mezzo al campo l’Inter trova le giocate per scardinare il blocco unito del Como, specialmente nella parte sinistra dove Zalewski non viene marcato bene da Nico Paz. Anche la squadra di Fabregas ha spazio tra le linee e in uno sviluppo Massa estrae il primo giallo: ammonito Calhanoglu per un intervento in netto ritardo su Perrone, il turco era diffidato e salterà la prima del prossimo campionato (o l’eventuale spareggio scudetto). Si gioca in fazzoletti di campo, e la differenza la fa la qualità dei singoli, soprattutto nella trequarti. Il Como rimane in pressione altissima, e la sensazione è quella confermata non solo alla vigilia, ma nelle ultime settimane lariane: coraggio e spregiudicatezza, contro qualsiasi avversario. L’Inter però si conferma micidiale sui piazzati, e al 20′ i nerazzurri passano in vantaggio: corner di Calhanoglu, traiettoria a uscire e incornata maestosa, ma solitaria, di Stefan De Vrij (oggi capitano). È la rete numero 26 da palla inattiva per la squadra di Inzaghi, un marchio di fabbrica a tinte nerazzurre. Il momentaneo primato non stravolge l’inerzia della partita, perché il Como non cala di intensità. Prova a riaccendersi il solito Nico Paz, sempre prezioso e intraprendente con le sue giocate da funambolo. L’Inter continua a soffrire il pallone spiovente sul secondo palo, e in questo fondamentale serve un altro intervento sicuro di Sommer per chiudere lo specchio a Van Der Brempt. In contropiede la squadra di Inzaghi ha delle praterie, ma Taremi pecca di freddezza e alla mezz’ora fallisce il raddoppio calciando addosso a Reina. Il calcio sa regalare intrecci e storie sempre più variegate, non sempre romantici come si desidera. A ridosso dell’intervallo Taremi viene steso da Reina in uscita, in prima battuta l’iraniano prosegue l’azione ma scivola subito dopo, ma il VAR richiama Massa e l’intervento del portiere spagnolo è falloso: cartellino rosso e punizione dal limite. L’immagine dell’uscita di Reina è unica, perché tutto lo stadio e gli avversari si concedono un momento di applausi e standing ovation per la carriera di un portiere, anzi un portierissimo. Al suo posto entra Butez, ed esce un anonimo Caqueret, che nel primo tempo si è visto pochissimo. La notizia del vantaggio del Napoli arriva a ridosso dell’intervallo, e la gestione emotiva della ripresa diventa l’argomento principale per l’Inter, chiamata a chiudere la partita sfruttando la superiorità numerica.
|| SECONDO TEMPO ||
Il Como cerca di far sentire la propria voce già dall’inizio, a tal punto che Da Cunha costringe De Vrij al fallo al limite dell’area. Cartellino giallo per l’olandese, che rischia di mettere in salita il suo secondo tempo. Il Como ha una marcia in più, ma l’Inter ci mette pochi minuti per raddoppiare, questa volta in ripartenza: Correa scatta sulla sinistra, splendida finta di tiro con il sinistro e destro piazzato che batte Butez. Il 2-0 indirizza la partita ma nello stesso momento il Napoli trova il raddoppio e mette in discesa il discorso scudetto. Fabregas cerca di riaccendere la miccia aumentando l’esperienza e il peso in avanti: fuori Douvikas e dentro capitan Cutrone. Bisseck accusa un problema al ginocchio e rimane a terra, Inzaghi non rischia nulla e muove la panchina con tre mosse: Barella, Acerbi e Dumfries al posto di Bisseck, Dimarco e Calhanoglu. Prime rotazioni tra le fila nerazzurre, e visto il risultato del Maradona la gestione mira alla finale di Monaco di Baviera. Il Como allenta il ritmo, anche se cerca di riaccendere la propria partita. Nico Paz cerca di mettersi in proprio in più occasioni, ma nell’ultimo passaggio lui e Cutrone peccano di lucidità e freddezza. L’Inter rallenta la partita, e con le sostituzioni cerca di smorzare il ritmo. Arnautovic rileva Taremi, ancora una volta impreciso e poco freddo. La prestazione dell’iraniano è la copertina della sua stagione, sicuramente al di sotto delle aspettative, visti i numeri strepitosi registrati nella sua precedente avventura al Porto. Inzaghi regala l’esordio in A per il giovane Topalovic, mentre tutto il Sinigaglia si concede la standing ovation per Nico Paz, il cui futuro è ancora incerto visto il pressing del Real. Entra anche Iovine, che ha deciso di chiudere questa sera la sua carriera calcistica all’età di 33 anni. Nel finale ormai non c’è più nulla da difendere, né da attaccare, e dopo tre minuti di recupero Massa fischia la fine.
L’Inter conclude il suo campionato con una vittoria, ma non basta per tentare il sorpasso miracoloso. Non è bastato un successo costruito e ottenuto con la solita lucidità e praticità, perché il Napoli ha fatto il suo dovere, ma la stagione della squadra di Inzaghi rimane di alto livello, anche se la finale di Champions diventa lo spartiacque per valutare al meglio la stagione nerazzurra. Il Como saluta due pilastri come Reina e Iovine, e adesso il futuro è tutto da scrivere, anche se la prima penna mostrata quest’anno è stata certamente di livello.
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